Un minuto di Notti Magiche per ricordare Totò Schillaci

Il silenzio può essere una carezza o uno schiaffo. Il silenzio è necessario a volte, quando si riflette, quando si ricorda, quando si celebra. Non stavolta. Nessun minuto di silenzio sarebbe più evocativo di quelle note che in questi giorni abbiamo riascoltato con un altro stato d’animo. La proposta è forse tardiva, ma la lanciamo comunque. Ricordare Totò Schillaci, negli stadi, in questo fine settimana, non con un minuto di silenzio, ma con un minuto di canzone: la sua. Non l’ha scritta né cantata, ma l’ha resa eterna. Non c’è articolo o servizio dedicato alla sua scomparsa in cui non sia finita una traccia, un verso, una parola di ‘Un’estate italiana’, per tutti ‘Notti Magiche’. Come se Schillaci fosse stato occhi e voce: gli occhi erano i suoi, sbalorditi davanti alla vita, e la voce quella di tutti gli italiani che lui, soprattutto lui, faceva sgolare dopo ogni gol. C’è una generazione che in quella canzone di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato si riconosce, e lo diciamo con cognizione di causa, un piccolo esercito che viene in pace a reclamare un pezzo di storia che gli appartiene. Quei bimbi che non erano nati o erano troppo piccoli,al tempo del Mundialito dell’82 e che nel 2006 erano ormai troppo cresciuti per abbandonarsi senza freni all’euforia di una Coppa del Mondo. Noi, bambini di Italia ’90, che del calcio ci siamo innamorati quell’estate e che in fondo pensiamo di averlo vinto quel Mondiale. Nessuno provi a convincerci del contrario, perché un’altra Italia così gioiosa facciamo fatica a ricordarla, perché quella gioia ce l’abbiamo ancora dentro, incastrata tra la testa e il cuore. In gola, forse, come un ritornello. Rileggendo le ricostruzioni di quell’epoca scopriamo adesso che forse quella festa era la proiezione di un nostro stato d’animo, che l’Italia, intesa come Paese, era divisa tanto quanto oggi, e che quella manifestazione non è stata perfetta come la ricordiamo noi. Noi con la nostra mascotte ‘Ciao’ sulla scrivania, accanto alle statuine dei calciatori che si prendevano nei distributori di benzina, e con la cassetta di quella colonna sonora sempre pronta nel walkman. Ma che ci importa oggi che il supereroe di quell’estate se l’è portato via un mostro scuro e cattivo? Nulla, non ci importa nulla. Aveva tutto, Totò, per farsi adorare dai bambini, a cominciare dal nome. È arrivato come una sorpresa a Natale. Aveva la faccia buona di quelle che non fanno mai paura. Era poco più alto e poco più grosso di un bambino, e avevo lo stesso sguardo. Non era difficile immedesimarsi, sognare di essere lui. Ai giovani di oggi non possiamo che augurare altri dieci, cento Schillaci: campioni normali capaci di farli emozionare così, in modo straordinario, anche senza trionfare a un Mondiale, perché in fondo a quelli che lottano ma non vincono, che incantano e perdono, gli si vuole più bene. Quando ad ogni mancata qualificazione dell’Italia alla Coppa del Mondo, ormai abitudine, pensiamo alle generazioni che non hanno ancora visto la Nazionale impegnata in un Mondiale, in qualche modo pensiamo anche a Schillaci e a quella felicità ingenua e istintiva di quel 1990. Non c’erano sessanta milioni di commissari tecnici quell’estate, c’erano sessanta milioni di bambini. Uno se n’è appena andato lasciandoci sette gol, sei soltanto in quel mese, e una canzone: facciamola sentire a chi non c’era, riascoltiamola con chi c’era, dedichiamola a chi non c’è più. Sarebbe più potente di una preghiera. CLICCA QUI PER ASCOLTARLA