Carmine Nunziata: “Vi racconto come sarà la mia Under 21 agli Europei"

Cominciamo subito dai prossimi impegni, che sono di quelli importanti: Euro2025, partita con la Romania l’11 giugno, poi avrete i padroni di casa della Slovacchia il 14, quindi la Spagna il 17. Il Gruppo A sembra bello impegnativo. Chi temete di più? “Sulla carta, la Spagna. È abbastanza evidente: hanno giocatori che già fanno la Champions, ne abbiamo visti 4-5 contro l’Inter in semifinale. E per tradizione hanno sempre avuto delle squadre forti. Ma anche la Slovacchia è da temere: sono già usciti i convocati e ci saranno molti elementi già nel giro della Nazionale maggiore. La Romania poi ha disputato un girone di qualificazione molto importante. Quando arrivi in una fase finale, bene o male sei sempre forte e temibile. Dobbiamo stare attenti” Si comincia con un pre raduno, il 27 maggio. Su cosa lavorerete? “I primi quattro giorni sono blandi. Ci sarà da mettere a posto qualcosa, perché alcuni ragazzi finiscono di giocare in questi giorni, mentre altri come Gnonto o Koleosho sono fermi già da qualche settimana. Lavoreremo principalmente sulla condizione atletica, che di solito poi abbiniamo con il pallone. In Nazionale hai sempre poco tempo a disposizione: ci sono tre, massimo quattro allenamenti, e poi vai in campo. Bisogna stare attenti e gestire bene i carichi” Ma che ritiro si devono aspettare i suoi giocatori? Avete stabilito già delle regole? “Non mi reputo un allenatore restrittivo: do qualche istruzione e pretendo che venga rispettata, certo, ma non sono tante. Il fulcro è il telefono. È un’altra generazione, questa: i ragazzi sono tutti nati con il cellulare. E li assorbe parecchio” Entriamo più nello specifico? “Una regola di base è il rispetto degli orari. Poi, appunto, il telefono: non si porta a tavola e nemmeno negli spogliatoi. Serate libere? Sì, durante le due partite di Qualificazione ne avevo concessa qualcuna: si usciva per mangiare qualcosa insieme o distrarsi un po’. Ma la cosa importante è il riposo: per un atleta, recuperare le energie è fondamentale. Io credo che sia importante stabilire un patto di fiducia con i ragazzi: dare un obiettivo, far capire l’importanza del percorso che si sta facendo. È un po’ come a scuola: se uno crede nel lavoro che fa, automaticamente rispetta anche tutte le regole che vengono date”. Bisogna valutare bene quindi chi portare in rosa. Ma per un selezionatore, come funziona? Si sceglie in base all’idea di calcio? “Si scelgono i giocatori forti. Anche se non basta. Bisogna saper giocare con la squadra e per la squadra, servono giocatori che sappiano fare le due fasi di gioco e che abbiano buona capacità di apprendimento. Mentre un allenatore di club ha molto tempo per lavorare sui princìpi di gioco. In Nazionale, avendone poco, bisogna sceglierne due o tre e saperli trasmettere velocemente. La mia parola d’ordine è ‘trasmettere’: in Nazionale servono giocatori forti, ma anche in grado di apprendere presto. Mi piace avere una squadra che sviluppi il gioco dal basso, che provi a dominare la partita, che aggredisca già nella metà campo avversaria: è dimostrato che facendo così si possa arrivare a segnare di più. Ma i moduli alla fine li fanno i giocatori: siamo in un periodo storico in cui mancano le ali, e quindi ci siamo adeguati”. C’è un allenatore che ha fatto di questo tipo di pressione il suo marchio di fabbrica. E lei l’ha anche avuto: Zeman. “A Coverciano infatti la mia tesi di laurea è stata sul 4-3-3. Più zemaniano di così! La stagione a Foggia è stata fondamentale per la mia carriera. Era la mia prima in Serie B, l’allenatore mi diede molta fiducia: fu il mio trampolino di lancio. Ma fu anche una sofferenza” Per i gradoni? “Macché, quelli sono una leggenda ma erano meno impegnativi: lo sforzo in salita prevede comunque un atterraggio più morbido, di circa 10-15 centimetri. Il problema vero erano gli ostacoli: saltavi per 50 centimetri e l’atterraggio era bello duro. Però la domenica ci divertivamo eccome… La mia gavetta è passata anche da lì e mi ha portato fino alla Serie A” Il concetto di ‘gavetta’ sembra