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Napoli story, "jamm jà": da Lipsia alla conquista della Coppa Uefa

Europa League

Alfredo Corallo

Maradona e il Napoli al "Zentralstadion" di Lipsia, per il ritorno dei Sedicesimi della Coppa Uefa 1988-89, vinta dagli azzurri

Gli azzurri di Sarri ritrovano al San Paolo una squadra di Lipsia ai Sedicesimi come nella stagione 1988-89, quando Maradona e compagni conquistarono la "vecchia" Coppa Uefa. Un viaggio cominciato in Grecia, passato attraverso Bordeaux, la Juve e poi tanta Germania: fino al trionfo in casa dello Stoccarda del "napoletedesco" Gaudino

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"Ah, napoletano! Emigrante?". E già, perché partire da Napoli soltanto per il gusto di vedere Maradona palleggiare all'Olympiastadion di Monaco e tornare a casa - in Italia - era considerato qualcosa di inconcepibile. Sapete, prendere un treno, l'autobus - vabbuò i più ricchi l'aereo - e "viaggiare". Ma non pazziammo: "U' napolitano non pò viaggià, pò sulamente emigrà". Eppure mai come in quella stagione i napoletani si identificarono con Gaetano, che si era scocciato da un pezzo di stare con mammà, con la famiglia, di svegliarsi alle 5 per lavorare al bar ("non tengo chiù genio") e aveva lasciato Napoli, così, all'avventura, per vedere l'effetto che fa. E se Gaetano - che era Massimo Troisi in "Ricomincio da tre" - aveva scelto di andare a Firenze in autostop, i suoi "paisà" si erano spinti oltre, smaniosi di ammirare le opere d'arte di Maradona e il museo itinerante del Pibe: Salonicco, Lipsia, Bordeaux, Torino e ancora Monaco di Baviera e Stoccarda, l'ultima tappa del pellegrinaggio. Partiti con una valigia piena di sogni e rincasati con un souvenir decisamente ingombrante, fuori dalle dimensioni di un bagaglio a mano: un calice d'argento, su un piedistallo di marmo, 65x33x23, 15 chili di peso. Trent'anni fa chiamata Coppa Uefa, oggi Europa League, ma la sostanza non cambia: il costo del supplemento vale sempre il prezzo il biglietto. 

Appuntamento a Lipsia

Se per tanti, insomma, in passato era stato tutt'altro che un divertimento - soprattutto in direzione Germania - ma il più drammatico dei viaggi della speranza (di trovare un lavoro, una dignità), i nuovi flussi migratori avevano intenti goliardici e, casomai, di "colonizzazione": godere del proprio prodotto da esportazione,  rappresentato dal grande calcio. Anche in questo molto simili alla "new wave partenopea" espressa dal gioco della squadra di Maurizio Sarri, che fa scuola in Italia e in Europa. Con una differenza rispetto ai loro "antenati" degli anni '80: più che una gita quella dei tifosi azzurri al seguito di Hamsik e compagni è una tournée, tra Ucraina, Inghilterra, Olanda prima dell'eliminazione dalla Champions e ora - nella partita di ritorno - Lipsia. Sarà come ritrovarsi tutti insieme, virtualmente più che appassionatamente, a trent'anni di distanza: perché è in Germania, dall'allora Germania dell'Est, che passò - sempre dai sedicesimi - il cammino che porterà Maradona a sollevare la Coppa.

Il poster di Maradona nella "cameretta" di Uwe Rösler, un giocatore della Lokomotive Lipsia 

La battaglia di Salonicco

Il Napoli che si presentò ai nastri di partenza della stagione 1988-89 era una squadra ancora scossa dalla rimonta subita dal Milan, quando aveva già fatto la bocca al suo secondo scudetto. Via i "colpevoli", i capri espiatori dell'harakiri Bagni, Garella e Giordano, il presidente Ferlaino acquistò Alemão - detto il "tedesco" - con il chiaro scopo di arrivare in fondo alla competizione continentale. Il primo ostacolo sulla strada della formazione guidata da Ottavio Bianchi è il Paok: al San Paolo un rigore di Maradona non consente di andare a Salonicco tranquilli, attesi peraltro dalla bolgia dello stadio Toumpa ("tomba" in greco, bella premessa) e dagli scatenati hooligans ellenici, che insorgono al vantaggio di Antonio Careca. Finirà 1-1, con una ventina di contusi e il ricordo di una notte da incubo per tanti tifosi napoletani. 

Maradona e il Napoli al "Toumpa" di Salonicco

Lo stadio dei 100mila 

Nel secondo turno ecco la Lokomotive di Lipsia (poi fallita, oggi milita nelle serie inferiori) e un altro inferno, lo Zentralstadion - l'attuale Red Bull Arena, dove gioca il RasenBallsport - conosciuto anche come "Stadion der Hunderttausend", lo stadio dei 100mila, all'epoca il secondo impianto più grande d'Europa dopo il Velký Strahovský di Praga. Il 26 ottobre del 1988, davanti a 75mila spettatori, fu un'altra battaglia, un classico: Maradona asfissiato dalla "rude" marcatura di un tedescone alto quasi 2 metri (Kracht); le super parate del portiere Giuliani; l'inevitabile gol dello svantaggio di Zimmerlig al 67'. 

