Maledizioni, sabotaggi e incendi: quando il nuovo stadio comincia male

Inaugurato ufficialmente con l’amichevole contro la Roma, dopo i collaudi dei mesi precedenti a capienza e funzionalità ancora limitate, il nuovo stadio dell’Everton apre alla Premier League ospitando il Brighton, certamente, e ingiustamente, squadra di richiamo medio-basso. Un parallelo, quello dell’avversaria non illustre, quasi perfetto con la chiusura di Goodison Park, anche se nel caso del venerabile stadio precedente le ultime due ospiti erano state addirittura le ormai retrocesse Ipswich Town e Southampton. Ma alla fine ci sta, anzi forse è meglio così: addii e inaugurazioni sono occasioni così speciali da rendere irrilevante l’identità dell’ospite temporaneo e permettere così di concentrare l’attenzione sul festeggiato, anche se la brutta sconfitta iniziale sul campo del Leeds United ha già creato pressioni e preoccupazioni, modalità comuni alla tifoseria dell’Everton nelle ultime stagioni. SCHERZI NASCOSTI Pur avendo completato un buon 90% dell’impianto già nell’autunno 2024, il club aveva chiesto alla Premier League di giocare la prima partita fuori casa, per dotarsi di una settimana in più di preparazione. Una precauzione forse inutile, visto che tutto pare davvero pronto, ma non bisogna pensare ad una tempistica perfetta, perché in realtà nei progetti originali lo stadio avrebbe dovuto aprire con la stagione 2023-24, e non per nulla al momento della firma di Carlo Ancelotti come allenatore, dicembre 2019, con contratto fino al 30 giugno 2024, si era detto che il tecnico italiano sarebbe stato quello che avrebbe guidato la transizione da Goodison Park. Un paio di anni di ritardo, quindi, che hanno però permesso all’Everton di aprire con i modi giusti, anche se solo la pratica frequente permetterà di scoprire eventuali curiosità ed eventuali difetti, per ora difficili da intuire. A parte, ovviamente, i potenziali tranelli seminati durante la costruzione: nel corso della visita di Sky Italia per il Di Canio Premier Special, a maggio, su pareti provvisorie abbiamo scorto un paio di scritte ‘LFC’, inneggianti quindi al Liverpool, lasciate da operai tifosi dell’altra grande squadra della città, e non si può escludere che qualche infiltrato abbia segretamente cercato di… contaminare il nuovo stadio. Non sarebbe la prima volta, anzi gli episodi sono numerosi, in ogni nazione: a fine 2007 un muratore di nome Gino Castignoli gettò una casacca di David Ortiz, il leggendario giocatore dei Boston Red Sox, nel cemento utilizzato per una delle tribune del nuovo stadio dei New York Yankees, sperando così di portare sfortuna agli storici rivali, ma commise l’errore di vantarsene troppo, per cui qualche mese dopo i responsabili degli Yankees incaricarono un loro dipendente di spaccare la parte di muro incriminata, con un martello pneumatico, e togliere la casacca. Che fu donata ad una organizzazione benefica legata ai Red Sox e venduta a 175.000 dollari. Un anno dopo la trapanazione, gli Yankees vinsero il titolo MLB e qualche spiritoso collegò la rimozione della sacrilega maglia di Ortiz con il risultato, trovando persino qualcuno che gli desse retta. È però vero che possono esserci situazioni curiose, aneddotiche e persino drammatiche legate al passaggio tra vecchi e nuovi stadi, o alle fasi di trasformazione. Nel 1913, ad esempio, durante i lavori per la costruzione di Highbury, tempio dell’Arsenal fino al 2006, un cavallo che trainava un carretto di materiali, lasciato momentaneamente senza supervisione, si avvicinò troppo al bordo di un fossato per le fondamenta della ‘curva’ North Bank e vi cadde dentro, ferendosi in maniera così grave da dover purtroppo essere abbattuto e lasciato lì assieme al rimorchio, ricoperti poi di terra e cemento. O meglio, così si disse per decenni, in una sorta di segreto di Pulcinella che ad ogni racconto sembrava essere più certo. Solo che, quando nel 1992 la North Bank venne rifatta da capo, di cavallo e biroccio non si trovò alcuna traccia e una certezza pluridecennale venne rapidamente derubricata a leggenda metropolitana. Tra leggenda metropolitana e dato di fatto anche la costruzione del Baseball Ground, stadio del Derby County tra il 1895 e il 1997: per edificarlo fu fatto sgombrare un campo nomadi che per ripicca lanciarono una maledizione secondo la quale il club non avrebbe mai vinto la FA Cup. Maledizione che funzionò subito, viste le tre finali perse tra il 1989 e il 1903, e perse male: 3-1, 4-1 e addirittura 6-0, contro il Bury. Come tutte