L'eterno scontro tra Tebas e Perez: perché non saranno mai alleati

Lo stato di tensione permanente che affligge il calcio spagnolo potrebbe sembrare, a un primo e superficiale sguardo, la risultante di una endemica rivalità sportiva che, di tanto in tanto, sfocia in episodi sopra le righe: proteste sulle direzioni arbitrali, risse verbali sul campo, accuse e ripicche per difendere onorabilità e prestigio dei singoli club. Ma la verità è che il fittissimo arcipelago di polemiche che sputa lava incandescente da crateri apparentemente disconnessi tra loro rappresenta un sistema vulcanico unico e coerente che risponde a una causa precisa: lo scontro tra poteri. In particolare quello di Javier Tebas, Presidente della Liga, e di Florentino Perez, Presidente del Real Madrid. Non una semplice frizione tra due personalità prorompenti, ma un vero e proprio conflitto per la gestione del potere, per l’affermazione di una specifica visione del mondo. Una contrapposizione, insomma, ineluttabile e totale tra blocchi irriducibili, incarnati da una diade rivale. Tebas e Perez come Annibale e Scipione, Enrico IV e Gregorio VII, Truman e Stalin, giusto per capire il livello di antitesi tra i due potentissimi attori del calcio spagnolo. Lotta di potere in cui l’ideologia è solo elemento marginale e di propaganda, come del resto si insegna nelle aule universitarie di Scienze politiche. Tanto più se si pensa che dal punto di vista ideale i due rivali dovrebbero sentirsi se non proprio affini, certamente figli di un humus culturale condiviso. Tebas, infatti, è da sempre simpatizzante dell’estrema destra, ha ricoperto il ruolo di coordinatore della sezione giovanile del partito Fuerza Nueva di Huesca e ha appoggiato pubblicamente Vox nel 2019. Perez, d’altra parte, deve la sua fortuna imprenditoriale nel ramo dell’edilizia al sostegno della famiglia Marsch, principale finanziatrice del colpo di Stato di Franco nel 1936, e alle politiche di privatizzazione del Governo conservatore di Aznar nei primi anni del nuovo secolo. L’avvento di Tebas E tuttavia, malgrado questa teorica vicinanza sull’asse politico istituzionale, i due non si sono mai amati. Sin dal principio. Tebas entra nel mondo del calcio nel 1993, come Presidente dell’Huesca, ma costruisce la sua influenza grazie alla sua principale attività professionale, quella di avvocato specializzato in diritto sportivo. Negli anni accresce e diversifica il suo status diventando il principale esperto della cosiddetta ‘Ley Concursal’, ovvero lo strumento giuridico che consente alle aziende vicine al fallimento di entrare in regime di amministrazione controllata per continuare a sopravvivere in attesa del risanamento dei conti. Diventa così, attraverso la sua società Law Sport, rappresentante legale di molti club in difficoltà, dal Rayo al Maiorca, dal Valladolid all’Huesca. Senza contare che nel frattempo, grazie al supporto della moglie apre una seconda società con sede anche a Madrid, Losanna e Buenos Aires, grazie alla quale assiste molti tesserati curandone gli interessi e seguendo le loro trattative in sede di calciomercato. Un colossale conflitto di interessi, secondo i suoi molti detrattori, soprattutto da quando, nel 2001, comincia a ricoprire ruoli politici diventando vicepresidente della Liga. Nel 2003 si mette alla testa del cosiddetto G-30, un gruppo di società medio piccole di Primera e Segunda Division, in netta opposizione ai grandi club quali Real e Barcellona in tema di redistribuzione dei diritti televisivi. E ottenendo dal governo Rajoy, dopo molti anni e forti pressioni, l’emanazione di un decreto legge che dal 2015 prevede la vendita centralizzata dei diritti televisivi secondo uno standard che limita le differenze tra grandi e piccoli club. Ed è qui che si consuma la prima evidente frattura con il Presidente madridista Florentino Perez, come lo stesso Tebas ha ammesso in una successiva intervista: accusato di aver prodotto un colpo di mano per sovvertire l’ordine nel calcio spagnolo, rispedisce al mittente gli addebiti con una certa insofferenza, garantendosi un’inimicizia che nel tempo si è addirittura incancrenita. Da questo momento Tebas diventa uno dei personaggi più controversi, più odiati e più amati del mondo della pelota. Perché da una parte è Presidente della Liga e ottiene