Willie Young ha cambiato il calcio senza saperlo

Si può passare alla storia per svariati motivi, e non sempre il più vistoso è anche il più importante o il più amato. Ma capita. Capita che nell’assolato e sorprendente pomeriggio del 10 maggio 1980 a Wembley, il vero Wembley, il centrocampista del West Ham United Paul Allen si avvii solo verso la porta dell’Arsenal ma venga atterrato pochi metri fuori dall’area di rigore da un intervento in scivolata di Willie Young, il difensore centrale, un gigante con i capelli rossi che per il suo aspetto è da anni uno dei giocatori più riconoscibili del campionato inglese. L’arbitro George Courtney lo ammonisce mentre Allen, che a soli 17 anni e 256 giorni è il più giovane giocatore di una finale di FA Cup giocata nel venerabile stadio del nordovest londinese, si alza senza fare una piega. Tre minuti dopo, col fischio finale, il West Ham vincerà la sua terza Coppa d’Inghilterra, oltretutto da squadra di seconda divisione, ma non c’è spettatore neutrale, tra i milioni che da casa seguono la partita, che non abbia avuto un moto di rabbia e disappunto nel vedere che a un ragazzino è stata negata in modo così antisportivo la possibilità di un gol storico. Un’ingiustizia, qualcosa di particolarmente sentito in un’Inghilterra che è ancora Inghilterra e che sul fair play non transige, men che meno in un’occasione del genere. Young diventa il nemico pubblico numero uno ma soprattutto a livello federale ci si chiede cosa si possa fare per impedire il ripetersi di un fatto del genere. Nominata una commissione presieduta dal poliedrico Jimmy Hill e composta tra gli altri da Bobby Charlton e da Matt Busby, leggendario allenatore del Manchester United ritiratosi dalle scene ormai da nove anni, nel giro di due anni, quindi senza la fretta che l’indignazione generale per quel fallo avrebbe dettato, si decide la nascita del ‘professional foul’, che da noi è diventato poi fallo da ultimo uomo: quando viene interrotta in modo illegale un’evidente azione da gol arriva automatica l’espulsione, quella che Courtney non aveva potuto comminare a Young perché il fallo non era stato violento , in un’epoca in cui oltretutto per ricevere il cartellino rosso diretto si doveva arrivare quasi all’omicidio. Anche se in realtà, dopo neanche due anni la regola venne eliminata, per essere ripresa a livello internazionale solo nel 1990, ma intanto Young era involontariamente diventato parte della storia del calcio, vituperato per una circostanza in cui era venuto meno quel fair play, quel gioco pulito in ossequio al quale nell’Ottocento alcuni club, quelli fondati da gentiluomini che vedevano lo sport come nobile arte e non cinico agonismo, si erano addirittura rifiutati di battere un rigore, ritenuto privilegio antisportivo ed eccessivo per un fallo di mano o di gioco. Va peraltro detto che Allen, al fischio finale, abbracciò Young e gli disse che a situazione invertita si sarebbe comportato allo stesso modo con un avversario in fuga verso la porta, e questo servì a mitigare l’effetto generale di quel fallo, ricordato, per quella finale, forse più del gol decisivo di Trevor Brooking, un colpo di testa in tuffo che per il centrocampista offensivo del West Ham era merce rarissima. EROE DEL SUO TEMPO Willie Young è morto qualche giorno fa , all’età di 73 anni. Dal 2019 era imprigionato dal morbo di Alzheimer, diagnosticato nel 2020 e attribuito dai medici ai costanti traumi cranici sostenuti durante una carriera da giocatore che faceva della tenacia e dell’aggressività i suoi marchi di fabbrica, esaltati nella celebre coppia centrale con David O’Leary, più tecnico di lui. Sul web si trova una sua immagine mentre esce dal campo, con sangue sul viso, sulla maglia e sui pantaloncini, all’intervallo del derby del 7 aprile 1980 sul campo del Tottenham, ma sono tanti gli episodi ruvidi in cui fu coinvolto, tra nasi e zigomi rotti, e una volta addirittura dovette ricevere alcuni punti di sutura per uno squarcio lasciato sul cuoio capelluto dai… denti di Joe Jordan, centravanti del Leeds United e del Manchester United visto anche in Italia, al Milan, altro giocatore di estrema combattività. I tifosi delle squadre in cui giocò lo amavano, e da loro nacque il canto "Six foot two, eyes of blue, Willie Young is after you", in pratica "Sei piedi e due, occhi blu, Willie Young ti ha nel mirino", anche se si trattava di una licenza poetica per esigenze di rima, dato che la sua statura esatta era 1.91, ovvero sei piedi e tre nella versione non metrica. Era del resto un periodo in cui difensori come Young, fortissimi di testa e nel contrasto ma un po’ meno palla al piede, erano abbastanza diffusi, un’epoca ben sintetizzata dal titolo di un libro sui centrali, ‘Thou shall not pass’, che indica una sorta di divieto di passare la palla in modo creativo, consegnandola invece al compagno di squadra più vicino o calciandola più lontano possibile. Un’epoca eroica, sintetizzata nelle foto sanguinolente di altre colonne come John Wile del West Bromwich Albion