le cabale e le superstizioni, però, anche quella gitana durò fino a che… non cessò, senza motivo così come era nata: accadde nel 1946, quindi un bel po’ di tempo dopo, con la vittoria nella prima finale post-bellica, una partita bizzarra finita 4-1 sul Charlton Athletic ai tempi supplementari, dopo che il difensore dei londinesi Herb Turner aveva segnato un autogol all’85°, cercando di respingere sulla linea un tiro in mischia, e pareggiato un minuto dopo su calcio di punizione, deviato però da un avversario. Da notare che poco prima della fine dei tempi regolamentari il pallone era scoppiato: accadde anche l’anno successivo e pare che tutto nascesse dalla scarsa qualità del cuoio disponibile dopo la guerra, in una situazione di razionamento e penuria di materiali che aveva anche costretto la Football Association a premiare i vincitori del 1946 con medaglie in bronzo, in attesa che fosse disponibile una sufficiente quantità di oro. LUCI E OMBRE Tornando al Derby County e agli stadi nuovi, in quel 1997 di abbandono del Baseball Ground e del suo famigerato terreno di gioco, spesso fangoso se non sabbioso, i Rams si trasferirono al Pride Park, non molto lontano dalla stazione ferroviaria, stadio moderno costruito purtroppo, come tanti in quegli anni, un po’ in fotocopia di altri, ad esempio quello del Middlesbrough, quello del Sunderland, quello del Southampton, quello del Leicester City. L’inaugurazione in amichevole avvenne contro la Sampdoria il 4 agosto, ma la prima partita ufficiale, in Premier League, fu mercoledì 13 agosto contro il Wimbledon e ai più dotati di memoria fece temere il ritorno della presunta maledizione gitana: dopo 11’ del secondo tempo infatti le luci si spensero e nonostante l’affannarsi di 11 tecnici tra cui sei elettricisti si riaccesero solo dopo 34’, quando l’arbitro Uriah Rennie, al debutto, aveva già preso la decisione di sospendere definitivamente la partita. Nella quale, tra l’altro, il gol del temporaneo 2-1 del Derby era stato di Stefano Eranio, autore poi dell’unica rete nel debutto… pieno del Pride Park, il 30 agosto successivo. Innocente all’epoca, l’episodio del cedimento dei generatori di energia elettrica assunse tinte sospette qualche anno dopo, nel febbraio 1999, quando un imprenditore di Hong Kong e due suoi conoscenti malesi vennero arrestati per aver cercato di portare all’interno del The Valley, lo stadio del Charlton Athletic, un disgiuntore, ovvero uno strumento in grado di interrompere il funzionamento di un impianto elettrico, operazione favorita da una guardia giurata dello stadio a cui era stata versata una cospicua somma di denaro. Si doveva giocare Charlton-Liverpool e il trio, legato ad un colossale giro di scommesse clandestine gestito in parte dalla mafia cinese, intendeva, con un telecomando a distanza, togliere la luce in un momento della partita nel quale una interruzione avrebbe portato alla sospensione e a una montagna di guadagni per l’organizzazione. Scava scava, e venne fuori che i tre soggetti erano stati gli autori di due precedenti sabotaggi, nel novembre 1997 ad Upton Park per West Ham-Crystal Palace e nel dicembre dello stesso anno a Selhurst Park per Wimbledon-Arsenal. Tra altro, nel secondo caso il tabellone elettrico aveva continuato a funzionare e ad un certo punto vi comparve la scritta ‘qualcuno ha una monetina da 50 penny?’. Dal pubblico, spazientito e infreddolito, arrivò una risata: nel Regno Unito, infatti, in molte case l’elettricità si paga inserendo monete nel contatore, e quella menzione era un chiaro esempio di autoironia dell’addetto al tabellone del Wimbledon, che ipotizzava non tanto un difetto tecnico, ma un improbabile problema di contanti. Va peraltro detto che per il problema del Pride Park, nonostante la sospetta prossimità cronologica con quelli avvenuti a Londra, non ci furono mai reali ipotesi malandrine. FUOCO NON DI PAGLIA L’apertura di un nuovo stadio può dunque aver dato problemi, in passato, e rovinato l’attesa di mesi, ma non è che l’emotività dei tifosi venga meno ferita quando gli intoppi si presentano a stadi attivi già da decenni, ed è accaduto tre volte, nella storia del calcio inglese. Il caso più clamoroso fu quello di Nottingham, 24 agosto 1968, City Ground: alla terza giornata il Forest ospitava il Leeds, che avrebbe poi vinto il campionato, ma poco prima dell’intervallo, con il risultato di 1-1, dalla tribuna principale cominciarono a svilupparsi fiamme e fumo, seguite da una serie di piccole ma rumorose esplosioni. Lo stadio era quasi pieno, 