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Europa League, come l'Arsenal ha buttato la partita in 10 minuti contro l'Atletico Madrid

Europa League

Francesco Lisanti

La semifinale si era messa bene dopo che l'Atletico Madrid era rimasto in 10, ma la squadra di Wenger ha confermato ancora una volta la sua fragilità mentale

MIRACOLO DI OBLAK, È LA PARATA DELL'ANNO?

GRIEZMANN SEGNA, IMPAZZISCONO TUTTI I...SIMEONE!

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In seguito ai roboanti quarti di finale di Champions League, ricchi di gol e di colpi di scena, Jonathan Wilson si chiedeva se in questa fase della stagione in cui i campionati nazionali perdono di competitività e anche le grandi squadre finiscono per ammorbidirsi non fosse più difficile difendere.

Indirettamente gli ha fatto eco Simeone al termine della partita, sottolineando l’impresa «eroica» dei suoi giocatori: «Vedere come spingevano e come la squadra cercava di reinventarsi minuto dopo minuto, è la cosa più bella che può regalare il calcio, quando la gente difende. Voi non avete idea di quanto sia difficile difendere, è più facile giocare con il pallone, ma per difendere bene per ottanta minuti come abbiamo fatto noi, bisogna avere dei coglioni enormi».

I primi dieci minuti: la svagatezza dell’Atlético

L’espulsione di Vrsaljko piovuta dopo 9’ sul piano gara dell’Atlético ha inevitabilmente spezzato in due il corso della partita, che da quel momento è diventata un archetipo della contrapposizione tra le due filosofie di gioco. Per ottanta minuti l’idea che abbiamo dell’Arsenal si è scontrata con l’idea che abbiamo dell’Atlético: da una parte una squadra in grado di produrre un calcio intenso e divertente, fatto di combinazioni palla a terra, sponde e cambi di gioco, tristemente destinato ad andare in fumo una volta varcata la soglia della trequarti; dall’altra una squadra cinica e coraggiosa, in grado di difendere la propria porta con la solita irriducibile tenacia, rispedendo al mittente, con qualunque parte del corpo, ogni pallone vagante nei pressi dell’area di rigore.

L’espulsione sembra aver persino aiutato l’Atlético a ritrovare quella compattezza che ha caratterizzato il ciclo di Simeone dopo un avvio di partita irriconoscibile. Esemplare, in questo senso, l’azione del primo giallo collezionato da Vrsaljko, costretto a stendere Wilshere con un fallo tattico abbastanza violento, dopo che Giménez gli aveva recapitato un passaggio pigro, di molto fuori misura, pur essendo libero dalla pressione avversaria. Nei minuti successivi, l’Arsenal aveva anche costruito due grandi opportunità per passare in vantaggio, entrambe con Lacazette, a cui la prima volta ha negato il gol il palo e la seconda Oblak, che anche ieri ha fatto la differenza. Di lì a breve è arrivata una terza occasione: un tiro dal limite dell’area che Welbeck ha fatto sembrare più velleitario di quanto non fosse, strozzando la conclusione.

L’Arsenal si è reso tanto pericoloso nei pochi minuti giocati in parità numerica quanto in quelli successivi con un uomo in più, a conferma di come l’Atlético fosse entrato in campo con il piede sbagliato, e sia riuscito poi a invertire la rotta. Di come difendere sia una questione di testa, oltre che di huevos.

L’Arsenal attacca con molti uomini sopra la linea del pallone e trova facilmente spazio tra le linee dell’Atlético. Nessuno pressa il portatore di palla, tutto troppo facile per Xhaka e Özil

L’Atlético aveva iniziato la partita con la consueta struttura: due linee da quattro in difesa e a centrocampo, e Griezmann ad agire da seconda punta alle spalle di Gameiro. La squadra di Simeone è apparsa incerta anche sull’atteggiamento difensivo da adottare, a partire dall’assegnazione della marcatura su Xhaka, schierato nel ruolo di regista davanti alla difesa.

Così l’Arsenal ha ripetutamente trovato uomini liberi tra le linee di pressione, capitalizzando l’atteggiamento spregiudicato con cui Wenger ha aggredito la partita. In fase di impostazione i due terzini, le due mezzali e i tre attaccanti si alzavano sopra la linea della palla occupando in ampiezza tutta la metà campo dell’Atlético.

L’Arsenal ha mostrato una certa incoscienza nella volontà di attaccare con questa struttura disordinata, esposta alle potenziali transizioni dell’Atlético, ma sorprendentemente sono stati gli spagnoli a soffrire l’imprevedibilità tecnica degli avversari, a faticare negli scivolamenti laterali, perdere addirittura dei palloni preziosi a centrocampo che hanno aperto la strada agli attacchi dei Gunners.