un po’ accompagnarla ovunque. Perché anche da allenatore ha costruito anno dopo anno il suo percorso. Ma si aspettava di arrivare fino a qui? “Io dico sempre questo a me stesso: ‘Poniti degli obiettivi’. È normale che poi questo non basti: bisogna fare il massimo per raggiungerli. O quantomeno per avvicinarsi. Non posso dire se mi aspettavo di arrivare fino a qui, ma con orgoglio dico che ho sempre cercato di far parlare il campo. Sono partito dai club nei campionati interregionali, ci ho lavorato per 10 anni. Poi ho fatto la Berretti con il Milan, quindi sono entrato in Federazione ma come osservatore. Sono diventato collaboratore di Mangia nel 2012, poi vice di Di Biagio l’anno successivo. Nel 2017 mi hanno dato la prima panchina dell’Under 17 e a poco a poco sono arrivato fino a qui. A me piace allenare: che sia Nazionale o club, voglio fare questo. Quando si ha la passione, stare sul campo diventa la cosa più bella di tutte: regala emozioni che spero di vivere il più a lungo possibile” Ha parlato di Zeman, ma c’è un allenatore a cui si ispira? “Ho le mie idee e cerco di apprenderle un po’ da tutti. Ho viaggiato molto: ho visitato il settore giovanile di grandi club come Valencia o Ajax. Sono stato ospite anche di De Zerbi. Con il confronto si apprende tantissimo. Imparo molto anche nell’osservare gli avversari: se vedo cose interessanti, provo a farle mie” Ci racconta una giornata tipo di un selezionatore, quando non è in campo? “Ci si sposta molto. Bisogna organizzarsi un calendario con le partite da vedere. E poi bisogna restare in contatto con i giocatori. Prendiamo il caso recente: siamo scesi in campo a novembre, quindi a marzo. In quel periodo non si può pensare di non sentire i ragazzi: è importante curare la relazione con loro. E poi abbiamo l’incarico di compilare delle relazioni da caricare nel database della Federazione” È tutto catagolato? “Tutto. C’è un lavoro molto sinergico tra le varie categorie, il coordinatore Viscidi e il mister Spalletti” Com’è il rapporto con lui? “Ottimo. C’è sempre un grande confronto e ha dimostrato molta attenzione verso i giovani. Con il mister ci troviamo a Coverciano, ci sentiamo spesso al telefono e ci vediamo alle partite” Ma Nunziata ha un motto? “No. O meglio, non uno preciso. Ai ragazzi però dico sempre queste tre parole: squadra, gioco, intensità. La prima dimostra la comunione di intenti; la seconda è il mezzo per raggiungere l’obiettivo, perché le cose non vengono mai per caso; la terza è una condizione fondamentale nel calcio di oggi” E i suoi giocatori le recepiscono? “Con il gruppo c’è sempre una bella sintonia. C’è un momento di forte condivisione tra noi prima dell’allenamento: il calcio tennis. È strutturato come un normale calcio tennis, l’unica cosa è che si può schiacciare dal busto in su. Più volte mi chiedono di farlo, e mi fa molto piacere. E poi sono nettamente il più forte… ” Proviamo a chiudere il cerchio. Prima parlava della Spagna. Nella sua Italia invece molti giocatori, pur essendo davvero interessanti, arrivano dalla Serie B. “Cambia l’esperienza, non la qualità. Un giocatore migliora solo se gioca tanto e se gioca partite di un certo livello. Fa la differenza, certo, ma ci sono anche altri fattori. Noi dal nostro canto cerchiamo di avere dei ragazzi che si pongano un obiettivo e sotto questo aspetto credo di avere una buona squadra a disposizione. Magari alcune selezioni hanno qualche talento in più, ma molti dei nostri ragazzi sono cresciuti e lo dimostra il fatto che siano approdati in Nazionale maggiore. Credo che si sia fatto un buon lavoro a tutti i livelli. Il nostro compito è questo, lo ripeto: trasmettere. Ma poi ci sono i risultati…” E allora, da occhio esperto, le chiediamo questo: il nostro campionato in cosa sta eccellendo ora? “Avendo carenza in questo momento di punte centrali, ci sono molti trequartisti che stanno crescendo molto bene. Ne abbiamo tanti, stanno crescendo molto bene. Ed è la dimostrazione che di talento in casa ne abbiamo parecchio. Basta solo sfruttarlo”

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Valentino Della Casa