"Sessismo, omofobia e patriarcato: la nostra battaglia da calciatrici per la Spagna"

#SeAcabó. A partire da questo hashtag le giocatrici spagnole sono riuscite nell’estate del 2023 ad attirare l’attenzione mediatica e a far dimettere il presidente della federazione spagnola Luis Rubiales. I fatti sono noti: ad agosto la Spagna vince il suo primo -e meritatissimo- Mondiale di calcio femminile, ma durante i festeggiamenti Rubiales si 'prende la scena'. Prima esulta in maniera sfrontata e poco elegante in tribuna e poi bacia senza consenso una giocatrice, Jennifer Hermoso. Seguono settimane di polemiche, accuse e discussioni, la vittoria del Mondiale passa tristemente in secondo piano. La situazione degenera quando Rubiales in conferenza stampa dichiara di non volersi dimettere e che il bacio era consensuale. È la goccia che fa traboccare il vaso. Alexia Putellas twitta: “Esto es inaceptable. Se acabó. Contigo compañera Jenni” . Le campionesse del Mondo si uniscono e ciascuna di loro twitta #SeAcabó. È finita. Ma è solo l’inizio. Decidono di scrivere una lettera per chiedere ufficialmente che Rubiales non sia più il presidente federale. Nessuna di loro tornerà in nazionale se Rubiales sarà ancora al suo posto. La lettera viene firmata dalle campionesse del Mondo e non solo. Anche le giocatrici non convocate e le ex nazionali firmano. A coinvolgere le ex giocatrici ci pensa Veronica Boquete, simbolo e seconda miglior marcatrice nella storia della nazionale spagnola . Boquete ha indossato la maglia della nazionale roja dal 2005 al 2017 e oggi gioca in Serie A, alla Fiorentina. Ha vissuto il Mondiale da commentatrice televisiva e ha visto dalle telecamere ciò che è accaduto durante i festeggiamenti. Per il suo ruolo attivo nel movimento #SeAcabó e per la sua importanza nel calcio spagnolo ha partecipato al documentario di Netflix 'SeAcabó', in cui alcune giocatrici hanno raccontato cosa è successo nelle settimane tra la vittoria del Mondiale e le dimissioni di Rubiales. Ma non solo. Già prima del Mondiale alcune giocatrici avevano rinunciato alla nazionale perché non trattate come professioniste dalla Federazione e dall’allenatore. Alcune di loro hanno rinunciato alla possibilità di vincere la Coppa del Mondo per far sentire la propria voce. Ancor prima, nel 2015, le giocatrici si erano unite per chiedere un cambio alla guida tecnica, stanche dell’ex Ct Quereda . Di questo e molto altro ci ha parlato Veronica Boquete in un’intervista esclusiva a Sky Sport Insider. "Tutta questa storia comincia già da un po' prima. Nel 2015 per la prima volta noi calciatrici chiediamo dei cambiamenti e questa lotta del 2023 ne è un po’ la continuazione. Nel 2015 abbiamo chiesto un cambio di allenatore per dare una spinta al calcio femminile, nel 2023 è stato fatto invece per poter competere e vincere. Nel 2015 ero il capitano e quindi avevo un ruolo molto più attivo, mentre tutto quello che è successo adesso l’ho vissuto più in secondo piano. Però sono sempre stata presente, ho dato il mio supporto, tante delle giocatrici sono mie amiche e mi raccontavano tutto. Quando è successo il tutto, io facevo la commentatrice in una tv e tante volte ho cercato di spiegare la loro posizione, visto che loro non potevano parlare". Le Campionesse del Mondo hanno raccontato che dopo la vittoria del Mondiale non sono riuscite a godersi a pieno la vittoria e che nei giorni successivi erano divise tra felicità e rabbia. Tu come hai vissuto quei giorni? “Un po' come loro. Quello che è successo durante i festeggiamenti, e mi riferisco al bacio ma anche al comportamento dell’ex presidente in tribuna, ha oscurato quello che era davvero importante: il successo sportivo e la vittoria della Spagna. Purtroppo, hanno rubato quel momento a tutte loro e per settimane si è parlato molto di più di tutta la situazione extra sportiva e pochissimo del fatto che per la prima volta la nazionale spagnola femminile fosse Campione del Mondo. Per me, sono state giornate di delusione ma allo stesso tempo di felicità per l'esito sportivo. Li ho vissuti un po' anche con la rabbia, perché ancora una volta qualcuno aveva rubato il momento alle vere protagoniste, le calciatrici”. Nel documentario le Campionesse del Mondo hanno raccontato delle difficoltà vissute negli anni da giocatrici della nazionale. Qual è stata la tua esperienza nella Spagna? “Sono stata quattordici anni in Nazionale, da quando avevo 16 anni, e ho vissuto tutto quello che hanno raccontato. Loro hanno vissuto anche il buono, ovvero l’esito sportivo e la vittoria del Mondiale, io no. La normalità era avere persone in ruoli importanti che però non avevano la capacità e la voglia di ricoprire. Questa è stata la situazione per tanti anni. La Federazione mai