indubbi risultati , quali la riduzione del debito del 71% e l’aumento delle entrate del 48% grazie all’applicazione del modello inglese della Premier e all’apertura a nuovi mercati, a partire dall’Asia. Ma dall’altra parte è accusato di aver costruito un regime solo apparentemente più democratico, in quanto basato su un conflitto di interessi mai sanato e che attrae una miriade di club non tanto in virtù di afflati da Robin Hood, quanto in forza di un potere ‘ricattatorio’ che li tiene in ostaggio. La strategia di Florentino In parallelo si è mossa la strategia di Florentino Perez, Presidente del Real dal 2000. Il suo primo atto è già un capolavoro di spregiudicatezza: la cessione del campo di allenamento del Real, in Avenida La Castellana, alla municipalità di Madrid. Che non solo gli elargisce 500 milioni , ma concede alla sua azienda l’appalto per la costruzione in quell’area di un enorme centro commerciale . Ma è sull’acquisto di Cristiano Ronaldo nel 2009, anno del ritorno di Florentino alla presidenza dopo una parentesi di 3 anni, che si scatenano con più decisione le polemiche. Sì, perché l’Europa è oppressa dalla crisi finanziaria generata dai mutui subprime e le banche congelano ovunque i prestiti alle medie e piccole imprese, acuendo la crisi economica. E tuttavia la Caja Madrid, diretta da un uomo di Aznar, Miguel Blesa, concede un prestito di 76 milioni al Real per l’acquisto del fuoriclasse portoghese. Apriti cielo. Florentino diventa a sua volta personaggio controverso, amato e odiato da schiere sempre più numerose. Sì, perché da una parte supera Santiago Bernabeu diventando il presidente più vincente della storia del Real con 34 trofei e offrendo uno spettacolo calcistico senza uguali, ma dall’altra si trasforma in signore e padrone di una società che formalmente apparterrebbe agli 80.000 soci/tifosi ma che di fatto è cosa sua, visto che per statuto obbliga qualsiasi candidato alle presidenziali a depositare il 15% del valore del club prima di dar vita alla sfida elettorale. Senza contare l’idiosincrasia di chi non sopporta la continua osmosi tra la sua gestione del Real e gli affari della sua ACS, l’azienda edile che negli anni è cresciuta esponenzialmente occupandosi di quasi tutti i servizi pubblici spagnoli . E di cui sono stati indicati come paradigmatici gli acquisti di James Rodriguez, Hernandez e Navas cui hanno fatto seguito contratti milionari per la sua azienda con i governi di Colombia, Messico e Costarica. Scontro di potere Tebas e Perez, dunque. Due figure imponenti, vincenti e controverse che non potevano che confliggere inesorabilmente. E così, dopo la lunga disfida sui diritti tv, cominciata nel 2003 e finita nel 2015 per decreto governativo, la lotta si è spostata nei tribunali per la costante opposizione dei Blancos alle deliberazioni della Liga sino alla definitiva deflagrazione del 2021: il caos Superlega. Il 19 aprile, alle 00.30, 12 club europei pubblicano un comunicato congiunto annunciando la nascita di una nuova competizione fuori dall’alveo dell’Uefa. Uno dei massimi ispiratori e artefici del progetto è proprio Florentino Perez. Si scatena un putiferio clamoroso, che spinge alla reazione non solo le massime istituzioni calcistiche continentali, ma anche milioni di tifosi e tutto il mondo della politica. Tebas, ovviamente, si schiera con Ceferin contro il progetto insurrezionale utilizzando parole durissime e accompagnando con soddisfazione la retromarcia pressoché immediata della maggioranza dei club interessati: “Perez ha in testa il progetto della Superlega da vent'anni. È uno scherzo dire che una competizione sportiva debba tenere conto del numero di follower che un club ha sui social network. Ci sono cose sulle quali non si può discutere. Ascoltando Perez, sembra che loro fossero i nuovi Robin Hood. Stanno creando un racconto sulla Superlega che non corrisponde alla realtà. All'Atletico Madrid hanno detto che se non avesse firmato, avrebbero offerto il suo posto al Siviglia che però sono sicuro avrebbe detto no. Un club inglese mi ha detto di essersi sentito ingannato da quello che ha firmato”. Anche Florentino usa la propaganda, come Tebas, ed espone al mondo la sua teoria, accusando la Uefa di inaccettabile monopolismo nell’organizzazione e nella gestione degli introiti della Champions