'Red or dead', alla scoperta dell'anima di Liverpool

Lo sguardo discreto, verso destra e verso sinistra, per capire se c’è un sussurro, un movimento delle labbra, un accompagnamento. È l’unico segnale, visivo, in attesa di un sonoro che sia in grado di farsi percepire al di sopra del canto che viene dal palco. E poco alla volta qualcuno parte, e poi cresce, e poi partecipa e poi si lascia andare, con un pudore rispettoso verso chi quelle note le sta cantando per lavoro e non per divertimento. Verso gli attori e il coro sul palco: perché è vero che a sentir partire ‘You’ll never walk alone’ un qualsiasi residente di Liverpool, se tifoso dei Reds, ha l’instito di unirsi al canto, ma è anche vero che qui siamo a teatro e la rappresentazione, di base, non prevede che il pubblico partecipi. Anche se chi, Phillip Breen, ha adattato per il palcoscenico ‘Red or dead’, la monumentale opera dello scrittore David Peace che racconta la storia del leggendario allenatore Bill Shankly, non poteva non sapere che il solo attacco dell’inno avrebbe portato al riflesso pavloviano di cantarlo, da parte del pubblico. E forse proprio per questo lo ha inserito, ma alla fine, dopo un accenno precedente: così che l’unione di voci tra spettatori e attori non coprisse alcun momento significativo. Siamo al Royal Court di Liverpool, cinque minuti a piedi dalla stazione principale dei treni, Lime Street: un teatro aperto nel 1881, ricostruito nel 1938 dopo un incendio e sopravvissuto, unico o quasi tra tutti gli edifici della zona, ai pesantissimi bombardamenti effettuati dai tedeschi tra l’agosto 1940 e il maggio 1941. In quel ‘Liverpool Blitz’ - la storia, davvero, è spesso più stupefacente della fantasia - venne colpita anche la casa al 102 di Upper Stanhope Street dove era nato William Patrick Hitler, nipote, da parte del fratellastro Alois, di chi i raid li aveva ordinati, ovvero Adolf Hitler, vicenda narrata da David Gardner in un libro, ‘The Hitler bloodline’, che prende in considerazione, con scetticismo, anche la clamorosa affermazione di Alois secondo la quale Adolf da giovane avrebbe soggiornato brevemente in città e sarebbe persino andato una volta a vedere l’Everton . Struttura art deco protetta come bene culturale, e che le arti le coltiva tutto l’anno, il Royal Court con i suoi 1186 posti ha buona capienza, buona acustica e una disposizione dei posti particolare ma non certo inedita, dato che di fronte al palcoscenico ci sono tavoli per 290 persone, che possono cenare o pranzare prima dello spettacolo. E molte di loro, appunto, hanno cominciato a bisbigliare, mormorare e accompagnare ‘You’ll never walk alone’ nella scena finale di addio di Shankly, interpretato con vigore e maestria da Peter Mullan, attore scozzese al ritorno a teatro dopo oltre 30 anni di televisione, e di Glasgow è anche Allison McKenzie, nel ruolo di Agnes, ‘Nessie’, la celebre moglie di Shankly. Mullan, che era stato indicato dallo stesso Peace, dieci anni fa, come potenziale interprete della ‘sua’ versione del più grande allenatore nella storia del Liverpool, si è studiato i video del passato ed è riuscito non solo a interpretare il personaggio ma anche a renderne in maniera quasi perfetta la voce, il che ha sicuramente trovato il gradimento dei tanti, nel pubblico che - a occhio e croce - nella serata della nostra presenza era composto in parte cospicua da chi Shankly aveva fatto in tempo a conoscerlo o comunque ascoltarlo. La parlata scozzese dei due coniugi di scena può rendere precaria la comprensione di alcuni passaggi in quella che di fatto è la trasposizione teatrale dei principali momenti del percorso di Shankly alla guida dei Reds, tutti abbastanza noti: dal primo contatto con i dirigenti, condito dalla celebre battuta , alla proposta di allenare "la migliore squadra di tutta l’Inghilterra" , alla delineazione chiara dei suoi desideri e dei suoi obiettivi, dalla reazione per le difficoltà iniziali alla