La storia è già futuro: Di Canio racconta Goodison Park

Una festa, domenica 18 maggio. La festa di addio a Goodison Park, dal 1892 lo stadio dell’Everton. Sì, è vero: le telecamere, la macchine fotografiche, i cellulari e gli sguardi hanno colto commozione e lacrime, ma proprio la loro rarità ha costituito uno degli elementi più interessanti di una giornata caotica, confusa, disordinata eppure lineare nel suo tema base. Una giornata che ad occhi attenti, magari persino troppo, ha cucito due mondi e due visioni, accostate nel tempo più che nello spazio: nemmeno 24 ore prima, a Wembley, il Crystal Palace aveva vinto la sua prima Coppa d’Inghilterra tra il giubilo di alcune decine di migliaia di suoi tifosi, alcuni dei quali organizzati nel gruppo ‘Holmesdale Fanatics’ che, pur se fondato 20 anni fa da nostalgici dello spirito di gruppo del periodo pre-Premier League, nel corso del tempo si è trasformato in un movimento stile-Ultras, innovativo per l’Inghilterra, capace di intercettare la curiosità e l’ammirazione di moltissimi in patria e all’estero ma totalmente estraneo alla tradizione inglese, e se vogliamo anche un po’ sconsolante nel suo volersi adeguare a uno stereotipo globale che nello stile annulla e mortifica le identità. VECCHIO STILE A Goodison Park, intorno a Goodison Park, invece, ha prevalso la forza della tradizione. Prevalso, non dominato: perché il ‘nuovo’ modo di tifare, sotto forma di fumogeni , ha colorato metaforicamente e materialmente la scena, dando un tono di blu a tutte le foto e video scattate e girati nel prepartita, però a guardare bene quasi tutti coloro che brandivano i candelotti spargifumo erano giovani se non giovanissimi, alcuni addirittura bambini e bambine per i quali era un gioco, più che un’espressione di identità, e in un mondo normale forse più di un gioco non sarebbe. Per il resto, però, si è trattato di un trionfo della tradizione, perfettamente coerente con la pesante ed emozionante storia dello stadio. Alcune delle strette e non particolarmente eleganti viuzze attorno allo stadio erano diventate sedi di festicciole all’aperto, con nastri di colore bianco e blu tesi da un lato all’altro, tavolini, addirittura gonfiabili per bambini, manifesti alle finestre e quel clima di celebrazione conviviale che è sempre stato componente fondamentale di occasioni come - ma tu guarda - le finali di Coppa d’Inghilterra, e che fortunatamente in molti hanno riesumato anche nel variegato mondo del Palace, per la partita contro il Manchester City, solo che tutto questo è stato oscurato dal clamore suscitato dal mega-striscione. Veniva da pensare ‘che bello!’, non ‘che tristezza!’, domenica scorsa, e mentre si scrutavano persone e famiglie intente a dialogare e brindare veniva spontaneo cercare di capire cosa sarebbe successo dal 19 maggio in poi, come cambieranno i loro fine settimana senza l’afflusso - anche disordinato, anche sporco - di decine di migliaia di persone, senza i suoni della partita, perché anche se Goodison Park al momento resta in piedi e ospiterà le partite della squadra femminile è eufemismo dire che l’affluenza e l’atmosfera saranno radicalmente diverse, anche se non va trascurato il dettaglio che chi non è riuscito a salutare lo stadio per la squadra maschile vorrà farci un giro per le Everton Women. Scelta, quella di mantenere almeno per il momento lo stadio, che è stata della famiglia Friedkin, proprietaria del club da pochi mesi, in contrapposizione con il progetto originale che avrebbe mantenuto il terreno di gioco ma abbattuto tutto il resto, per creare spazi residenziali e strutture di supporto al quartiere, che certamente ne ha bisogno. TRE VOLTE EVERTON L’Everton, si sa e in questo spazio l’avete già letto, è al terzo stadio della città, ora, con l’apertura dell’Hill Dickinson Stadium. Fu per l’Everton che nacque Anfield, nel 1884, poi una contesa su proprietà, affitti e priorità portò al trasferimento al lato opposto di Stanley Park, dove nel 1892 venne inaugurato Goodison Park, che all’epoca rappresentava l’avanguardia: nel Regno Unito solo a Glasgow, ovvero Rangers