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Mondiali 2018, guida al Girone H: Colombia, Giappone, Polonia e Senegal

Mondiali

Alfredo Giacobbe e Daniele V. Morrone

Le domande più importanti e i principali temi per presentare il girone di Colombia, Giappone, Polonia e Senegal. Favorite, possibili sorprese e le partite da non perdere

POLONIA-COLOMBIA LIVE

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Come arriva la Colombia al Mondiale? Potrà replicare il successo del 2014, quando è uscita ai quarti con il Brasile?

 

Alfredo Giacobbe: Il percorso che ha portato la Colombia a questi Mondiali è stato piuttosto accidentato. Disputare una buona campagna di qualificazione non è una condizione necessaria (né tantomeno sufficiente) per disputare un buon torneo, ma dà comunque un’indicazione dello stato di salute generale di una Nazionale.

La Colombia ha affrontato il Perù all’ultima giornata del gruppo sudamericano, uscendo dall’Estadio Nacional de Lima con un pareggio desiderato da entrambe, che l’ha comunque comunque lasciata in bilico fino all’ottantatreesimo minuto della notte più pazza per i tifosi di tutto il continente, quando un gol del Venezuela in Paraguay (prima vittoria esterna venezuelana in questa edizione delle qualificazioni) ha garantito la qualificazione diretta alla squadra di Pekerman.

Per sei undicesimi la Colombia 2018 è la stessa squadra del 2014: David Ospina, Cristian Zapata, Abel Aguilar, Carlos Sanchez, Juan Cuadrado e James Rodriguez costituiscono ancora la spina dorsale di questa squadra. La sua stella indiscussa è, ovvio, James: e come spesso accade quando c’è un talento molto al di sopra della media del resto della squadra, la Colombia ruota tutta intorno al suo estro.

James è un giocatore più spesso lodato per quello che fa quando ha la palla, ma che dovrebbe essere osservato con maggiore attenzione anche quando si muove per il campo senza la sfera (e va sottolineato che viene da un anno da mezzala al Bayern di Monaco, per dire che non è un trequartista come gli altri). I suoi movimenti, le sue letture, che assecondano il suo istinto pur restando funzionali alla lettura del gioco, restano la chiave di volta su cui si regge l’impianto offensivo della Colombia. Tutta la squadra reagisce in conseguenza alle scelte del “Diez”: situazioni di gioco codificate, soggiogate all’estro di uno dei giocatori più tecnici al mondo.

L'intelligenza di James senza palla

Il movimento a uscire dalla difesa di James porta via un uomo e apre un canale di passaggio. James riceverà la sponda di ritorno e premierà davanti alla porta lo scatto senza palla di Cuadrado.

Quindi, la colonna vertebrale della Colombia ha resistito integra tra le due edizioni della Coppa del Mondo. Il che significa contemporaneamente un vantaggio, per l’intesa che ormai i sei protagonisti hanno raggiunto, e un limite, per l’età dei protagonisti che avanza e per il mancato ricambio generazionale.

Va detto anche che questo sarà il primo Mondiale di Radamel Falcao, dopo l’infortunio che gli aveva impedito di partecipare nel 2014. Annoverare il trentaduenne Falcao tra le novità portate in Russia da questa squadra può far sorridere, ma è fortemente indicativo dello stato del movimento calcistico colombiano. Falcao e i due laterali bassi Fabra e Arias, quest’ultimo osservato speciale della Juventus, sono andati a rinforzare la struttura base della Colombia.

Ci sono, inoltre, due posizioni nello scacchiere di Pekerman che ancora non hanno trovato un padrone. Nessuno è ancora riuscito a imporsi come l’erede del “Mariscal” Mario Yepes: al fianco di Zapata si sono alternati Davinson Sanchez e Yerry Mina. In una delle ultime amichevoli, contro l’Egitto privato di Salah, Pekerman ha provato Sanchez e Mina insieme. Il difensore del Tottenham ha dimostrato però ancora una volta i suoi limiti nella lettura della partita, ed è probabile che al Mondiale la scelta di Pekerman ricadrà sul “barcelonista” Mina ad affiancare il milanista Zapata. Ma per una squadra che soffre maledettamente le transizioni difensive sarebbe un peccato doversi privare della velocità in progressione di Sanchez, nonostante le contraddizioni con cui ha vissuto la sua prima stagione in Premier League.