sospirata promozione nella massima serie, con singole partite elencate, di tanto in tanto, dalla voce di alcuni degli altri protagonisti, con l’eleganza, per ogni risultato, di dire "Liverpool Football Club" e non solo "Liverpool" e specificare lo stadio, con il periodico "at Anfield" rivestito di una particolare solennità. I trionfi terminano con il primo tempo, idealmente di 45’, mentre il secondo inizia con la drammatica, inattesa conferenza stampa di addio, deciso poche settimane dopo la vittoria nella finale di FA Cup 1974: è in questa seconda parte che Mullan emerge con una interpretazione particolarmente brillante, in cui fa emergere le fragilità e i dubbi di un uomo che anche per esperienza di vita - era stato minatore, da bambino - si era rivestito di scorza dura e quando si trovava ad osservarla come dall’esterno quasi non la riconosceva. È lo Shankly che balbetta e farfuglia quando il suo ex assistente Bob Paisley quasi lo supplica di cambiare idea, lo Shankly che quando il presidente John Smith gli dice, dopo aver ascoltato alcuni nomi di candidati, "io e i consiglieri vorremmo affidare l’incarico a Bob" risponde, tra le risate del pubblico "Bob chi?", lo Shankly che vorrebbe astenersi dall’interferire con Paisley e i giocatori ma non riesce a stare lontano dal centro tecnico e un giorno deve essere invitato proprio da Smith a non andarci più o almeno cambiare orario, lo Shankly che, come ultimo omaggio di Paisley, entra in campo alla guida della squadra nella famosa Charity Shield di inizio stagione 1974-75, quella contrassegnata dall’espulsione di Billy Bremner e Kevin Keegan e che, alla fine, esce di scena con una valigia, mentre parte per la seconda volta ‘You’ll never walk alone’ e sul palcoscenico restano ‘Nessie’, un ragazzino che gli ha appena confessato di non avere i soldi per andare allo stadio e il coro, composto da gente locale, priva di particolari esperienze canore ma addestrata a lungo, a rappresentare gli abitanti di Liverpool a cui Shankly pareva sinceramente affezionato. Questo ‘community chorus’ avrebbe dovuto essere di 200 persone, secondo l’idea iniziale di Breen, scontratasi poi con la logistica, ma il numero di 40 basso comunque non è. Sono invece 12 gli attori professionisti, molti dei quali interpretano due, tre o addirittura quattro personaggi, come Paul Duckworth, che è Brian Clough ma anche John Morgan, Roy Plomley e Peter Robinson, rispettivamente il giornalista BBC autore del famoso reportage davanti alla Kop - Spion Kop, come viene correttamente citata - il conduttore della trasmissione radiofonica Desert Island Discs e segretario del Liverpool, e Oliver Mawdsley, che è il giornalista Horace Yates, il calciatore Emlyn Hughes, il dirigente Eric Sawyer e… Helenio Herrera, che dopo la partita di andata della semifinale di Coppa dei Campioni 1964 dice a Shankly "abbiamo imparato molte cose qui in Inghilterra" e si sente rispondere con "lei si sbaglia, signor Herrera. Liverpool non è in Inghilterra, Liverpool è in un paese tutto suo". Un’affermazione in linea con i sentimenti di una città anomala, e accolta con una risata complice da parte del pubblico, così come un paio di episodi curiosi con interprete Kevin Keegan e Ian St.John , che nell’occasione in cui doveva cercare di ammorbidire la commissione disciplinare dopo un’espulsione si vide imporre da Shankly un spalmata di lucido da scarpe sui… testicoli, come prova fotografica che quella sul campo era solo stata una reazione al tentativo di un avversario di fargli MOLTO male proprio lì. Circostanza che appartiene a una leggenda metropolitana, quindi mai confermata. Ogni tanto spunta anche la politica, forse inevitabile vista la notoria inclinazione socialista di Shankly e la storia della città negli ultimi 50 anni, con la trasformazione da roccaforte conservatrice a bastione di tendenze opposte, esacerbate nel lungo periodo di governo di Margaret Thatcher, perennemente malvista in città