31.126 spettatori, ma incredibilmente non ci furono vittime, perché al primo reale segnale di pericolo chi era seduto o in piedi in quella tribuna poté scendere in campo senza panico e con ordine, permettendo così ai vigili di fuoco di dedicarsi solo, e inutilmente, allo spegnimento delle fiamme e non al salvataggio. Un miracolo, considerando lo stato degli stadi inglesi, rimasti quasi inalterati nelle strutture tra gli anni Venti e gli anni Novanta del secolo scorso, ed è il motivo per cui la tragedia di Bradford del 1985, con l’incendio della tribuna e la morte di 56 persone, è separata dallo scampato pericolo di Nottingham solo in senso temporale, perché le condizioni erano le medesime. Nel caso del City Ground, peraltro, la causa dell’incendio non fu mai accertata, e si capì solo che era partito dalla zona degli spogliatoi. Il settore bruciò quasi completamente ma restarono in piedi, intatte, le colonne e le travi portanti, per cui la ricostruzione poté avvenire in tempi relativamente brevi, tramite la sostituzione del legno con cemento armato e acciaio. Per le successive sei partite, nessuna delle quali vinta, il Forest dovette chiedere ospitalità ai cugini del Notts County, il cui stadio come noto è appena al di là del fiume Trent: era già successo nel 1946-47, quando in pieno inverno il fiume straripò allagando il campo fin quasi all’altezza della traversa, e furono visti cigni transitare tranquillamente sulla superficie allagata. Nel 1980 toccò alla tribuna principale di Eastville, lo storico stadio del Bristol Rovers, che però prese fuoco non durante una partita ma la notte successiva, distruggendo uffici e spogliatoi e costringendo il club a trasferirsi temporaneamente a… Ashton Gate, la casa degli odiatissimi rivali del Bristol City. Molti tifosi si rifiutarono di metterci piede, e giravano le magliette ‘Non guarderò mai i Rovers ad Ashton Gate’. Finì male per entrambe, retrocesse dalla attuale Championship alla League One, e nel 1998 i Rovers abbandonarono per sempre Eastville per spostarsi a 16 chilometri a sudest a Twerton Park, a Bath, tornando poi in città nel 1996. BACK TO LIVERPOOL Torniamo a Liverpool per riprendere il filo delle partite di agosto rimandate per eventi imprevedibili. Anfield, questa volta, 1987. Un periodo davvero particolare per il club, che dopo aver vinto campionato e coppa nel 1986 aveva dovuto rassegnarsi al predominio dell’Everton in First Division e ceduto il grande centravanti Ian Rush alla Juventus, sostituendolo con John Aldridge, peraltro arrivato già a gennaio proprio in previsione della partenza del suo predecessore. A lui si erano aggiunti John Barnes, l’attaccante/ala che aveva fatto cose eccelse al Watford, e Peter Beardsley, centrocampista offensivo dal Newcastle. Insomma, la squadra allenata da Kenny Dalglish era attesissima, soprattutto dopo la vittoria della prima giornata sul campo dell’Arsenal, ma non poté farsi vedere dai propri tifosi fino al 12 settembre, perché la gara del 18 agosto contro il Charlton e le due successive furono rinviate a causa dello scoppio, il mese prima, delle fognature sotto la Kop, il celebre settore dei tifosi di casa. Fognature risalenti al 1860 e che dopo la costruzione dello stadio non erano più state sistemate. Un incidente increscioso che diede oltretutto modo alle tifoserie avversarie di girare il coltello nella piaga: tra anni Settanta e anni Ottanta, infatti, la città di Liverpool aveva avuto un declino increscioso ed era spuntato un celebre canto, decisamente offensivo, nel quale tra le altre cose si implicava che i suoi abitanti delle fognature avrebbero potuto fare a meno, dato che espletavano i propri bisogni fisiologici direttamente sul tappeto di casa o nella vasca da bagno. A parte queste delizie, il Liverpool finì poi la stagione vincendo il campionato con tranquillità, anche se ci fu poi la celebre sconfitta contro il Wimbledon nella finale di FA Cup. Pochi mesi dopo, ultimo rinvio eccellente di vernice casalinga, stavolta al Tottenham, che non poté riaprire White Hart Lane perché mancava il certificato di sicurezza per la nuova tribuna est. E se a Liverpool il condotto fognario fece rimandare di quasi un mese la prima uscita di Barnes e Beardsley davanti al proprio pubblico, a Londra si dovette attendere altre due settimane per vedere il debutto di un ragazzo che aveva già fatto benissimo al Newcastle, e avrebbe lasciato una traccia nella storia del calcio inglese: Paul ‘Gazza’ Gascoigne.

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Roberto Gotta