Si muove la città... e tornerà a muoversi ancora: il Bologna sogna coi propri tifosi

A campion donato non si guarda in bocca, e nemmeno a quello che ne esce. Nel caso di Eraldo Pecci quel che usciva, 50 e più anni fa, era un accento romagnolo che in teoria avrebbe dovuto infastidire Bologna e i bolognesi, secondo uno stereotipo di rivalità che fa però acqua da tutte le parti, o perlomeno è settoriale: da settembre ad aprile quelli di qua e quelli di là del torrente Sillaro si guardano male, nel calcio e nel basket, da maggio a tutto agosto si incrociano e frequentano in riviera, la Riviera Adriatica, dopo aver magari meditato sul senso della vita nelle ore trascorse a passo d’uomo lungo l’autostrada. Nel 1974, 23 maggio, Pecci col suo celebre piedone, anzi ‘Piedone’ che era il suo soprannome per via del 46 di scarpe, segnò il rigore decisivo nella finale di Coppa Italia Bologna-Palermo, ultimo trofeo rossoblù fino all’1-0 al Milan di ieri. Una partita con l’asterisco, secondo alcuni, per via del rigore che all’ultimo minuto l’arbitro Sergio Gonella assegnò al Bologna dopo un contatto in area tra il difensore Ignazio Arcoleo e il capitano degli emiliani Giacomo Bulgarelli, su una rimessa laterale anch’essa di dubbia attribuzione. Pare che quest’ultimo anni dopo abbia ammesso di aver esagerato l’impatto, così come Beppe Savoldi - che dal dischetto pareggiò - di aver battuto rapidamente quella rimessa che in realtà forse sarebbe stata dei siciliani, ma le immagini, facilmente rintracciabili sul web, mostrano un intervento scomposto di Arcoleo che arriva con eccesso di irruenza e sposta Bulgarelli intento a girare di sinistro la palla verso il centro dell’area. Accuse a Gonella arrivarono anche per la ripetizione del primo rigore dopo i supplementari, battuto male proprio da Bulgarelli e parato dal portiere Sergio Girardi che però a giudizio dell’arbitro si era mosso con troppo anticipo. Ora, rivedendo le immagini, e tenendo presenti le diverse regole dell’epoca, si può dedurre che Gonella abbia voluto procedere in quel modo solo perché il rigore era stato parato, perché non c’è un’esecuzione, delle 10 decisive, in cui i rispettivi numero uno restino sulla riga, e la cosa è ancora più curiosa se si pensa che c’era appena stato quell’annullamento. Lo stesso Pecci, qualche giorno fa, a Massimo Vitali de ‘Il Resto del Carlino’ ha ammesso: “Ricordo che non meritavamo di vincere”. Giudizio abbastanza unanime di chi vide la partita. L’ex centrocampista anche di Torino, Fiorentina, Napoli, ancora Bologna e Vicenza, quel giorno, entrato al 76’, fu incaricato dell’ultimo rigore nonostante avesse solo 19 anni: sempre al ‘Carlino’ ha rivelato che Bruno Pesaola, l’allenatore, si era ricordato delle perfette esecuzioni di Pecci al Torneo di Viareggio. Ecco, Pesaola: un mito di quei tempi, un allenatore di razza travestito delicatamente da personaggio, per la sua parlata decorata da cadenza argentina, da oriundo di ritorno di origini marchigiane. Principalmente… napoletano da calciatore e allenatore , portava con leggerezza il peso di un pezzo di storia del calcio: classe 1925, da ragazzino aveva giocato con Alfredo di Stefano, nato un anno dopo di lui, nel settore giovanile del River Plate allenato da Renato Cesarini, e al Novara aveva giocato con Silvio Piola. Medesima leggerezza, mescolata a espressioni forti e modi irresistibili, applicò poi al mestiere di allenatore, galleggiando sul calcio di quei tempi con la sua figura anomala persino in un periodo in cui era normale veder fumare - e parecchio - un allenatore. Al Bologna era arrivato nel 1972, dopo aver vinto un memorabile scudetto con la Fiorentina nel 1968-69, e nel passaggio tra i due club c’è la coincidenza di un parallelo con Vincenzo Italiano, quello che a settembre - dicevano alcuni, troppi - ‘non ci sta capendo nulla’, quello che perde le finali. Quello che - ma guarda, la Storia, quanto è preziosa - da calciatore debuttò diciassettenne in Serie C1 nel Trapani allenato da… Arcoleo, che tra l’altro fu in campo anche in occasione della seconda finale di Coppa Italia persa in maniera dolorosa dal Palermo, nel 1979: gol dell’indimenticabile Vito Chimenti al 1’, pareggio della Juventus con Sergio Brio all’83’ e gol decisivo dei bianconeri con Franco Causio a 3’ dalla fine dei supplementari. COSì SI GIOCAVA SOLO IN PARADISO Tempi molto diversi, un Bologna che già all’epoca festeggiò la coppa con la inconscia consapevolezza che i tempi migliori stessero svanendo. Tempi che a volte si ha l’impressione che vengano rievocati solo da chi vive male il presente e in esso non trova appigli, ma non è così: l’omaggio di mercoledì sera dei tifosi del Bologna alla squadra che nel 1964 vinse lo scudetto proprio a Roma, 2-0 nello spareggio contro l’Inter, è stato una cucitura con il passato e al tempo stesso un’apertura benaugurante al presente, un presente che dura da un paio di anni e che sta cambiando la percezione della squadra, anche al di fuori del bacino di naturale appartenenza. A proposito di accenti, del resto, mercoledì girando per Roma e soprattutto attorno all’Olimpico si potevano chiudere gli occhi e capire quali fossero i tifosi del Bologna e quali quelli del Milan anche solo dalla parlata: una quasi totale omogeneità nel primo caso e una varietà, da