con Ibrox dal 1887 e Celtic con Parkhead aperto proprio nel 1892, esisteva uno stadio così razionale, con i suoi quattro lati vicini al campo, perché l’unico… concorrente, Molineux del Wolverhampton, 1887, era sì stato il primo costruito appositamente per un club di Football League ma non aveva ancora una struttura completa. Arrivarono poi la prima tribuna a due piani sovrapposti, e non dunque con il piano alto incastrato dopo l’ultima fila di quello basso, la prima a tre piani e tutti e quattro i lati almeno a due piani, a formare quella formidabile intimità che ha creato la tradizione e l’atmosfera, dando origine al mito, falso ma tenuto vivo dalla retorica, secondo cui questo stadio avrebbe sempre dato all’Everton un vantaggio. Lo disse anche Howard Kendall, il grande ex giocatore e allenatore di due titoli, una FA Cup e una Coppa delle Coppe vinte, quando prima della semifinale di ritorno proprio di quella competizione europea disse ai suoi di non preoccuparsi, sarebbe bastato mettere palla in area e la Gwladys Street End, il settore dietro la porta, l’avrebbe risucchiata dentro la porta. Quel 3-1 al Bayern Monaco resta, a detta di molti, la partita più emotivamente intensa mai giocata a Goodison Park, ma i gol li segnarono i favolosi giocatori dell’epoca, non la ‘curva’, settore di una bellezza sconvolgente, soprattutto nella parte di congiunzione con la tribuna dal lato opposto a quella principale, dove si ha una sensazione di intimità e appartenza rara persino negli stadi inglesi più tradizionali. DI CANIO RACCONTA ‘Goodison Park, la storia è già futuro’ è il titolo della quarta uscita stagionale del Di Canio Premier Special, in onda da venerdì 23 maggio e disponibile on demand. Di Canio a Goodison Park, del resto, non solo ha giocato ma si rese protagonista di un gesto che lo portò poi ad essere premiato dalla FIFA per il fair play, quasi 25 anni fa. Vedendo infatti che il portiere dell’Everton, Paul Gerrard, era rimasto a terra dolorante dopo un’uscita al limite sinistro dell’area di rigore, aveva preso con le mani il cross del suo compagno di squadra Trevor Sinclair e fermato il gioco, non volendo proseguire in una situazione del genere. Ci avevano messo un paio di secondi, tifosi e giocatori avversari, a capire cosa stesse accadendo, poi lo stadio si era prodotto in un lungo applauso, e il ricordo di quella sera è tuttora vivo, a giudicare dal numero di tifosi che nel giorno delle riprese, all’esterno dello stadio, lo ha fermato ringraziandolo ancora e chiedendogli una foto o una stretta di mano. Di Canio nello speciale dialoga poi con Graham Stuart, suo compagno di squadra nel Charlton Athletic nel 2003-04 ma in precedenza, 1993-97, protagonista con l’Everton: protagonista vero, visto che il 7 maggio 1994 segnò due dei tre gol della rimonta contro il Wimbledon, da 0-2, che diedero ai Toffees una soffertissima salvezza, creando un clima di ottimismo che dodici mesi dopo culminò nella vittoria della FA Cup nella finale contro il grande Manchester United di quel periodo, 1-0 con colpo di testa di Paul Rideout su pallone deviato dalla traversa dopo un tiro quasi a colpo sicuro proprio di Stuart. Che rievoca l’atmosfera di questo stadio, specialmente all’ingresso in campo sul suono della celebre sirena e le note dell’inno Z-Cars, ma con molta razionalità ricorda che il nuovo stadio, al molo Bramley-Moore, sarà altrettanto incredibile, aggettivo usato non casualmente. A SPASSO NEL TEMPO E allora è questo il segno dello speciale, quasi a ricalcare quanto si è visto nelle strade attorno a Goodison Park domenica 18 maggio: la tristezza, sì, quasi lo sgomento a lasciare un tempio così, ma anche la celebrazione e lo sguardo al futuro. In fondo, Goodison Park a suo tempo fu l’avanguardia, e ora sarà così anche per l’Hill Dickinson Stadium, che nel Di Canio Premier Special viene visitato e vissuto, nei suoi vari scorci, una finestra su quel futuro a cui l’Everton si è votato con tutte le sue forze.

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La storia è già futuro: Di Canio racconta Goodison Park

Roberto Gotta