L'Estonia sta provando a riprendersi il suo calcio: la storia della nazionale baltica

Quando Aleksander Puštov fece gol alla Slovenia sul finire della primavera del ‘92, il pallone in Estonia si rimise finalmente in cammino, in quel pezzo d’Europa oltre la vecchia 'Cortina di ferro', dove la Jugoslavia stava per diventare una grande trincea e dove l’URSS era appena andata in pezzi. Senza ancora il nome stampato dietro la maglia, in un calcio dove per una ventina di giorni sarebbe stato ancora possibile ai portieri raccogliere con le mani il retropassaggio di un compagno, quella punizione scaraventata dal numero 10 all’incrocio dei pali della Slovenia restituiva un posto in UEFA e nella FIFA a un Paese tornato indipendente solo dieci mesi prima. L’Estonia stava per diventare la prima repubblica baltica a liberarsi del vecchio rublo sovietico per darsi una moneta sua, la corona, e la Nazionale tornava in vita così, con un pareggio, con quel gol segnato da un calciatore senza cittadinanza. A Ekaterinburg due scheletri venivano identificati come i resti dello zar Nicola II di Russia e della zarina Alexandra, a Tallinn c’era invece il rischio di sentirsi dei cittadini fantasma. Aleksander Puštov era fra i tanti calciatori discendenti degli immigrati arrivati nei decenni addietro dalle altre regioni dell’URSS. La stampa locale spingeva perché fosse buttato fuori dalla squadra rinata con l’indipendenza. Lui e pure Andrei Borissov, Sergei Bragin, Sergei Hohlov-Simson, tutti responsabili di parlare in russo durante gli allenamenti e le partite. Del resto il calcio era stato in Estonia un terreno di scontro politico e identitario. Era lo sport a cui il Paese aveva deliberatamente rinunciato dopo l’annessione a Mosca del 1940: un rigetto, una reazione silenziosa ma brutale contro l’URSS. Eppure si trattava dello sport preferito, il più praticato tra le due guerre mondiali insieme con l’atletica leggera. Nella sua ricerca sulla popolarità dello sport nella vita quotidiana dell’Estonia fra 1920 e 1940, lo studioso Indrek Schwede dell’Università di Tartu ha dimostrato la marginalità di pallacanestro, pallavolo e delle altre attività indoor rispetto a quelle che si potevano praticare all’aperto. Il motivo: non esistevano nel Paese palazzetti con una capienza superiore ai 500 spettatori. Ma quando l’Armata Rossa aveva costretto alla resa esercito e governo di Tallinn, nel giro di un paio di giorni la Nazionale aveva organizzato una partita di calcio contro la Lettonia come atto simbolico di dissenso, una manifestazione nazionalista contro il regime di occupazione, e allo stesso tempo il primo atto della fuga dal calcio. I migliori giocatori estoni lasciarono il paese per non dover giocare con la maglia dell’URSS: tracce di alcuni di loro si trovano nell’attività ricreativa all’interno di alcuni campi profughi. Per oltre sessant’anni il calcio estone ha preferito mettersi in sonno anziché piegarsi a Mosca. L’Estonia è stata l’unica repubblica baltica a non produrre mai un club in grado di partecipare al campionato sovietico. La schermitrice Svetlana Tširkova portava due ori olimpici all’URSS nel 1968 e nel 1972, il sollevatore di pesi Jaan Talts un oro e un argento nel 1968 e nel 1972, il nuotatore Ivar Stukolkin un oro e un bronzo ai Giochi del 1980. Il calcio preferì la diserzione. Fino all’indipendenza. Fino al ritorno in campo nel giugno del ‘92 contro la Slovenia, a quell’1-1 con il gol ibrido di Puštov, l’obiettivo di una forma di diffidenza-ostracismo verso gli eredi degli immigrati ex sovietici. Dagli anni Novanta in poi, l’Estonia si è progressivamente ripresa la sua storia. Senza mai qualificarsi per i Mondiali o per gli Europei, senza neppure andarci mai vicina. Oggi è la nazionale numero 44 del ranking UEFA e frequenta la Serie C della Nations League. La rivista inglese Four Four Two ha definito il carattere del gioco estone come “teoricamente d’attacco, in pratica si siedono e aspettano di colpire in contropiede, nei momenti peggiori così apatici da far venire a molti tifosi la sensazione che preferirebbero guardare il basket”. Trent’anni dopo quel gol che riapriva una storia ma in fondo senza chiudere del tutto quella precedente, Aleksander Puštov ha dato l'esame per prendere la cittadinanza estone. Ha studiato la lingua in pandemia. La scena si è popolate nel frattempo di personaggi sulfurei, dirigenti controversi, investitori oscuri. Quell’antico miscuglio di politica e identità è rinfocolato dall’attuale contesto internazionale. Durante le vacanze del Capodanno 2023, hanno dato scandalo le foto dell’ex difensore Andrei Stepanov, del capitano Konstantin Vassiljev e dell’attaccante Sergei Zenjov in compagnia del Ct della nazionale russa Valeri Karpin, felicemente seduti a prendere un drink insieme. Una frequentazione censurata dal ministro della Cultura in persona. I tre hanno dovuto scusarsi e precisare che parlavano di calcio, non di politica. Come se in Estonia, più che altrove, sia davvero possibile tenerli separati.

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Angelo Carotenuto