C’è un altro nodo enorme ancora da sciogliere: a sinistra, nel tridente di trequartisti che appoggerà Falcao, Pekerman ha impiegato più spesso Edwin Cardona, che però alla fine non ha staccato il biglietto per Russia 2018. Abulico, spesso fuori forma e sanzionato dalla FIFA per un gesto razzista nell’amichevole con la Corea del Sud, Cardona ha lasciato il posto a uno tra l’ex giocatore del Pescara Juan Quintero, e Mateus Uribe. Le riserve di Pekerman in tal proposito non sono ancora sciolte, e qualche addetto ai lavori ipotizzava un sacrilego spostamento in fascia di James Rodriguez.

Cosa succede al Giappone, che ha cambiato allenatore appena prima del Mondiale?

 

Daniele V. Morrone: La grande delusione del Mondiale brasiliano del 2014 aveva spinto la federazione giapponese a cercare un allenatore esperto e famoso proprio nel lavoro di creazione di squadre prima di tutto solide per far fare l’ultimo gradino. Halildhodžić quindi ha voluto impostare il Giappone come una squadra in grado di reggere atleticamente qualunque avversario e sfruttare il talento negli scambi in velocità per poter difendere più basso e risalire il campo, dove movimenti coordinati portano alla conclusione.

Un calcio diverso rispetto all’idea che abbiamo di Giappone, impostato sulla tecnica, come era quello di Zaccheroni. Per Halildhodžić tutti dovevano difendere e c’erano profili specifici che dovevano svolgere compiti specifici con la palla. La difficoltà di cambiare mentalità a un gruppo storico ha portato alla scelta di un ricambio generazionale che ha coinvolto centrocampo e attacco in modo deciso.

Il gioco, negli ultimi anni, non ha mai convinto critica e pubblico, che ancor più di noi europei conserva un’idea astratta di Giappone come squadra tecnica e associativa. Per questo, quando i risultati non hanno più coperto le spalle a Halildhodžić (con tanto di umiliante sconfitta ai quarti di Coppa d’Asia nel 2015 contro gli Emirati Arabi e nella Coppa dell’Asia Orientale nel 2017 da parte dei rivali sudcoreani) ecco che la federazione, preoccupata da un Mondiale con lo spogliatoio contro l’allenatore e il pubblico che non sostiene la squadra, sceglie di intervenire cambiando tecnico. Letteralmente all’ultimo momento disponibile, considerando che il tecnico subentrante (di cui ancora non si sapeva il nome) avrebbe dovuto fare le convocazioni per il Mondiale senza neanche aver giocato un’amichevole con la sua nuova squadra.

È la vittoria della vecchia guardia che con un colpo di stato ha deposto Halildhodžić e fatto instaurare un uomo di fiducia che potesse convocarli tutti: quel Akira Nishino che fungeva da direttore sportivo della Nazionale, e che rappresentava gli occhi della federazione all’interno del lavoro di Halildhodžić, e che è stato poi scelto per prenderne il posto.

Il tweet di Keisuke Honda che scrive lapidario poco dopo l’esonero di Halildhodžić dà l’idea di come alcuni intoccabili dello spogliatoio fossero in pieno ammutinamento: “Meglio tardi che mai”.

Nishino, privo di tempo a disposizione, ha scelto l’opzione più semplice fidandosi totalmente della vecchia guardia: il ricambio generazionale (con Nakajima, Asano, Ideguchi, Kubo, Morioka) è stato completamente messo da parte per fare nuovamente spazio ai senatori, cancellando quindi con le convocazioni i 4 anni di lavoro: per dire, il Giappone si è qualificato andando a vincere contro l’Australia con i gol di Asano (23 anni) e Ideguchi (21 anni) ed entrambi vedranno il Mondiale dalla televisione; così come i due talenti su cui sembrava si volesse puntare al posto di Kagawa e Honda - cioè Nakajima (23 anni) e Kubo (24 anni).

Con 28.6 anni di età media, il Giappone è una delle più vecchie tra le partecipanti, ma soprattutto è la versione più vecchia tra le sei partecipazioni del Giappone al Mondiale.

