La storia di Aitana Bonmatí e il secondo di tanti Palloni d'Oro

Un anno fa di questi tempi, Aitana Bonmatí faceva la sua gloriosa fotografia di fianco a Messi. Il quotidiano sportivo madrileno Marca ebbe il guizzo per la sintesi perfetta. Scrisse che i Palloni d’Oro di Messi erano otto, quello di Bonmatí il primo di tanti. Quanti, sarebbe dipeso solo da lei. Dodici mesi più tardi sono già diventati due, e stavolta si tratta di un'impresa finanche più grande, perché nel più grande evento internazionale dell'anno - le Olimpiadi - la Spagna non è salita neppure sul podio. Le americane avrebbero potuto sfilare il Pallone d'Oro a Bonmatí, invece sono finite nella stessa trappola del Real maschile e del Liverpool di cinque anni fa. Il consenso si è sparpagliato, i voti sono andati dispersi. Non quelli per le giocatrici del Barcellona che hanno vinto la Champions, tre fra le prime tre, Aitana sopra tutte. È arrivata sulla scena del calcio mondiale con la forza di quel potere rivoluzionario raccontato da Lisa Levenstein in un libro dal titolo ormai troppo citato, nessuno l'ha vista arrivare, non ha fatto rumore e non ha sollevato la polvere. Aitana Bonmatí era inizialmente una carta di riserva, la ragazza a cui il Barça e la Nazionale spagnola si sarebbero affidate una volta rimaste senza Alexia Putellas, un crociato rotto nel momento peggiore, alla vigilia degli Europei 2022. Senza avere il fisico della cyborg, con 1 metro e 61 d'altezza e 55 chili di peso, si è messa alla guida di una doppia ciurma capace di vincere tutto, dentro i confini e fuori. Campionati, Coppe, i Mondiali in Australia, il premio di miglior giocatrice del torneo e di più brava d’Europa. Senza dar alcun peso al peso che portava, la maglia numero 14 di Cruyff sulle spalle, i paragoni di Guardiola con lo stile di Iniesta, la frase di Xavi che ha detto di rivedersi in lei. Aitana si è affidata a un team per diventare Bonmatí: un preparatore fisico , due fisioterapisti, uno psicologo, un esperto di biomeccanica, un nutrizionista. Ogni mattina a colazione mangia due crostini di pane di farro con avocado e formaggio, manchego se possibile, altrimenti basta che sia secco, beve un caffè con latte d’avena e un kiwi giallo. E' così che si diventa la migliore calciatrice del mondo nel momento in cui la scena si fa liquida, va via Megan Rapinoe, smette Alex Morgan, le USA scoprono che esiste un mondo maldisposto a sopportare la loro egemonia. La Spagna, innanzitutto. Un Paese che ha un campionato professionistico solo da tre anni. Le giocatrici hanno dovuto scioperare nel 2019 e minacciare di rifarlo per ottenere un accordo di contrattazione collettiva. Chiedevano un salario minimo che non le costringesse più a doversi cercare un altro lavoro per pagare l’affitto di casa. Chiedevano tutele e diritti per diventare madri senza smettere. In Federazione hanno impiegato un anno e mezzo per scrivere il testo e alla fine hanno fissato in 16mila euro lordi l'anno lo stipendio sotto il quale non è lecito scendere. Ma sono considerate prof solo le donne che dedicano al calcio il 100 per cento del tempo, non più il 75 come prima, così ci sono club che fanno firmare contratti part-time e dribblano la legge. Quindici anni fa giocavano a calcio 33mila ragazze spagnole. La cifra è stata triplicata, ma soprattutto il calcio in Spagna è diventato un avamposto per il processo di emancipazione e autodeterminazione delle donne. La vittoria ai Mondiali nell’estate del 2023 ha incrociato due passaggi della vita politica e sociale del Paese. È arrivato nella domenica che precedeva l’inizio delle consultazioni per dare un nuovo governo al Paese. Dalle urne non era venuta fuori una maggioranza netta, il Paese si era scoperto spaccato e molti editoriali sottolineavano come le Rojas potessero essere invece un esempio, lo vedete che uniti si vince. Il secondo incrocio, perfino più fatale, fu quello con l’entrata in vigore della legge del ‘solo sí es sí’, la legge che considera stupro un approccio sessuale senza consenso esplicito. Quel titolo Mondiale della Spagna avremmo finito per ricordarlo più per il bacio del presidente Rubiales a Jennifer Hermoso che per i gol di Salma Paralluelo e Olga Carmona. Un Mondiale nato dopo una rivolta, un ammutinamento di quindici calciatrici contro il Ct Jorge Vilda. Chiesero la sua testa per dei metodi tossici che non gradivano, la Federazione non le accontentò, loro si defilarono. Quando Vilda fece le convocazioni definitive, ne richiamò solo tre. Aitana Bonmatí era una di loro. Non era tornata dalla ribellione per chiedere perdono. Era tornata per vincere. Se Aitana Bonmatí si trovava fra le ribelli, era perché le hanno insegnato a dire quel che si pensa, cascasse il mondo. Ha avuto dei genitori che volevano registrarla all’anagrafe con il cognome della madre prima di quello del padre. Era vietato. Si batterono con delle associazioni per forzare quel limite. Vinsero la battaglia. Ecco perché Aitana non si chiama Conca come papà Vicent, professore di lingua e letteratura catalana, lo stesso mestiere di sua madre. La battaglia familiare era legata al passato dell’uomo. Vicent era stato arrestato nel 1992 alla vigilia dei Giochi di Barcellona. Era considerato un attivista dei movimenti indipendentisti, un membro di Terra Lliure. Era stato torturato con la testa dentro una bacinella d’acqua, con la pistola alla bocca. Lo avevano tenuto per quattro giorni in isolamento. Quando lo liberarono sporse denuncia alla Corte dei diritti umani di Strasburgo. Dodici anni più tardi gli hanno dato ragione. Gli agenti della Guardia Civil sono stati condannati. E’ una storia che Aitana Bonmatí ha sentito raccontare in famiglia e quando parla dei genitori dice che sono “persone che hanno voluto cambiare il mondo, hanno voluto correggere la disuguaglianza che esiste tra uomini e donne”. E’ nata a Sant Pere de Ribes, dove giocava a calcio anche quando aveva 7 anni. Dice che da piccola non le piaceva truccarsi ma adesso sta imparando. E’ cresciuta tra i libri ma quando ha avuto bisogno di guadagnarsi da sola dei soldi è andata a raccogliere frutta nei campi. Lei stesse ha pubblicato un’autobiografia, si chiama ‘United We Are Stronger’, nella quale racconta gli insulti incassati per il calcio, era un mondo di uomini, cosa voleva lei, cosa ci faceva lì in mezzo. Ha scritto: “Mi sono messa addosso una conchiglia”. Aitana Bonmatí è considerata fra le donne più influenti di Spagna, non solo nello sport. El Pais ha scritto che i suoi gol hanno spezzato gli artigli del maschilismo. Un anno fa, per consegnarle il Pallone d’Oro, venne chiamato Novak Djokovic. Gli uomini si chiesero cosa ci facesse un tennista, le donne si chiesero cosa ci facesse un uomo. Stavolta è stata premiata da Natalie Portman, una delle protagoniste della Women's March di Los Angeles del 2018 a sostegno del Movimento Me Too. La prova che sbagliando si impara. Perfino in un mondo che i maschi continuano a dominare.

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