e spiegando che l’affluenza di ingenti nuovi capitali avrebbe beneficiato non solo i grandi club promotori ma, a pioggia, tutto il sistema calcio sino alle società più piccole. La contromossa di Tebas non si fa attendere: con la scusa dell’urgenza determinata dalla crisi economica conseguente alla pandemia di Covid, convoca un’assemblea della Liga e ottiene l’approvazione di un accordo con il fondo inglese Cvc, cui cede circa il 10% dei diritti audiovisivi della Liga per 50 anni in cambio di quasi 2 miliardi. La prima reazione di Laporta e Perez è verbale e innesca la querelle sulla durata e sul compenso, ritenuto più che congruo da Tebas e “ridicolo” da Florentino. Il quale non perde tempo e si oppone per vie legali alla deliberazione dell’assemblea sostenendo come la convocazione non giustificasse adeguatamente i motivi di urgenza e come, di conseguenza, quell’assemblea non potesse aver luogo perché indetta con 8 giorni di anticipo anziché i 10 previsto dal regolamento. Tebas ribatte furibondo e di fatto svela i motivi di fondo dell’ennesima battaglia: “Florentino vuole sbarazzarsi dell’accordo con Cvc perché è contro la Superlega”. E già, perché il vincolo di mezzo secolo sui diritti tv rappresenta un evidente ostacolo rispetto a qualsiasi progetto che tenda a comprimere il valore di un campionato nazionale rispetto alla creazione di quello che sarebbe di fatto un campionato europeo tra grandi club. Senza contare che la minaccia madridista di uscire dalla Liga per accasarsi altrove non è materia dell’ultima ora, ma sintomo latente da tempo, sospeso tra provocazione e ribellione. Si squarcia così il velo sulla natura della disfida che oppone interessi contrastanti in un fragile meccanismo di vasi comunicanti: più prevale la forza della Liga e più si contrae il potere del Real. E viceversa. Battaglie che restano endemiche, ben lontane da un esito certo. Tanto che la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea che bolla come “violazione del diritto comunitario” la preventiva autorizzazione di Fifa e Uefa sulle competizioni tra club, la sospensiva all’accordo con Cvc intimata in primo grado da un tribunale di Madrid e la decisione del TAS di respingere in primo grado il ricorso del Real sulla famigerata convocazione dell’assemblea del 2021, hanno consentito a Perez e Tebas di aggiungere tacche alla loro carlinga senza tuttavia poter esultare per una vittoria definitiva. Anzi, l’accordo col Fondo Cvc rappresenta ancora oggi una spada di Damocle insopportabile per il Presidente del Real che all’assemblea dei soci del novembre scorso ha annunciato una riorganizzazione societaria orientata a garantire che proprio i soci restino effettivi proprietari del club, escludendo che gli introiti possano finire alla Liga, vera ispiratrice di un tentativo di espropriazione sia attraverso quell’accordo, sia attraverso la promozione di una serie di emendamenti alla Ley del Deporte. Iniziativa che ha prodotto una sarcastica reazione da parte di Tebas: “Abbiamo fatto un’assemblea nella quale il Real ha criticato aspramente il nostro operato. Alla fine hanno raccolto 3 voti su 42…”. Ma Florentino era andato oltre, accusando senza mezzi termini la Liga di effettuare pagamenti non trasparenti a mezzi di comunicazione e club, evocando implicitamente una strategia complottista finalizzata a isolare il Real sia in seno al consesso dei club spagnoli, sia di fronte all’opinione pubblica. E suscitando in Tebas una risposta al vetriolo , fatta di allusioni feroci riguardo l’utilizzo del potere da parte del suo avversario/nemico, anche per la defenestrazione di direttori di giornali. Una lotta senza esclusione di colpi, insomma. Cui vanno aggiunte le situazioni scabrose che hanno coinvolto il Barcellona. Sì, perché sia il caso Negreira sia il caso Dani Olmo sono finiti nella macina di questa guerra dei Roses. Come è noto Dani Olmo e Pau Victor sono stati ingaggiati dal club di Laporta nella scorsa estate, in violazione tuttavia delle regole del fai play visto che l’indebitamento dei blaugrana avrebbe dovuto escludere quei colpi di mercato . Ottenuta una deroga fino al 31 dicembre, il Barcellona ha utilizzato l’escamotage della vendita della tribuna Vip del Camp Nou per 10 anni, in modo da innalzare gli introiti e di conseguenza il tetto salariale. La