Tutta la leggerezza di Jorge Emiliano Margarida

“Io ero famoso, io ero famoso”, così andava ripetendo negli ultimi tristi giorni della sua vita Jorge José Emiliano dos Santos, mentre andava dolorosamente spegnendosi per complicazioni dovute all’AIDS, malattia da cui aveva scoperto di essere affetto da tre anni. Ed era vero, perché Jorge José Emiliano dos Santos nel suo Paese, il Brasile, era riuscito a diventare un’autentica star, a dispetto di tutto e di tutti, in un mondo di campioni ipercelebrati. Del resto, in campo, con la sua irriverenza e con la sua esuberanza festosa, non sarebbe mai passato inosservato e lo sapeva bene sin da ragazzino, anche se sempre avevano tentato di fermarlo e di frenarne ogni ambizione mentre diventava adulto. Jorge, in un contesto pieno di omofobia, in una terra ricca di pregiudizi, era riuscito con determinazione a prendere delle posizioni pubbliche difficili e a vincere la sua battaglia, dando anche una risposta a chi per anni gli aveva urlato in faccia che un gay non avrebbe mai potuto arbitrare una partita di calcio. Eppure ebbe la forza di non crederlo mai, fino a quel 24 febbraio del 1988, quando nella sua Rio de Janeiro si giocò una gara assai interessante del campionato estadual. Sul terreno verde il Flamengo di Telé Santana con Zico, Renato Gaùcho, Bebeto, Leandro e Henrique, opposto al Volta Redonda. Fu allòra che Jorge José Emiliano dos Santos si giocò tutte le sue carte, decidendo di uscire allo scoperto. E in una partita che il Fla stava perdendo uno a zero, ma poi vinta in rimonta per tre a uno, il protagonista assoluto diventò magicamente proprio lui, l’arbitro, Jorge José Emiliano dos Santos detto ‘Margarida’, che sciorinò tutto il suo repertorio tecnico grazie a una direzione di gara impeccabile, condita però da gesti altisonanti, con mani e piedi slanciati, faccia a faccia con i giocatori, schiocchi di polso, contorsioni per assegnare i falli e esibire i cartellini. Non arbitrava, Margarida, ma danzava e lo faceva per compiacere un pubblico che ‘sentiva’ come una rockstar sente i fans intorno in uno stadio. Gli piaceva intrattenere la gente, essere al centro dell’attenzione, farsi ammirare e suscitare interesse. Ma Jorge era un arbitro tecnicamente competente, difficile da estromettere per ingenuità durante il suo ‘lavoro’ di giudice in campo. E in quel match, al vecchio stadio del Flamengo, a Gávea, fu irreprensibile. Tenendo testa a giocatori di grande nome, fischiando la fine del match su calcio d’angolo, con Renato Gaùcho pronto a calciare, ricevendo strette di mano e complimenti dagli allenatori, inseguito dai giornalisti e dai tifosi entusiasti per la sua prestazione, più ancora che per lo spettacolo offerto dai protagonisti in campo. Margarida, si lasciò scappare davanti ai cronisti un “ho lottato duramente per arrivare a questo giorno”, strozzato dalle lacrime, ricordando la madre e invitando tutti a un post partita negli spogliatoi. All’interno del vestiário, Margarida si fece trovare dai cronisti in posizione da ‘Maja desnuda‘. A torso nudo, disteso, con la mano sinistra poggiata sulla nuca, vicino all’orecchio, il braccio piegato a ‘V’ accanto alla testa. Era diventato una stella e lo aveva capito. Era convinto che quel momento prima o poi sarebbe arrivato, chissà da quanto si era preparato provando a mettersi in posa per le foto. Magari prendendo il sole sulla spiaggia del Leblon, non lontano da dove oggi Zico ha la propria scuola di football. E dove aveva iniziato ad arbitrare nel beach soccer, guadagnandosi l’apelido, il soprannome, di ‘Florar’, per i suoi gesti. Accentuati in una rissa nella quale una volta si era trovato coinvolto con una squadra femminile. Il suo stile diventò in breve tempo così famoso in Brasile, da guadagnarsi persino un imitatore, tale Clésio Moreira dos Santos, che ne replicò integralmente la formula sin dai suoi esordi nel 1995, proprio mentre Margarida moriva, aggiungendo varianti spudorate come appoggiare ‘la coda’ alla bandierina per segnalare un corner. All’inizio un omaggio, poi una chiave da sfruttare per mantenere la popolarità, trattandosi di un eterosessuale che parodiava i gay. Al punto che Clésio fu poi costretto a smettere. A differenza dell’originale che fu un autentico pioniere nel dichiarare la propria omosessualità in un ambiente difficile come quello del calcio, pagandone anche il prezzo. Ma Jorge non era solo, sapeva di battersi per una comunità fantasma e silenziosa. A quel tempo, infatti, tra gli arbitri c’erano forse più gay che eterosessuali, a suo dire. Cosa confermata alla rivista ‘Vice’ da un ex guardalinee di São Paulo, Sèrgio Canedezi, che proprio a causa dell’omofobia abbandonò l’arbitraggio nel 2003. Nel 2012, nel libro ‘Parada Dura, memorie di un arbitro gay di calcio di Rio’, venne raccontata la storia di Paulino Rodriguez da Silva, detto ‘Mariposa’, che insieme a Margarida e Walter ‘Bianca’ Senra costituivano la triade gay dichiarata dell’arbitraggio carioca negli anni ’80. A conferma dell’autenticità dei sentimenti e delle rivendicazioni di Jorge José Emiliano dos Santos. Più volte Jorge ebbe a dire infatti ‘preferisco essere ricordato come un arbitro gay e non come un arbitro disonesto’. Paulino ‘Mariposa’, che lo ha conosciuto bene, lo incontrò una volta nei panni di guardalinee. Da lì nacque una grande amicizia fra i due, poi si aggiunse Walter ‘Bianca’ e il trio diventò unito anche nelle battaglie di rivendicazione di genere, molto avanti rispetto ai tempi. Ma fu ‘Margarida’ a fare ‘outing’ per tutti e tre in una intervista al ‘Jornal dos Sports’. All’epoca, fuori dai campi di calcio Paulino era un giudice del lavoro e il primo impulso fu di mandare l’amico a processo. Diventarono inseparabili, si aiutarono in un ambiente ostile e -se capitava di dirigere lo stesso giorno- si incontravano dopo le partite. “Portavamo i nostri rispettivi fidanzati con noi, io urlavo a Margarida… ‘bandida’… attenta, non ci provare col mio…”, raccontò Paulino un giorno. Poi furono costretti tutti e tre ad abbandonare il calcio. Era partita una crociata di ‘purificazione’ lanciata da Armando Marques, un ex arbitro che -paradossalmente- venne etichettato come omosessuale per tutta la durata della sua carriera. Ma da presidente della Commissione Arbitrale Brasiliana, fino al 2005, fu implacabile verso i gay. Morì nel 2014, senza figli, single e con il suo segreto: nessuno seppe mai il suo vero orientamento sessuale. “Io ero famoso, io ero famoso”, così andava ripetendo Jorge José Emiliano dos Santos ormai fortemente indebolito e colpito da una grave insufficienza respiratoria. Nato il 19 marzo del 1954, la sua morte sopraggiunse il 21 febbraio del 1995, quando non aveva neppure compiuto i quarantuno anni. Agli amici più stretti non fece che ripetere, negli ultimi mesi, la sua straordinaria vita. Senza rimpianti. Neppure per quell’incidente del 1989, durante l’inizio della sesta coppa di calcio femminile all’Estadio Caio Martins, quando fu protagonista della rissa nella quale -lui, ‘detto ancora ‘Florar’ e non ancora ‘Margarida’- non riuscì a trattenere l’irritazione e i bassi istinti. Quando