Nei primi minuti le due squadre sembrano invertirsi i ruoli: l’Atlético perde un pallone a centrocampo e si fa sorprendere con una struttura disordinata, mentre l’Arsenal fa densità nella zona della palla, con i terzini stretti, e riparte con molti uomini.

Il resto della partita: un assedio con poche emozioni

Dopo l’espulsione Simeone ha spostato Thomas Partey, il suo coltellino svizzero preferito, in posizione di terzino destro, nel buco lasciato da Vrsaljko. Koke è passato al centro al fianco di Saúl, e Griezmann ha preso il suo posto sulla fascia sinistra, con Gameiro nominalmente unica punta ma nella sostanza centrocampista aggiunto, votato alla chiusura degli spazi.

Con questa struttura, l’Atlético ha recuperato in fretta un’efficiente solidità difensiva, accontentandosi di lasciare il pallone tra i piedi dell’Arsenal (il dato finale sul possesso si presenta decisamente sbilanciato: 76% contro 24%). Confermando quanto tutti i giocatori abbiano assimilato l’identità votata al sacrificio e alla resistenza, l’Atlético è riuscito anche a fare a meno della guida spirituale di Simeone, che si è fatto cacciare in tribuna intorno al dodicesimo minuto per una serie di insulti poco cordiali rivolti a gran voce in direzione dell’arbitro.

Scene di ordinaria trincea: l’area dell’Atlético come il raccordo anulare all’ora di punta.

L’Arsenal nel frattempo ha continuato a ruotare tutti gli uomini offensivi e ad utilizzare Monreal e Bellerín, ieri particolarmente brillanti, come attaccanti aggiunti. Tuttavia, con il centro del campo sempre più ingolfato, è riuscito a rendersi pericoloso solo con i cross, 37 in tutta la partita contro i 3 dell’Atlético. Il solo Özil si è rifiutato di assecondare la comfort zone dell’Atlético e ha tentato un solo cross (le statistiche ne contano 5, ma 4 di questi sono calci d’angolo battuti in area).

Per tutto il primo tempo, e a sprazzi anche nel secondo, Özil ha rappresentato la mina vagante dell’attacco dell’Arsenal, occupando senza riferimenti tutta la trequarti, completando 7 dribbling su 8 tentati, infilandosi con il pallone in corridoi impercettibili all’occhio umano, e affermando «una superiorità che non è numerica, ma puramente calcistica», come ha scritto Miguel Quintana.

La struttura offensiva dell’Arsenal ben delineata dalle posizioni medie: baricentro altissimo, i terzini utilizzati come ali, Xhaka perno del centrocampo, massima libertà riservata a mezzali e attaccanti (via Wyscout).

Oltre alla fantasia e all’ispirazione di Özil, l’altra chiave per strozzare sul nascere ogni attacco dell’Atlético è stata il gegenpressing. Con un’applicazione poco sistematica ma molto efficace, l’Arsenal ha recuperato 24 palloni nella metà campo avversaria, contro i 14 recuperati dall’Atlético (di cui soltanto 2 nel secondo tempo, quando gli spagnoli hanno rinunciato definitivamente a mettere piede oltre la linea di metà campo).

Proprio sulla riaggressione, l’Arsenal ha costruito il gol del momentaneo vantaggio. Dopo l’ennesimo cross di Monreal respinto dalla difesa, Griezmann ha tentato un tunnel al limite dell’area ai danni del terzino spagnolo, in un momento di frustrazione che avvalora la tesi di Simeone: è più facile, nel senso di più naturale, anche più divertente, giocare con il pallone e attaccare, e può capitare di perderlo ingenuamente dopo un’ora di gioco passata a inseguirlo.

Il tunnel non è riuscito e l’onnipresente Wilshere ha raddoppiato e recuperato il pallone, poi lo ha crossato sulla testa di Lacazette in una delle rare occasioni in cui un difensore dell’Atlético (in questo caso Lucas Hernández) non è riuscito a prendere contatto in partenza con l’avversario.

La brillante prestazione di Lacazette, finalmente decisivo anche in zona gol, oltre al consueto pacchetto di sponde a tutto campo.

Gli ultimi dieci minuti: i rimpianti dell’Arsenal

Dopo il gol del vantaggio, l’Arsenal ha fiutato la possibilità di iscrivere una netta ipoteca sul passaggio del turno, ma ha continuato ad attaccare con una certa fatica. La scelta di Wenger di non effettuare neanche una sostituzione contro una squadra stanca e priva di velleità offensive ha sollevato diverse critiche tra i tifosi e sulla stampa britannica, e in effetti l’Arsenal avrebbe giovato di ossigeno dalla panchina per gestire meglio gli ultimi delicati frangenti della partita.