"Zentralstadion": Maradona stringe la mano a René Müller, capitano della Lokomotive 

Francini: il 3 di Coppe

Ci penserà un difensore toscano a rimettere la sfida in parità: Giovanni Francini, che nel 1987 aveva realizzato anche la prima rete in Coppa dei Campioni nella storia del Napoli, al Real Madrid, per quanto inutile. E sarà sempre il terzino di Massa a risolvere con una quasi doppietta (un gol e una autorete determinata dal suo tocco) e chiudere il discorso qualificazione con il Lipsia al San Paolo per il definitivo 2-0. Era il 9 novembre, a un anno esatto dalla caduta del Muro di Berlino

Il terzino Giovanni Francini

La Juve, Renica e il ruggito di Fuorigrotta

Se negli ottavi contro il Bordeaux dell'ex torinista Vincenzino Scifo e Tigana sarà una mezza passeggiata (1-0 di Carnevale in Francia, 0-0 al ritorno), la vera impresa degli azzurri in quell'edizione si materializzerà ai quarti, nello scontro "fratricida" con la Juventus, capaci di rimontare lo 0-2 dell'andata al Comunale (Napoli con un'inedita maglia rossa, gol bianconeri di Pasquale Bruno e autorete di Corradini) grazie a una prestazione epica, trascinati dagli 80mila di Fuorigrotta: subito un rigore "trasformato" da Maradona, quindi un destro dal limite di Carnevale a fulminare l'incolpevole Tacconi. E a un passo dai supplementari la capocciata di Alessandro Renica che fece vibrare il San Paolo che neanche un concerto dei Metallica, tanto fu fragoroso il boato e la quantità di decibel percepita quella notte.     

Live is life

Si arriva così alle semifinali, circondati dalle "truppe" tedesche: Bayern, Stoccarda e Dinamo Dresda. Ai campani toccano i bavaresi, che agli ottavi avevano ribaltato 3-1 l'Inter a San Siro dopo il 2-0 di Monaco (quello della "galoppata" di Nicola Berti). A Napoli è il solito show, Careca e Carnevale affondano la corazzata di Jupp Heyckness, ma lo spettacolo più bello sarà all'Olympiastadion, prima ancora di scendere in campo, nel riscaldamento. Dall'altoparlante partono le note di "Live is life" degli Opus, e Maradona comincia a ballare, e palleggiare: è l'alba di un'altra giornata magica. El Diez è imprendibile, danza sulle punte, leggero come un tanguero, un mix irrestistibile con la samba di Careca: a nulla servirà il recupero da 0-2 a 2-2 dei padroni di casa. Il Napoli vola in finale.

Nella foto in basso Maradona e il capitano del Bayern Klaus Augenthaler

"A noi c'abbasta un gol"

Il Napoli, ma anche la Sampdoria in Coppa delle Coppe (sconfitta poi dal Barcellona) e il Milan di Sacchi in Coppa dei Campioni che demolirà la Steaua 4-0, tre italiane nelle 3 finali europee, che tempi! Agli azzurri tocca in sorte di disputare l'andata al San Paolo, gelato proprio da un suo "figlio", lui sì figlio di emigranti, casertani: Maurizio Gaudino (papà di Gianluca, giovanissimo centrocampista del Chievo) che sorprende Giuliani con una punizione da quasi 30 metri. Ma più che per quel gol, l'attaccante di Bruhl passerà alla storia per l'intervista a fine match, che il Napoli vinse per 2-1 con un rigore di Maradona e la zampata di Careca allo scadere. Gaudino ribattezzato il Napoletedesco: "Il secondo tempo ha attaccato brutto e ha fatto quelli due gol. Ma vabbè, sta la seconda partita, a noi c'abbasta un gol. Speriammo che faciamo uno a zero da noi". A metà tra "jamm" e "jà". 

Nella foto in alto Maradona e il capitano dello Stoccarda Guido Buchwald, pronti alla finale di andata del San Paolo. Sotto Maurizio Gaudino

Il trionfo 

Il 17 maggio del 1989 l'ultimo atto al Neckarstadion di Stoccarda, invasa dai napoletani che, tra "turisti" e "residenti" erano il doppio dei tedeschi. Apre Alemão, pari di Jurgen Klinsmann, fucilata di Ciro Ferrara su assist geniale di Maradona (di testa) che si ripete con Careca su una micidiale ripartenza. Quando l'orgoglioso Schmaler firma il 3-3 è troppo tardi: Diego stringe già la Coppa, il souvenir di una vacanza indimenticabile.