Dal punto di vista tattico Nishino ha detto di voler far tornare in campo “il brand del calcio giapponese”, vuole insomma tornare all’idea di un calcio dove la tecnica e il talento associativo permette al Giappone di ordinarsi con la palla. Nelle uniche 2 amichevoli pre-mondiale a disposizione ha, per prima cosa, scardinato il sistema precedente fondato sul 4-2-3-1, impostando la squadra su un 3-4-3 che vuole risalire il campo con passaggi corti, come visto nella partita contro il Ghana.

Per questo Nishino ha scelto tre diversi livelli di fonti di gioco per avere sempre un appoggio al possesso: il capitano Hasebe (messo al centro della difesa per impostare per l’occasione), il centrocampista Oshima e Honda, accentratore del gioco giapponese nella metà campo avversaria.

Per correggere il problema della distanza tra i reparti, nell'amichevole contro la Svizzera è tornato al 4-2-3-1, con la scelta di riportare Hasebe a centrocampo (chiedendogli di scendere in fase di impostazione), accanto al regista Oshima, con Honda trequartista centrale e due esterni, di cui uno rifinitore - Usami - e un’ala pura - Haraguchi. La prima scelta per la punta è stata Osako in entrambe le amichevoli, e verosimilmente al Mondiale rimarrà questo assetto. Il ritorno dell’ancient regime.

Come attacca il Giappone

Keisuke Honda attira sempre l’attenzione degli avversari e in questo caso è intelligente a usare il marcatore che lo segue per liberare il corridoio per la salita dell’esterno Haraguchi. La tecnica di passaggio di Oshima permette questa soluzione verticale soprattutto per arrivare a ridosso dell’area, ma il Giappone preferisce scambi corti per liberare l’uomo alla conclusione.

Gli ampi spazi visti tra i reparti nelle amichevoli e la difficoltà nel far avanzare la manovra se non attraverso gli scambi con Honda o Kagawa come perno, fanno pensare che il Giappone di Nishino si presenti al Mondiale con un gruppo che è la naturale prosecuzione di quello del precedente, ma che ha perso 3 anni di sviluppo durante il periodo del tentato cambio di identità e ricambio generazionale. Un Giappone che avrà pochi giorni per ritrovare un’identità di gioco che non sia solo astratta.

Una squadra con nessuna faccia nuova in grado di generare un po’ di entusiasmo (nessun under-23 in rosa), molto su cui lavorare e troppo poco tempo per farlo. Contrariamente a 4 anni fa, le aspettative dei tifosi si sono ridimensionate dal raggiungere i quarti, a provare a superare il girone (che oltretutto, come vedete, è molto ostico).

Possiamo dire che il Senegal ha l’attacco più divertente dei Mondiali?

 

Alfredo Giacobbe: Potenzialmente sì. Ovvero, se guardiamo alle singole individualità: Sadio Mané varrebbe da solo il prezzo del biglietto, ma anche Mame Biram Diouf e Moussa Sow sono due attaccanti con una buona esperienza maturata in giro per l’Europa, potenti e confidenti sotto rete (soprattutto l’ultimo). Inoltre alle spalle dei veterani scalpitano due conoscenze del calcio italiano, M'Baye Niang e Keita Baldé.

Il problema, però, è che il c.t., Aliou Cissé, dà l’impressione di non avere ancora deciso chi far giocare e, soprattutto, in quale sistema di gioco. Due domande non banali a pochi giorni dall’inizio di un Mondiale.

I dubbi sul modulo nascono soprattutto dalle ultime, deludenti, prestazioni: il Senegal ha segnato due gol nelle ultime quattro partite contro avversari di rango, come Croazia e Bosnia, e sparring partners a un livello più basso, come Uzbekistan e Lussemburgo. Un campanello d’allarme a testimoniare che non basta avere buone individualità, ma che è necessario dotarsi di un’organizzazione di base che permetta loro di muoversi in un contesto favorevole.

Il Senegal ha avuto spesso troppa fretta di raggiungere gli attaccanti, coi difensori che hanno cercato i compagni in avanti soprattutto coi lanci lunghi sopra la testa dei centrocampisti. È vero che quando le punte sono riuscite a vincere il duello per aria con i centrali difensivi avversari hanno poi trovato buone combinazioni per arrivare a calciare in porta; ma per lo più un lancio scriteriato dalla difesa ha comportato la perdita del possesso (contro la Croazia il Senegal ha tenuto il pallone solo per il 35% del tempo).

