Se Mourinho prende alla lettera i modi di dire...

È curioso come, nei giorni in cui José Mourinho ha innescato l’ennesima polemica con la sua strizzata di naso ai danni di Okan Buruk al termine della partita tra Fenerbahce e Galatasaray , sia uscito il libro con cui Daniel Pennac e Stefano Bartezzaghi provano a raccontare ai più piccoli il curioso mondo dei modi di dire degli adulti. Il titolo del libro è “Le parole fanno il solletico”, e proprio Mourinho, che dell’uso delle parole ha fatto una vera e propria arte, ideando modi di dire che ormai sono entrati nel linguaggio comune – o almeno in quello sportivo: “zero tituli”, “prostituzione intellettuale”, “il rumore dei nemici”, “non sono un pirla” –, giocandoci , usandole come frecce avvelenate di malizia quando si innescava la polemica , proprio lui insomma ci insegna il contrario: che le parole non fanno il solletico. Men che meno le mani, ma ci arriveremo. Dicevamo di Pennac e Bartezzaghi. Il loro libro è – come recita la fascetta – un “inno d’amore alle parole”, una raccolta di pazze storielle brevi ispirate ai più comuni modi di dire, nel tentativo di indagarne le origini e riderci su, e nasce da una considerazione: i bambini, quando sentono un adulto dire “mi sono cadute le braccia”, lo intendono in modo letterale e lo guardano straniti, chiedendosi perché mai una grossa delusione dovrebbe portare al distaccamento degli arti superiori. Immaginate il loro terrore quando ci “sciogliamo in lacrime”. Dalla testa ai piedi, scrive Bartezzaghi – che con le parole ci gioca e ci lavora da una vita – “il nostro corpo è un vocabolario. Ogni parte del corpo è una parola, ogni parola è parte di modi di dire, ogni modo di dire è un fiore di forma e colori stranissimi. Non si riesce a immaginare come si impilino i soldi quando si paga sull’unghia o come sono fatte le orecchie da mercante. E il palmo della mano sappiamo cos’è, ma il palmo di naso?”. Ecco: nel loro saggio scritto a quattro mani , tra un buttare un occhio e un avere il culo pesante , i due autori ne hanno dimenticato uno: proprio il mourinhano prendere per il naso. Noi adulti lo intendiamo come “burlarsi di qualcuno, ingannarlo”, mentre se raccontassimo a un bambino di aver “preso per il naso” un’altra persona ci immaginerebbe mentre, con le dita a pinza, le stringiamo le narici. Che è esattamente e letteralmente ciò che ha fatto José Mourinho a Okan Buruk. Va detto anche che ogni Paese poi ha i propri modi di dire, e in Francia per esempio, per indicare un compito che si può svolgere con estrema facilità , si dice che lo si fa con le dita nel naso. Ma Mourinho è portoghese ed era in Turchia, e non vale nemmeno questa scusa in questo caso. Mou ormai lo conosciamo bene da anni. È uno che dà nell’occhio, e non solo con le dita come fece con Tito Vilanova, altro esempio simile di “aggressione” nei confronti di un collega, mettendogli le mani in faccia ma sempre in modo “chirurgico” . Alla manata bruta o allo schiaffone ignorante, quando scatta la rissa Mourinho preferisce il tocco di fino, ugualmente se non ancor più inaccettabile perché a tradimento . Quando nel 2012 si infiammarono le panchine in un derby Real-Atletico, Mourinho si ritrovò contro Burgos, braccio destro di Simeone , che senza tanti giri di parole lo invitò a farsi sotto: a cazzotti, mica a ditate. “Io non sono Tito, io ti stacco la testa”, gli disse, e probabile che intendesse letteralmente. Tutti casi in cui poi ci ritroviamo a ripetere che i bambini ci guardano, che gli sportivi devono essere d’esempio. E noi adulti abbiamo tanto da imparare dai bambini, quando ci confessano con candore di mettersi le dita nel naso: se proprio cerchi un naso in cui infilare le dita, vedi di usare il tuo. Ad ogni modo, il provocatore José ha evitato la stangata perché gli è stata riconosciuta l’attenuante della provocazione da parte di Okan. L’aveva provocato a parole. Quelle stesse parole che Mou usa da sempre per fare il solletico agli avversari.

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Vanni Spinella