lo raccontava sorrideva, un po’ dispiaciuto, ma gli scappava da ridere. Dispiaciuto per essersela presa dopo l’offesa ricevuta da una calciatrice, compiaciuto tuttavia di averla colpita per difendere la propria reputazione, ancora spaventato dal putiferio che ne era sortito e divertito per la fuga precipitosa alla quale era stato costretto, inseguito da un’intera formazione di giocatrici inviperite. Però non mancava mai di sottolineare il gesto fatto il giorno successivo, quando si era scusato inviando alla calciatrice in questione un fiore per farsi perdonare… Ma ciò che gli mancava di più era l’affetto della gente per la sua teatralità danzante, per il suo saltellare, per i gridolini che emetteva di fronte ai falli più cruenti. I giocatori lo rispettavano tutti e lui ne era orgoglioso. “Potrò anche essere una margherita fuori dal campo, ma dentro un campo di calcio sono un ‘macho’...”, diceva. Il suo più grande rimpianto, tuttavia, fu non solo aver dovuto abbandonare il calcio, ma non essere mai riuscito a diventare un arbitro internazionale. Ma era felice di essere riuscito a rendere ‘piacevole’ qualunque partita, anche la più noiosa. E di essere rimasto nel cuore della gente anche dopo avere appeso il fischietto da professionista al fatidico chiodo. E’ rimasto nell’immaginario collettivo come simbolo di allegria contagiosa e di leggerezza, al punto da diventare più attraente per lo spettatore del calcio stesso. Jorge ‘Margarida’ segnò senza dubbio un’epoca, riuscendo a imporre il rispetto per la sua diversità e a dimostrare che un sorriso può essere importante quanto una rovesciata o un gesto tecnico. D’altra parte il suo essere arbitro appariscente, dopo gli inizi con la bandierina in mano, lo rese suo malgrado un’icona e un riferimento positivo. Alla sua morte, il suo corpo venne ricoperto interamente di fiori dai presenti. Una folla immensa lo accompagnò fino al cimitero di São João Batista, a Rio de Janeiro, dove venne sepolto con una maglietta nera della CBF indosso. E dopo la sua morte molti arbitri fecero outing creando il ‘Movimento das Margaridas’ in suo nome. Due giorni dopo la sua morte, il quotidiano ‘Folha de São Paulo’ scrisse un necrologio in suo onore, riportando esattamente ciò che era accaduto durante la funzione funebre: “L'arbitro di calcio Jorge José Emiliano dos Santos, conosciuto come 'Margarita', è stato sepolto ieri nel cimitero di São João Bautista a Rio de Janeiro. Indossava la maglia nera della CBF e aveva il corpo ricoperto di fiori". Come detto, per qualche tempo, Clésio Moreira dos Santos, originario dello stato di Santa Catarina, ne adottò il soprannome come omaggio, indossando una ‘camiseta rosa’ e finendo poi con il parodiarlo eccessivamente, continuando poi nelle partite amatoriali. Oggi un personaggio come Clésio sarebbe visto male e additato come omofobo, negli anni ’90 c’era una diversa percezione delle cose e lui ha sempre giurato che ‘anche le esagerazioni sono sempre e solo state un omaggio a Jorge’. Ma forse è meglio non indagare. Ciò che dispiace è che del vero ‘Margarida’ siano in circolazione poche immagini e pochi documenti, nonostante avesse anche poi lavorato come commentatore e come arbitro radiofonico per due emittenti brasiliane. Rimane la memoria di Jorge e il coraggio di essersi esposto e aver combattuto, guadagnandosi il rispetto al di là di esasperazioni giudicate talvolta folkloriche. Al punto che a trent’anni dalla sua scomparsa, rimane un punto fermo del calcio in Brasile.

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Lucio Rizzica