La straordinaria normalità di Fábio, il calciatore con più presenze nella storia

L'ha fatto in una notte importante, in un ottavo di finale di ritorno di Copa Sudamericana, non in una partita organizzata apposta per essere una passerella. È un record verissimo, uno dei più storici e rilevanti che si possano stabilire nel mondo di un calcio che in questa sua epoca tende a dispensare primati ad ogni cambio di luna, ma che questo lo fissa davvero, e chiede a tutti di celebrarlo con i dovuti onori. Il record che Fábio Deivson Lopes Maciel ha stabilito a Rio de Janeiro nella serata del 19 agosto 2025 è uno di quelli che piazza veramente una pietra miliare: Fàbio, mentre teneva la porta chiusa ancora una volta e vedeva il suo Fluminense battere 2-0 l'América de Cali per volare ai quarti di Sudamericana, è diventato il calciatore ad aver disputato più partite ufficiali da quando esiste questo gioco: 1391, una in più di un altro leggendario portiere come Peter Shilton, ma il divario è destinato ad allargarsi, visto che parliamo di un quasi quarantacinquenne ancora assestato al massimo del livello, cosa peraltro vista chiaramente anche al recente Mondiale per Club. E non pensate a un conto gonfiato, perché è vero che da quelle parti i numeri – soprattutto quelli storici – tendono ad essere approssimati per eccesso, ma in questo caso i conti sono certificati. 1391 partite a difendere i tre pali, sempre con quello stile efficace e marcatamente sobrio che magari durante i ventotto anni della sua carriera professionistica lo ha messo in secondo piano rispetto a figure un po' più scenografiche e infinitamente più fugaci, ma che gli ha permesso di essere sempre un punto di riferimento. In tutte le squadre in cui ha giocato. Che poi, specialmente per uno che è in giro da quasi un trentennio e ha giocato più partite di chiunque altro, sono incredibilmente poche: solamente quattro. Due su tutte. Dal cuore della Terra alla vetta del mondo La storia di Fábio è quella di uno dei tanti ragazzi che vengono dalle zone interne di quello sconfinato, ineguagliabile universo di mescolanze, contrasti, risorse, paradossi e passione per il calcio che è il Brasile. Fábio non è nato in uno dei grandi punti urbani del Paese, e neanche nei suoi dintorni. Viene da Nobres, esattamente al centro del Mato Grosso, un posto dove il pianeta Terra riesce ancora a sentire i propri respiri e regala spettacoli naturali impossibili da descrivere efficacemente con le parole. Bisogna vederli, e infatti il momento storicamente più importante nella tradizione di Nobres – al netto di battaglie fra popolazioni indigene e colonizzatori – accadde nel 1913, quando in una fazenda del posto si accampò niente meno che l'ex Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, che si trovava assieme al Maresciallo Rondon alla guida di una spedizione scientifica il cui obiettivo era verificare se il Rio da Dùvida fosse o meno un affluente del Rio delle Amazzoni. Contesto estremamente affascinante, ma se stai lì e vuoi farti strada nel mondo del calcio, devi essere pronto a fare tanti, tanti chilometri...quasi novecento per la precisione, perché la prima delle quattro squadre che Fábio ha rappresentato in carriera è stata l'Uniao Bandeirante nello stato di Paranà, che ormai da una ventina d'anni non esiste più ma che all'epoca era un riconosciuto serbatoio di talenti per i club più importanti della zona sud del Brasile, nonché l'orgoglio della folcloristica famiglia Meneghel, specialmente del Comendador Luis, che aveva fondato il club a metà degli anni '60 e ne aveva fatto una delle sue tre grandissime passioni. Tutte, a ben vedere, curiosamente riassumibili dal termine inglese ‘shot’: quelli che ti bevi, quelli che fai con un fucile, e quelli che ammiri in un campo da pallone... Fábio però i colpi era quello che li parava. E pure molto bene. Perciò il salto verso uno dei due colossi del Rio Grande do Sul fu naturale: il Cruzeiro lo prese in prestito a diciannove