aveva creduto veramente nel calcio femminile, lo tenevano perché dovevano tenerlo ma le persone dentro lo staff tecnico e della dirigenza non erano veramente appassionate del movimento. Nel 2015 abbiamo detto per la prima volta ‘basta’, a dire il vero già anni prima avevamo cercato di trovare un cambio tecnico e di fare qualcosa, ma senza successo. Nel 2015 abbiamo partecipato per la prima volta al Mondiale e dopo l’eliminazione ai gironi ci siamo unite tutte e 23 per avere dei cambiamenti. È cambiato l’allenatore, ma anche tante altre cose e persone, ma alcune di noi hanno pagato le conseguenze di quella protesta. Penso però che il fatto di aver vinto il Mondiale anni dopo abbia dimostrato che c’era un po' di ragione nelle nostre richieste. Questo era il potenziale del calcio femminile e prima non siamo arrivate a quel punto perché non eravamo messe nelle condizioni di cui avevo veramente bisogno”. Quali erano queste condizioni che mancavano? “Mi riferisco al fatto di non essere riconosciute come professioniste e al non poter vivere con il calcio. C'erano calciatrici che dovevano rinunciare alla nazionale perché non avevano più giorni di vacanza e inoltre economicamente la nazionale non ti dava nulla. Viaggiavamo alle tre o alle quattro della mattina per giocare il giorno stesso, siamo arrivate in Canada per giocare il Mondiale due giorni prima della prima partita e immagina il jet lag il giorno dell’esordio… in più c’era uno staff tecnico ridotto e non professionista. L’affermazione del calcio femminile spagnolo nasce da qui, dai nostri sforzi e dalle nostre richieste di essere trattate come calciatrici professioniste”. Dal 1988 al 2015 il Ct è Quereda, che poi viene sostituito da Vilda. Entrambi sono molto criticati nel documentario, qual è stata la tua esperienza con loro? “Con Quereda abbiamo vissuto anni di commenti sessisti e omofobi. Come allenatore trasmetteva molta paura… la gente aveva paura ad andare in nazionale, aveva paura a giocare per le grida dell’allenatore, aveva paura di qualsiasi commento sportivo o extra sportivo che il mister poteva fare. Posso un po’ capirlo, come ho già detto in passato, ma non difenderlo. Era un uomo di una generazione diversa e come tale l’educazione che ha ricevuto è totalmente differente dalla nostra. Qualcosa del suo atteggiamento si può capire… quello che non è difendibile erano i suoi i commenti e le sue attitudini. Con Vilda invece la situazione è stata un po' diversa. È un allenatore più giovane ed era arrivato con il beneplacito di tutta la nazionale. In quel momento l'unica cosa che cercavamo era un cambio, ma dal primo momento ci siamo trovate davanti un allenatore insicuro e che l'unica cosa che voleva era rimanere lì il più tempo possibile. Questo è il problema che abbiamo avuto sempre: la gente voleva stare lì non per le proprie capacità o per la voglia di fare, ma per il buon contratto e la buona vita che poteva avere. E alla fine chi gioca e chi fa i sacrifici sono sempre le atlete…”. Con Vilda le cose non andavano né in campo né fuori... “Lo stile di Vilda era molto da ‘controllore’: dovevamo lasciare le porte aperte delle camere perché lui voleva poter controllare che stessimo lì. Noi capitane non potevamo sederci insieme durante i pasti, dovevamo stare sempre in tavoli diversi e sempre in contatto visivo con lui. Questo era il suo stile… e tutto questo lo si può sopportare se a livello sportivo mi arriva qualcosa, ma non è stato così, anzi. Prima con Quereda e anche dopo con Vilda quando arrivavano i momenti importanti non c'era mai a livello sportivo la mano del mister. E alla fine, tra condizioni extrasportive e sportive, il risultato è che non potevamo competere perché effettivamente non avevamo un allenatore all'altezza”. Negli anni voi calciatrici spagnole avete lottato per essere trattate e riconosciute come professioniste, ma la strada è ancora lunga. Secondo te cosa bisogna fare ancora per il calcio femminile e per voi atlete? “Bisogna fare tanto. È chiaro che alcune condizioni sono cambiate ma la nazionale è l’1% del calcio femminile in Spagna. C'è un altro calcio tanto grande e tanto ampio che non ha le stesse condizioni e che ugualmente dipende dalla federazione, allora quel miglioramento deve essere ampliato. È vero che a livello di società ogni anno si fa uno sforzo e un lavoro migliore, ma secondo me, se parliamo della nazionale e parliamo della federazione, c’è ancora molto da fare. La Spagna è campione del mondo ma a livello di campionato non è ancora la migliore. L’Inghilterra, senza aver vinto il Mondiale, ha un campionato molto più attrattivo per i tifosi e gli stadi sono tutti sold out. Anche la sostenibilità del calcio femminile è un tema importante. È facile dire ‘non è sostenibile