Quando il Senegal ha avuto la pazienza di impostare, ha trovato sfogo quasi esclusivamente sulle fasce: il lungo possesso palla orizzontale mosso tra le posizioni bloccate degli undici interpreti è sfociato spesso nel cross, che raramente ha generato un pericolo per gli avversari.

La consapevolezza dell’incapacità del Senegal di imbastire un’azione manovrata dal basso ha spinto Cissé a una serie di mosse disperate nelle ultime uscite. Anzitutto ha gettato alle ortiche il 4-3-3 con il quale ha affrontato le qualificazioni per provare la difesa a 3, in modo da avere una prima impostazione più semplice. Poi, ha provato a schierare un mediano, quel Cheikhou Kouyaté in forza al West Ham, come centrale di difesa in una linea a quattro.

I palliativi di Cissé si sono rivelati infruttuosi, con i giocatori più talentuosi come Mané o Keita costretti a forzare la giocata, a portare palla all’interno del campo in mancanza di alternative. Nell’ultimo tentativo, contro la Croazia, il 4-2-3-1 è servito quanto meno a dare una maggiore libertà a Sadio Mané, con spazi alle spalle dell’unica punta e maggiori occasioni di ricevere con il corpo già orientato verso la metà campo avversaria; e anche a portare più vicino alla porta Ismaila Sarr, autore del gol del momentaneo vantaggio. È probabile che è questa versione del Senegal che vedremo esibirsi all’esordio contro la Polonia.

La Polonia ha fatto un Europeo 2016 molto brillante, riuscirà a replicare su un palcoscenico più grande?

 

Daniele V. Morrone: Questo Mondiale sarà la conclusione del percorso di quello zoccolo duro che ha portato la Polonia ai quarti di finale dello scorso Europeo: Lewandowski ha girato l’angolo e superato il picco della sua carriera; Kuba, Grosicki e Glik sono tutti sopra i 30 anni. Lo stesso commissario tecnico, Nawalka, arriva in scadenza a fine Mondiale dopo essere stato in carica da fine 2013.

L’aver chiuso il girone di qualificazione al primo posto, e l’aver raggiunto la settima posizione nella Classifica FIFA nel mentre, fa venire l’acquolina in bocca a una generazione intera che vorrebbe vedere la Polonia assestarsi tra le migliori squadre del mondo. L’ambizione, quindi, è quella di arrivare almeno ai quarti del Mondiale, e non è un’ambizione campata in aria.

Va detto che, a differenza degli Europei 2016, la Polonia ha approfittato dello status di testa di serie del suo girone di qualificazione per giocare un calcio offensivo (partendo dalla base del 4-2-3-1) che esaltasse la stella Lewandowski e permettesse all’emergente Zielinski di avvicinarsi a lui (utilizzandolo anche come trequartista nel lungo periodo in cui Milik è rimasto fuori per infortunio). Con due ali pure e un solo mediano bloccato accanto a Linetty (libero come sempre di inserirsi) è uscito fuori un calcio che ha portato Lewandowski a segnare 16 gol (capocannoniere delle qualificazioni europee) ma che ha portato anche la Polonia a subirne 14 (più di qualunque altra squadra tra le prime due dei gironi).

Cosciente del rischio di giocare un torneo breve con tale fragilità difensiva, dalle qualificazioni in poi Nawalka ha allora virato verso un cambio di modulo, con la scelta della difesa a 3 in tutte le amichevoli giocate dallo scorso novembre (tranne l’ultimissima contro il Cile, dove è tornato al 4-2-3-1). Visto il modo reattivo - giocando un calcio di rapide transizioni - con cui la Polonia ha affronto l’Europeo 2016, è comunque più probabile che Nawalka decida di abbassare il baricentro della squadra provando a sfruttare la difesa a 3 per elaborare con sicurezza l’inizio della giocata. Mantenendo insomma la stessa verticalità per arrivare subito a Lewandowski, ma con una squadra che prova a non farsi trovare impreparata quindi ai contropiede avversari, potendo contare su 3 centrali fissi, due esterni a tutta fascia e un mediano bloccato (il totem Krychowiak) nella transizione difensiva.