e nei media ma evidentemente non ovunque, considerando le tre elezioni consecutive vinte, di cui due, 1983 e 1987, con margini del 15% e 12% in più rispetto ai laburisti e però un successo anche sui numeri assoluti, in un sistema elettorale particolare come quello inglese: si pensi che nel 1983 i liberal-democratici ebbero oltre sette milioni di voti ottenendo 23 seggi, mentre i laburisti, con otto milioni e mezzo, ne ebbero… 209. Erano gli anni della repentina perdita di importanza della città, della crisi del porto conseguenza di una crisi globale, tanto che dopo i famosi incidenti del quartiere di Toxteth, luglio 1981, nati per questioni di discriminazione razziale ma frutto anche della frustrazione per una disoccupazione a livelli mai visti nei 50 anni precedenti, il ministro dell’economia Geoffrey Howe suggerì alla Thatcher di "non destinare a Liverpool le poche risorse che abbiamo… sarebbe un peccato ancora maggiore se alcune delle migliori idee che abbiamo per ridare vita alle attività economiche venissero seminate nel terreno relativamente pietroso delle rive del fiume Mersey. Non posso fare a meno di pensare che l’opzione di gestire il declino [della città] sia quella che non dobbiamo lasciare del tutto da parte. Non possiamo spendere le nostre poche forze per far scorrere l’acqua dal mare al monte". Era l’ammissione che c’era poco da fare, che con la crisi globale delle attività su cui si era fondata Liverpool sul piano economico era destinata a spegnersi, e che lo sforzo da fare era, appunto, gestirne il declino nel miglior modo possibile. ‘Managed decline’ è tuttora un’espressione che fa ribollire istantaneamente il sangue a chi vive a Liverpool, e non è un caso che il club, con i suoi maggiori successi proprio tra anni Sessanta e Ottanta, sia diventato uno strumento di luce in tempi bui. E non è un caso che la profonda cultura calcistica cittadina, espressa ovviamente anche dall’Everton ma anche da tanti club minori, si sia affacciata al Royal Court già nel 2011, 2014, 2017 e 2020 con ‘You'll Never Walk Alone’, storia del Liverpool, e che dopo ‘Red or dead’, ultimo spettacolo il 19 aprile, il football continuerà a dominare la scena con altre tre produzioni. La prima, dal 30 maggio al 5 luglio, è ‘Speedo Mick, the Scouse Stomper’, ispirata alla vera storia di Michael Cullen, un ex senzatetto, tossicodipentente e alcolista con problemi psicologici che, dopo aver sfiorato più volte l’abisso definitivo, si è ripreso con l’aiuto di varie persone ed ha ribaltato la propria vita: prima correndo maratone e nuotando nel Canale della Manica per raccogliere fondi poi, un giorno del 2019, decidendo di percorrere a piedi l’intera isola con indosso solo uno slip da bagno con il logo dell’Everton, suo amato club. Impresa ripetuta, dopo la creazione della fondazione in suo nome, , nel 2021, per un totale di oltre 3000 chilometri a zigzag, accolto da gente comune e club calcistici. Altro tipo di eroe andrà in scena al Royal Court subito dopo, dal 18 luglio al 23 agosto: ‘The legend of Rooney’s Ring’ racconta, con toni che paiono ispirarsi al Signore degli Anelli, la storia di un "guerriero dalla grande forza, nel reame di Liverpool. Un guerriero che fin da bambino era veloce, potente e bello come pochi. Correva più veloce di qualunque uomo o persino cavallo e aveva dei glutei formidabili. Il suo nome era Wayne…" e da lì la descrizione è quella di Coleen, la moglie, figlia di un umile muratore, che un giorno, vedendo il guerriero distratto da altre bellezze, gettò dalla finestra un prezioso anello. Come si può immaginare, un’opera di ironica epopea, seguita dal 12 settembre all’11 ottobre da ‘Derby days’, storia comica di un marito e una moglie che tifano rispettivamente per Liverpool ed Everton e chiamano il gatto con due nomi diversi, Divock e Duncan .

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

'Red or dead', alla scoperta dell'anima di Liverpool

Roberto Gotta