perché non genera dei soldi’, ma in nessun momento si fa un progetto o una strategia seria per provarci bene e veramente. Lo ha fatto solo l’Inghilterra e lì il calcio femminile ha dimostrato di essere totalmente sostenibile. Penso che in questo la Spagna e anche il resto dei Paesi debbano fare di più. Ma per fare di più bisogno che la gente che prende queste decisioni sia veramente capace e che abbia una strategia e la capacità per portarla avanti”. Hai detto ‘anche altri Paesi’, ti chiedo allora che calcio hai trovato in Italia, visto che giochi qui ormai da diversi anni: “In Italia ho trovato quello che c’era in Spagna un paio di anni fa. Penso che il percorso sia un po' lo stesso, dal momento in cui la federazione dà una mano e le grandi società iniziano ad avere la squadra, il calcio femminile cresce. Ma il percorso è ancora lungo. Se diciamo che la Spagna ancora deve migliorare e siamo campionesse del mondo, immagina l’Italia, che a livello sportivo non è ancora riuscita a fare una cosa del genere. La federazione e le società devono andare avanti mano nella mano e cercare di influenzare tutto il movimento, non solo la nazionale e la Serie A ma anche i campionati minori. Credo che negli ultimi anni l’arrivo del professionismo abbia aiutato. Il fatto che sempre più calciatrici straniere vogliono venire a giocare in Serie A è importante, ma ci sono tanti altri miglioramenti da continuare a fare, se no si starà sempre un po' indietro rispetto agli altri Paesi”. Non so se conosci Michela Murgia, era una scrittrice italiana che nel 2023 è morta a causa di un tumore. Ti parlo di lei perché nelle sue opere ha spiegato la differenza tra ‘colpa’ e ‘responsabilità’. Quando si parla di differenze di genere molti uomini dicono che loro trattano bene le donne e che non hanno nessuna colpa per la condizione della donna. Murgia dice che è vero: non tutti gli uomini sono colpevoli ma tutti sono responsabili della società in cui viviamo. A voi calciatrici chiedono sempre di mandare un messaggio alle bambine e alle donne, a me invece piacerebbe che tu -alla luce di quello che sosteneva Michela Murgia- mandassi un messaggio ai bambini e agli uomini: “Penso che ai bambini piccoli non si debba dire nulla. Noi in Spagna lo abbiamo vissuto in questi anni, adesso ci sono tanti bambini e bambine che vogliono essere Alexia Putellias o Aitana Bonmati o Jennifer Hermoso. I bimbi crescono così: quello che vedono è quello che vogliono diventare, è uguale se sei un uomo o una donna. Fino a poco fa c'era solo il calciatore uomo e allora anche per noi bambine era normale avere idoli maschili. Io stessa sono cresciuta con riferimenti maschili e non femminili, ma adesso questo sta cambiando. Il problema sono sempre gli adulti. E purtroppo soprattutto nel mondo del calcio il 99% dei dirigenti e di chi ha il potere sono uomini e sono uomini cresciuti senza riferimenti femminili e senza credere o pensare che una donna meriti lo stesso di un uomo. Secondo me, il messaggio da mandare è più per tutta quella gente”. E cosa vuoi dirgli? “Che il fatto di nascere uomo o donna non ti fa essere meglio o peggio, non ti fa avere più opportunità o meno. Quando hai una posizione di potere devi pensare a questo: devi decidere se vuoi cambiare e avere un mondo più equo e giusto o no. E non basta dire ‘Sì, ci siamo, diamo il sostegno’. No, ‘ci siamo’ no! Dovete fare di più, perché durante tanti anni non avete fatto praticamente nulla. Adesso è il momento di fare di più per il calcio femminile e per le donne, anche per dimenticare tutti quegli anni in cui nessuno ci ha creduto e in cui non è stato fatto praticamente nulla”. Hai raccontato dei tanti passi in avanti fatti e della tanta strada che ancora c’è da fare. Se tu avessi la possibilità di cambiare immediatamente una cosa del calcio femminile, quale sarebbe? “Sceglierne solo una è difficile, perché non credo che una cosa sola possa cambiare tutto il sistema. Io torno sempre sullo stesso punto: per me è importante l'educazione. Se tu cresci pensando che siamo uguali, alla fine agirai vedendoti uguale. Ma più concretamente nel calcio femminile penso che quello di cui abbiamo bisogno è che la gente ci riconosca di più. E per questo penso che già negli ultimi anni siano stati fatti dei passi in avanti. Prima per vedere una partita di calcio femminile dovevi andare per forza al campo. Ed erano campi in stadi brutti, con terreni tenuti male e in cui, per forza di cose, il livello non poteva essere alto. Adesso ogni volta il livello è più alto e le partite in TV sono sempre di più. Qui in Italia direi che serve più spazio sui mezzi di comunicazione, per far sì che il calcio femminile arrivi in più case e a più famiglie. E piano piano la mentalità cambierà…”.