nord a sud, nel secondo, che riflettevano semplicemente la diversa realtà delle due squadre e dei due mondi, realtà che solo parzialmente, e solo nel caso del Bologna, può modificarsi in questi anni di ottimi piazzamenti in campionato e di passerelle europee, che hanno come conseguenza una maggiore diffusione del nome, dei colori, persino della città. Per tanto tempo, del resto, un ragazzino bolognese può avere avuto la tentazione di tifare per una delle grandi, ma l’ultimo biennio ha dimostrato che anche restare nel canone locale può dare soddisfazioni, e pazienza per la contraddizione secondo la quale più infrequenti sono i successi maggiore è la felicità, concetto sicuramente non sottoscritto da chi tifa per Juventus, Manchester City, Real Madrid e altre abituate alla vittoria e soprattutto all’aspirazione alla vittoria. COMPENSAZIONI Bologna, peraltro, ha spesso trovato modo di sfogarsi anche in altri sport: in questi giorni la Virtus inizia i playoff scudetto del basket da numero uno del tabellone , mentre la seconda gloria cittadina, la Fortitudo, lotta per la promozione dalla seconda serie. In passato, è capitato anche che, per assoluta coincidenza, i momenti di crisi del Bologna coincidessero con le fortune di altre discipline: nel 1981-83 arrivarono due retrocessioni consecutive, dalla A alla C1, e mentre avveniva la prima risalita, completata nel 1988, in città vincevano lo scudetto la Virtus, la Zinella pallavolo, la Fortitudo baseball , i Doves e i Warriors di football americano e la Fortitudo basket otteneva una promozione, contribuendo così in parte a mitigare gli effetti della tristezza sul campo di calcio. Una tristezza che ha poi generato leggende metropolitane, mischiate a realtà: se – tanto per tornare agli avversari della finale – i tifosi del Milan erano apparentemente tutti a vedere la sfida interna con la Cavese, nel campionato di Serie B 1982-83, quelli del Bologna erano in decine di migliaia a Lodi per la sfida contro il Fanfulla del 18 settembre 1983 e a Leffe il 21 novembre di dieci anni dopo, rivendicazioni peraltro vissute con ironia e sorriso, specialmente se paragonate alle trasferte di Liverpool, Birmingham e Lisbona nella Champions League 2024-25. ‘Si muove la città’, parole di Lucio Dalla in ‘La sera dei miracoli’ che è risuonato allo Stadio Dall’Ara dopo la semifinale di ritorno, e si è mossa anche mercoledì, pur con il grave inconveniente di una ventina di pullman prenotati ma mai arrivati all’appuntamento, circostanza che ha costretto alcune centinaia di persone ad arrangiarsi al volo, con prezzi dei treni a livelli allucinanti, anche perché la medesima tratta era coperta anche da molti tifosi del Milan. Qualcuno ha provato a fare paragoni con le discese a sud del 1964 e del 1974, ma sono universi differenti e già lo erano tra 1964 e 1974, figuriamoci a 51 e 61 anni di distanza: treni più lenti e scomodi e collegamenti aerei riservati a pochi, ma probabilmente una convivialità diversa, foss’anche solo per il fatto che non c’erano web né social media e quindi si fissavano gli attimi nella mente, magari pagando un’attenzione diversa perché se ti perdevi un’azione o un gesto rischiavi di non rivederlo mai più in vita tua. C’erano, chissà, anche all’epoca i tifosi vip, definizione vaga e piaga sulla quale plana implacabile qualsiasi tipo di media, al punto che viene da chiedersi se si venga più notati a essere tifosi vip o a non esserlo, ma è una domanda alla quale non è possibile dare una risposta rapida. SPECCHIO DELLE MIE BRAME E ora? Chissà. Tornerà una partecipazione alle coppe europee, e a livello di prestigio è ovvio che la Champions League piace più di tutte ma l’Europa League porge sfide a volte ancora più intriganti, aprendo magari ai tifosi la possibilità di spaziare in stadi e luoghi inediti, finché si può. Perché il problema è questo, ovvero l’incertezza tra il voler credere che questo biennio sia solo l’inizio di un prolungato periodo di eccellenza e il timore che sia stato invece il frutto di casualità, anche se i fatti direbbero il contrario. La proprietà Saputo, che ha navigato tra difficoltà e potenziali stop nei dieci anni di controllo, lavora sempre su più fronti, compreso quello dello stadio, a lungo protagonista con quello/quelli della Roma del duello per il primato di rendering mai tradotti in realtà ma recentemente superato, in classifica, da quelli di Milan o Inter, o Milan e Inter. Dalle scelte di Joey Saputo e dei suoi collaboratori, tra cui il responsabile dell’area tecnica Giovanni Sartori, dipenderà il futuro immediato del club e anche un po’ del morale di una città che si scopre sempre più simile ad altre nei problemi della vita quotidiana, nel degrado, nella congestione, dopo aver a lungo avuto, o creduto di avere, un livello superiore di vivibilità e grazia. Specchiarsi in una fotografia può essere pericoloso, se un giorno ti compare davanti la tua immagine aggiornata, ma se poi il riflesso è quello di un giorno in cui si muove la città, e torna festeggiando e si prepara a muoversi ancora, allora forse quel che lo specchio ti rimanda così male non è. Quando si pensa allo sport.

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Si muove la città... e tornerà a muoversi ancora: il Bologna sogna coi propri tifosi

Roberto Gotta