Il sistema visto nelle ultime amichevoli sembra concepito proprio in vista di un torneo breve e si sposa più facilmente con il talento a disposizione, che è più di natura atletica che tecnica. Un 3-4-3 con giocatori che possono coprire tutto il campo in quanto bravi a sapere dove correre e dove ricevere.

Un sistema che sembra poter funzionare meglio contro squadre più forti che contro quelle che cedono il possesso e per questo non è affatto da escludere l’alternanza con un 4-2-3-1 maggiormente ambizioso. Dovesse, quindi, decidere di tornare alla difesa a 4, sarebbe un segno della scelta di voler affrontare a viso aperto quella partita, e forse tutto il girone, considerando che contro nessuna delle tre avversarie la Polonia dovrà avere un atteggiamento da outsider. Un attestato di quanto sia cambiato il livello di ambizione della squadra, che adesso vede nel passaggio del girone di un Mondiale il risultato minimo.

Possiamo dire che il girone “H” sta per girone “Hipster”? Che è il girone del Mondiale per gli appassionati più di nicchia?

 

Daniele V. Morrone: per essere di nicchia un girone non deve avere né una delle classiche grandi del calcio mondiale, né una piccolissima dalla storia particolare che ormai tutti conoscono, tipo Panama o Islanda. In realtà nel girone H ci sono tutte squadre di alto livello in relazione al continente d’origine, e tutte contengono volti conosciuti; forse però a renderlo effettivamente hispter c’è quel sentimento esotico che deriva propria dal fatto che si affrontano squadre di quattro continenti diversi. Inoltre, sono quattro squadre che potrebbero fare da outsider dagli ottavi in poi (la Polonia anche qualcosina in più) e di cui ci si può vantare conoscendone a memoria la formazione quando affronteranno il Brasile o la Germania di turno.

Probabilmente le sorti di questo girone interesseranno a pochi, perché difficilmente avranno ripercussioni ai fini del trofeo, ma questo non fa che renderlo ancora di più un girone per hipster, che come si sa hanno elevato la velleità a forma d’arte. Inoltre, per finire, ci saranno solo belle maglie in campo, cosa che non può assolutamente essere presa alla leggera di questi tempi.

Alfredo Giacobbe: Da questo girone mi aspetto grandi cose in fatto di esultanze: nel ritiro della Colombia il coreografo che è in Cuadrado starà già dando il meglio di sé; i calciatori giapponesi di solito hanno esultanze dal sapore un po’ retrò, che sembrano uscite fuori direttamente da Capitan Tsubasa; e c’è da capire se Lewandowski confermerà la sua proverbiale corsa a braccia incrociate sul petto o, ora che si è messo sul mercato, cercherà anche qualche trucchetto per attirare altra attenzione; e infine c’è il Senegal, con probabili danze fatte per diventare virali.

Quali partite non possiamo perderci? E perché dobbiamo guardarle proprio tutte?

 

Alfredo Giacobbe: Ho paura che potremo pretendere una partita di calcio veramente interessante solo nell’incrocio tra Polonia e Colombia. Per motivi opposti, Senegal-Giappone potrebbe essere una partita talmente pazza, oltre che dal risultato imprevedibile, perché si scontrano due squadre che a tratti sono incapaci di controllare la gara e allo stesso tempo in grado di dare strappi di talento puro.

Daniele V. Morrone: Forse Alfredo è troppo pessimista, è vero che Colombia-Polonia sarebbe già un ottimo ottavo di finale, ma il livello rimane comunque medio-alto se in campo ci sono i talenti offensivi del Senegal e la tecnica del Giappone. Forse proprio Colombia-Giappone può essere una partita sia appagante dal punto di vista tecnico, che dall’ottimo livello tattico.

Il Senegal, poi, può passare sopra chiunque se nella giornata giusta e la Polonia ha una base di partenza alta e una stella in Lewandowski, che se in giornata a questi livelli è ingiocabile. Mi sembrano veramente tutte partite da cui si potranno trovare spunti, però anche io dico che Senegal-Giappone è quella che aspetto di più per il fattore sorpresa.

Oltretutto sarà la seconda partita del girone, da cui probabilmente la vincente potrà uscirne rosicchiando qualche punto a Colombia e Polonia, così da giocarsi tutte le sue carte nella terza e decisiva partita. Insomma, il girone H, potrebbe rivelarsi più avvincente del previsto.