anni, e non solo nessuno allora si poteva immaginare che ne sarebbe diventato uno dei massimi idoli storici, ma addirittura dopo un anno fu rispedito al mittente. Una tappa comunque breve, perché il viaggio ripartì immediatamente e la grande strada che si aprì di nuovo di fronte a lui fu quella che portava direttamente a Rio de Janeiro, al Vasco da Gama. Lì, fra i venti e i ventiquattro anni, ha debuttato ai massimi livelli, ha vinto i suoi primi titoli, è diventato titolare fisso di uno dei giganti carioca, ha cominciato ad annusare l'aria della Seleçao e ha anche rischiato di smettere di giocare. Tutto per un capriccio dello storico presidente cruzmaltino Eurico Miranda, che all'inizio del 2005 accusò il portiere di non essere rientrato a tempo debito da uno stage con la Nazionale, lo mise fuori rosa, bloccò ogni possibile trasferimento e finì anche davanti al Tribunale del Lavoro. Furono quattro mesi di stop forzato per Fábio, ma anche quelli in cui confezionò il ritorno al Cruzeiro. La sua squadra. La sua casa per i successivi sedici anni. Sedici anni in cui di partite ne ha giocate 976. Praticamente una vita. E come in un arco di vita, nella parte blu di Belo Horizonte Fábio ha vissuto qualsiasi tipo di avventura. Gioie, tante: dodici titoli, due campionati nazionali consecutivi, serate indimenticabili che ne hanno fatto un monumento del Mineirao. Ma anche dolori forti, come la finale di Libertadores persa nel 2009 e la clamorosa retrocessione del 2019, a cui lui, trentanovenne, rispose rimanendo al servizio della squadra persino in Serie B. O i numerosi gravi infortuni che lo hanno colpito. Ma il dolore più grande di tutti, probabilmente, gliel'ha procurato una fine immeritata: nel dicembre del 2021, a quarantuno anni compiuti, quando il suo contratto scadeva e lui chiedeva solo che gli venisse rinnovato per qualche mese. Era disposto a giocare quasi gratis e anche a rivedere tutti i crediti che vantava nei confronti di un club in enormi difficoltà finanziarie e al quale lui era disposto a dare tutto fino alla fine. Chiedendo in cambio una sola cosa: di poter disputare la partita numero mille per la Raposa e poter così salutare la gente che aveva accompagnato una fetta così grande della sua vita. E pensare che lui già cinque anni prima aveva pianificato di ritirarsi, una volta tagliato il già impensabile traguardo delle settecento gare per il Cruzeiro. E invece no, lo convinsero a continuare, si ruppe anche un crociato a trentasei anni e tornò forte come prima. Ma quella volta, alla fine del 2021, gli fu detto di no. Con una crudeltà incomprensibile. La motivazione ufficiale? La nuova dirigenza, quella che si sarebbe insediata definitivamente da lì a qualche settimana, aveva programmi diversi per il futuro del club. La dirigenza che faceva capo al nuovo proprietario del Cruzeiro: Luiz Nazario da Lima, per tutti Ronaldo il Fenomeno. Peraltro, uno dei mostri sacri a cui Fábio ha parato un rigore in carriera: Ronaldinho, Luis Fabiano, Rodrygo, Diego, Fred, Hulk... elenco lungo e illustre. E lì, quando per chiunque sarebbe arrivata una logica fine, lui ha rilanciato. Ha detto “sì, grazie” alla proposta del Fluminense, che lo ha portato a scrivere definitivamente la storia. A prendersi quella Copa Libertadores che gli era sfuggita quattordici anni prima per colpa del grande Estudiantes di Juan Sebastian Veron. A giocare un Mondiale per Club, e poi anche un altro, il primo con il nuovo format globalizzato, nel quale ha saputo ancora brillare. Fino al 19 agosto del 2025, alla partita di ritorno con l'America de Cali. La numero 1391, quella di un record monumentale stabilito da un portiere che ha sempre dato l'impressione di fare della normalità la sua incredibile straordinarietà, sia per come si pone in campo, sia per come si presenta fuori. Un grande portiere. E adesso, ufficialmente, un grandissimo volto della storia del calcio.

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Stefano Borghi