Quando mancavano poco meno di dieci minuti al termine, l’Arsenal ha concesso l’unica conclusione del secondo tempo dell’Atlético (o meglio, le uniche due, perché Griezmann si fa prima respingere il tiro e poi segna sulla ribattuta) e ha seriamente compromesso le possibilità di accedere alla finale di Lione. È un gol che incrocia così perfettamente il destino masochista e autodistruttivo dell’Arsenal che potrebbe servire da base di un romanzo, se solo quel romanzo non fosse stato già scritto più di venticinque anni fa.

Nell’ordine: Welbeck decide di lanciarsi in un tunnel di quattro giocatori dell’Atlético e ne esce malconcio, rotolando sul prato; Gímenez recupera il pallone e disegna un lancio lunghissimo in direzione di Griezmann; Koscielny sembra poterci arrivare per primo, o almeno coprire la traiettoria con le spalle, ma cade con il sedere a terra nel tentativo di rinviare in rovesciata; Ospina copre benissimo lo specchio con il corpo, ma il pallone gli passa sotto le gambe e ritorna a disposizione di Griezmann.

Sarebbe di per sé un’azione abbastanza surreale, ma non è finita: Mustafi, che seguiva l’azione da lontano, decide di tentare un ultimo disperato affondo ma inciampa da solo all’interno dell’area piccola; cadendo a terra riesce ugualmente a deviare il secondo tiro di Griezmann, ma non abbastanza da impedire che il pallone varchi la linea di porta.

L’Arsenal ha ormai perso la caratteristica densità nella zona della palla, i terzini sono larghi senza che ce ne fosse bisogno, Mustafi non si accorge neanche del lancio a palla scoperta, Koscielny parte con almeno un metro di ritardo su Griezmann.

Nell’epilogo più beffardo possibile l’Atlético pareggia, Griezmann imita la danza di un videogioco mostrando al pubblico dell’Emirates la “L” della sconfitta (sarebbe tecnicamente un pareggio, ma suona come tale) mentre Wenger si aggiusta nervosamente i polsini della camicia, assomigliando particolarmente a un’aquila.

Più tardi Wenger ha descritto l’esito della gara di andata in termini catastrofici, definendolo «il peggior risultato possibile», e non si fa fatica a comprenderne le ragioni. Ha anche aggiunto che l’1-0 sarebbe stato un ottimo risultato, e che all’Arsenal era rimasto «un solo compito, non farci sorprendere da una palla lunga. L’Atlético non aveva altro modo di creare un’opportunità se non ricorrere alle palle lunghe».

Wenger tende a fidarsi molto dei suoi giocatori, che in questi giorni, dopo la notizia della sua partenza, lo hanno pubblicamente ringraziato con messaggi di grande affetto e stima. D’altra parte, in previsione di eventuali pericoli che poi si sono effettivamente verificati, avrebbe potuto prendere delle contromisure, come inserire un terzo difensore centrale per coprire meglio l’ampiezza e quindi la profondità.

Invece ha lasciato Mustafi e Koscielny esposti in una situazione che non sono stati in grado di gestire, e l’Atlético ha saputo sfruttarla per portare a casa il pareggio. Per centrare l’ultimo obiettivo stagionale, l’Arsenal dovrà segnare (almeno) un gol in casa dell’Atlético, dove anche quest’anno i colchoneros hanno registrato dei numeri difensivi senza senso: 9 gol subiti in 26 partite, 19 clean sheet stagionali di cui 11 consecutivi, striscia ancora aperta. Nel conto di tutte le competizioni, l’Atlético non subisce un gol in casa dal 20 gennaio.

In porta ci sarà ancora Oblak, a rendere tutto più complicato.

L’Atlético, d’altra parte, ha ottenuto il massimo da una situazione in cui s’era cacciato da solo, entrando in campo senza un’idea chiara su come contrastare i punti di forza dell’Arsenal. Alla lunga, però, il vantaggio di un’identità consolidata nel tempo e condivisa da tutti i giocatori ha mostrato i suoi benefici, anche in assenza di Simeone a bordo campo (che certamente non potrà allenare la partita di ritorno, e probabilmente anche l’eventuale finale). Nel calcio contemporaneo, giocare in difesa è sempre più difficile. È una realtà che vale per tutte le squadre, in tutti i campionati di vertice, tranne che per l’Atlético Madrid.