Il calcio femminile e la maternità: una storia di conquiste e tutele ancora da raggiungere

Ognuno dentro di sé ha la certezza che il vero privilegio nella vita è quello di poter scegliere. Non è per tutti, non è da tutti. E’ una questione di personalità, di possibilità e, sì certo, anche di genere. Soprattutto se parliamo di maternità. Soprattutto se ne parliamo in ambito sportivo, a livello professionistico, dove bisogna dare il massimo in un lasso di tempo molto concentrato, dove non ci sono margini per fermarsi a pensare. E forse una donna non vorrebbe nemmeno pensarci troppo, perché tanto poi il momento giusto non lo si trova mai. Semplicemente vorrebbe poter scegliere di diventare madre senza dover rinunciare alla propria individualità, alle proprie passioni, al proprio mestiere. E perché questo accada, sarebbe fondamentale innanzitutto potersi sentire al sicuro nel proprio posto di lavoro. Nel calcio femminile sono stati fatti dei grandi passi avanti. Nel 2021 la Fifa insieme alla FIFPro, il sindacato dei giocatori e delle giocatrici di tutto il mondo, ha introdotto nuove tutele per le calciatrici professioniste: i club di campionati femminili riconosciuti dalla Federazione internazionale dovranno garantire un congedo minimo per maternità di 14 settimane, di cui almeno 8 dopo il parto; in questo periodo, le atlete dovranno ricevere almeno due terzi dei compensi previsti in precedenza. Le giocatrici avranno anche il diritto di rimanere tesserate con la loro società di appartenenza durante il periodo di maternità. Al rientro dal lavoro dopo il congedo di maternità, infine, i club dovranno reintegrare le giocatrici e fornire loro un adeguato supporto medico e fisico. Le società sportive, inoltre, non potranno licenziare una giocatrice per essere rimasta incinta, né includere nei loro contratti clausole che non consentano alle calciatrici di essere madri. Gli effetti di queste nuove necessarie tutele si sono riversate sul nostro Paese dalla stagione 2022/23, quando in Italia il calcio femminile è diventato professionistico. La nostra Serie A sta diventando molto appetibile per le giocatrici straniere ed era necessario iniziare un percorso che si avvicini il prima possibile alle normative che già esistono negli altri campionati europei. All’inizio di questa stagione il Milan ha presentato una policy per la maternità delle tesserate, garantendo una serie di tutele durante la gravidanza e la prima infanzia dei figli, che vanno ad aggiungersi alle normative vigenti. Tra queste ci sarà il rinnovo automatico con prolungamento di un anno del contratto alle medesime condizioni economiche per le tesserate, in caso di scadenza contrattuale nella stagione sportiva in cui la gravidanza è iniziata. Assistenza per la cura dei figli nelle ore in cui l’atleta è impegnata nell’attività sportiva e supporto per voli, alloggi e altre spese di viaggio per i figli della tesserata che ha condotto la gravidanza o è responsabile unico del minore, insieme a un accompagnatore. L’Italia, dunque, ha iniziato a muovere i primi passi concretamente in una questione il cui percorso in altri Paesi ha avuto inizio già da parecchi anni. Nel 1999 si giocò la terza edizione ufficiale del Mondiale femminile di calcio con sede negli Stati Uniti. La finale a Pasadena, al Rose Bowl, stadio famoso per il tradizionale Rose Bowl Game, match di football americano universitario che si disputa all’inizio di ogni anno. Squadre in campo: Usa e Cina. Le stelle americane sono tutte presenti, da Mia Hamm a Michelle Akers, in attacco. In difesa presenti Joy Fawcett e Carla Overbeck. Entrambe furono titolari anche nella finale della prima edizione ufficiale del Mondiale femminile di calcio che si disputò nel 1991 in Cina . E la particolarità è che a quel tempo Joy Fawcett era Joy Biefeld, mentre Carla Overbeck era Carla Werden. Otto anni dopo erano sempre le stesse calciatrici, ma presenti sul retro della maglia con il cognome da sposate. E non solo, a Pasadena riuscirono a portare i loro figli grazie alla Federazione statunitense, che si accollò le spese di babysitting per permettere alle madri di disputare la finale. Nella formazione statunitense della finale mondiale del 1999 spunta anche il nome di Kate Sobrero, allora 23enne, che dieci anni dopo nella versione maritata di Kate Markgraf, rimase incinta di due gemelli, ma non ebbe la stessa fortuna delle compagne sopraccitate. Il suo caso, infatti, rappresentò l’inizio di una battaglia legale che portò a una svolta definitiva negli Usa riguardo alle tutele per la maternità. Kate venne messa a riposo e, poco dopo il parto, l’allora ct Pia Sundhage le comunicò che non sarebbe stata richiamata in Nazionale. E’ così che la forza scatenata da una forte delusione la spinse a fare causa per ottenere diritti tutt’oggi in vigore sotto la ormai cosiddetta “regola Markgraf”. Il traguardo arrivò con la conferma che le clausole di tutti i contratti e le trattative collettive includessero sempre una copertura completa per le giocatrici durante e dopo la gravidanza, permettendo alle giocatrici - autorizzate dal punto di vista medico - dopo il parto di tornare a competere per il loro posto. “Da quel momento nessuno ha dovuto affrontare una telefonata come quella che ho subito io e che, emotivamente e mentalmente, ho fatto davvero fatica a superare negli anni”, ha raccontato Kate, che dal 2019 è direttore generale della USWNT, la Nazionale femminile statunitense. Negli anni successivi ha ottenuto anche che i contratti prevedessero delle agevolazioni per i genitori con servizi di assistenza all'infanzia e riconciliazione con le famiglie nei tornei più importanti. Tante sono state fino a oggi le giocatrici statunitensi ad aver usufruito di queste nuove normative, da Alex Morgan a Crystal Dunn, ma anche Julie Ertz, nata Johnston, sposata con un famoso tight end di football americano. Julie diventò madre per la prima volta nell’agosto del 2022, quasi un anno dopo tornò sui campi firmando un contratto con l’Angel City e ricevendo la convocazione in Nazionale per disputare i Mondiali in Australia e Nuova Zelanda. In questa direzione non si sono mossi soltanto gli Stati Uniti, altri Paesi hanno già preso provvedimenti da tempo. La Federazione calcistica spagnola ha firmato un accordo con la Nazionale iberica per permettere ai famigliari diretti delle giocatrici di essere presenti durante i tornei così che i figli possano stare con le loro madri. “E’ importantissimo che io possa stare con mio figlio Mateo”, disse Irene Paredes proprio in occasione dei Mondiali dell’anno scorso quando la Federazione, appunto, ha permesso alla compagna della giocatrice del Barcellona di partire per l’Australia e la Nuova Zelanda con il loro piccolo bambino. Lo stesso percorso è stato fatto dalla federazione francese e da quella australiana. A luglio prossimo in Svizzera si disputeranno gli Europei femminili di calcio. Tra le squadre partecipanti ci sarà anche l’Italia nella cui rosa, però nessuna delle giocatrici ha figli, ma siamo certi che se le tutele aumenteranno, anche le nostre azzurre si sentiranno più protette e potranno scegliersi il loro personale futuro senza paura.