Liga non hanno ritenuto sufficiente questa garanzia e solo una licenza temporanea del Consiglio Superiore dello Sport ha consentito a Flick di schierarlo in campo, decisione su cui, tanto per cambiare, si sono sprecate le ipotesi e le opinioni più disparate, tra le quali quella del solito Tebas: “Io non lo so, ma si dice che Olmo giochi al Barcellona grazie all’intervento di Florentino”. Teoria verosimile, vista la necessità del Real di tenersi stretta l’alleanza del Barça nella lotta senza quartiere contro il sistema, e tuttavia gettata lì senza prove e con evidente malizia da parte del presidente della Liga. Negreira, invece, era il vicepresidente del Comitato tecnico degli arbitri. Ma tra il 2000 e il 2018 è stato ‘stipendiato’ dal Barcellona come consulente, in sfregio a qualsiasi norma di autonomia e terzietà del settore arbitrale. Inutile dire che lo scandalo ha immediatamente attivato l’Ufficio indagini, alla ricerca di fatti, prove e situazioni per le quali si potesse configurare il reato di corruzione, anche e soprattutto in termini di arbitraggi artatamente favorevoli alla società catalana. Ma senza risultati effettivi. Almeno al momento. Una situazione che in circostanze normali avrebbe probabilmente reso irrespirabile l’aria del calcio spagnolo, vista la rivalità storica con il Real. E che invece ha prodotto solo un comunicato di preoccupazione “per la gravità dei fatti” da parte di Perez. E Tebas? Beh, ha spesso risposto su questo tema trincerandosi dietro le sue competenze di avvocato sostenendo come a suo avviso la vicenda fosse prescritta. E aggiungendo, nel merito, la semplice opinione che non si sarebbe mai potuta dimostrare la compravendita di arbitri, pur sottolineando che quel comportamento sia da ritenersi sbagliato e dunque sanzionabile. A dimostrazione che nelle guerre le alleanze o i patti di non belligeranza hanno un loro peso. Ecco, a proposito di arbitri. Tutto il caos recente nel calcio spagnolo sembra legato esclusivamente alle solite, trite e ritrite polemiche arbitrali. Ma in un contesto come quello appena esposto diventa qualcos’altro: l’arma brandita per abbattere l’avversario, sia che la si guardi dall’ottica madridista , sia che la si guardi dall’ottica della Liga . L’acme del nuovo fronte di guerra? Il caso Carlos Romero. Al 71’ di Espanyol-Real il difensore non viene espulso per un’entrata durissima su Mbappé e nei minuti finali diventa il giustiziere dei Blancos segnando il gol decisivo. Episodio che genera una lunga e furibonda lettera ufficiale del Real alla Federazione e al Consejo Superior de Deportes, nella quale si definisce la Liga senza mezzi termini come “manipolata e corrotta” chiedendo contestualmente una immediata e complessiva riforma del sistema arbitrale, ormai compromesso dal caso Negreira . Ancora una volta la risposta è di forza uguale e contraria: Tebas ricorda come il Real abbia votato contro la riforma arbitrale proposta nel 2023 e aggiunge: “Forse perché allora alla presidenza della Federazione Spagnola c’era Luis Rubiales e il presidente Perez era nella giunta direttiva della federcalcio”. Colpi, fendenti, ‘diretti’ al volto dell’avversario senza che nessuno dei due barcolli o cerchi compromessi. Fino, per completare il quadro, alla recente denuncia del Real al TAD contro la Liga, accusata di aver diffuso via social i risultati di un sondaggio segreto sugli arbitraggi, circostanza per la quale Tebas è finito sotto indagine. Dunque le polemiche arbitrali, la feroce reprimenda di Real Tv contro i singoli direttori di gara e le lacrime di De Burgos alla vigilia del Clasico di Copa del Rey non sono ascrivibili alla solita retorica faziosa dovuta al tifo e alla competizione di alto livello. Ma sono solo un fronte di uno scenario bellico molto più ampio, che risponde a due visioni del mondo in lotta permanente. Ciascuno può vederci riflessi di autocrazia democratica contro oligarchia, crescita orizzontale contro economia verticale, nazionalismo contro europeizzazione. Ma in definitiva si tratta sempre di lotta per la gestione del potere. Che senza una sintesi resterà solo il campo di una sterile e drammatica battaglia, senza vinti né vincitori. E sul quale resteranno sempre le solite vittime: valori, storie ed emozioni.

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