e Terry Butcher con la maglia della nazionale inglese, ma un’epoca con risvolti drammatici sul piano sanitario e con lati oscuri su quello comportamentale, in quel balletto costante tra trasgressione e illegalità, tra addii al celibato e volgarità. Uno di questi lati vide Young protagonista, con conseguenze drammatiche sul percorso professionale. È il famigerato episodio dei ‘Copenhagen Five’, i Cinque di Copenhagen, macchia nera, non rara, nella storia del calcio scozzese. Era il 3 settembre 1975, e la Scozia aveva appena vinto 1-0 a Copenhagen contro la Danimarca in una partita di qualificazione per gli Europei 1976, partita disputata alle 20 locali. La squadra era alloggiata all’Hotel Marina di Vedbaek, località marina 22 chilometri a nord della capitale, e lì consumò la cena, terminata intorno alle 23. Alcuni giocatori vollero poi prolungare la serata uscendo per locali, ma rientrarono entro l’orario richiesto dallo staff tecnico, l’1 di notte. Allenatori e assistenti andarono così a dormire tranquilli, ma cinque componenti della squadra sgattaiolarono fuori dalle stanze e scesero al bar dell’hotel. Erano Billy Bremner, Joe Harper, autore del gol di poche ore prima, Arthur Graham, Pat McCluskey e appunto Young, gli ultimi tre in realtà componenti della Under 23. La sera prima, dopo la vittoria contro i pari età danesi, avevano avuto il permesso di uscire "ma solo con i senior, domani" secondo le parole del Ct, Jimmy Bonthrone, che aveva però poi revocato il permesso, per cui i tre quella sera violarono le disposizioni di ben due Ct, ovvero il loro e quello della nazionale maggiore, Willie Ormond. A incoraggiarli proprio Bremner, di cui avete letto nell’agosto 2024 a proposito della famigerata Charity Shield del 1974. Come scritto da Stuart Cosgrove nell’ottimo 'Hampden Babylon', se mai la FIFA avesse voluto creare lo stereotipo del calciatore scozzese il risultato sarebbe stato un piccoletto dal fisico compatto e dai capelli rossi, aggressivo e facile alla collera, con un grande cuore e un’analoga predisposizione ai guai, nato e cresciuto in una casa popolare. Insomma, il ritratto di Bremner, a partire dai soli 165 centimetri di statura, che dovevano formare uno spettacolo curioso abbinati ai 191 di Young, quella sera. Allora, anche i racconti differiscono su alcuni dettagli, forse per lo scarso stato di lucidità dei presenti, i cinque cominciarono subito a perdere il controllo, scolandosi una bottiglia di rum e versandone un bicchiere sulla testa di Anne Simonsen, una studentessa che si manteneva facendo la cameriera e che era stata doppiamente ingenua, nello scegliere di fare i turni proprio in quei giorni: prima di tutto perché sperava di poter mettersi in tasca una bella serie di mance, considerando la presenza di calciatori professionisti, e poi perché sperava di migliorare il suo inglese, desiderio decisamente utopistico se i temporanei insegnanti dovevano essere scozzesi dalla parlata difficilmente comprensibile persino ad alcuni loro connazionali. Anne giustamente se la prese molto per il gesto e il gestore del bar chiamò la polizia, anche perché nel frattempo Young si era dato da fare a modo suo: come raccontò anni dopo, "vidi Graham spinto via dalla console del DJ e andai a difenderlo. Credo che avesse fatto una richiesta musicale ma doveva esserci stata qualche incomprensione, per cui andai su e spinsi via il DJ dicendogli di lasciar stare il mio amico. Arrivarono i poliziotti e io dissi loro che non volevamo causare problemi, e che se ci avessero trattato con rispetto non avremmo fatto storie. E se ne andarono". Se ne andarono però anche i cinque, diretti al Bonaparte, un nightclub-discoteca che all’epoca era centro della vita sociale e notturna della capitale e dove Bremner era già stato tempo prima. Il locale era mezzo vuoto e il gruppetto si fece presto notare per la sua irrequietezza. Young, che voleva ordinare da bere ma era infastidito dalle luci troppo forti poste sopra il bancone, fece con la mano il gesto di spostarne una, ma ruppe la lampadina: quando il gestore andò da lui chiedendogli 800 sterline per la riparazione, Young rispose "voglio solo pagare la lampadina, non comprare il locale" e lo allontanò, facendo lo stesso con i buttafuori subito intervenuti. Arrivarono ancora alcuni poliziotti, che presero McCluskey, malfermo sulle gambe, e lo portarono fuori, sbattendolo contro il cofano di un’auto per tenerlo fermo, salvo restare allibiti nel vedere che il difensore del Celtic si era tolto un mocassino e sventolandolo li minacciava con i peggiori insulti. I cinque però se la cavarono anche qui senza conseguenze penali e rientrarono in hotel, dove però, non contenti, individuarono una stanza non occupata e la misero a soqquadro, senza sapere che era quella di un dirigente federale, Jock McDonald. Ora, se il racconto di base è corretto e confermato dai fatti, qualche buco temporale c’è: se la stanza non era occupata, dove diavolo era McDonald a notte fonda? Sta di fatto che McDonald ad un certo punto riapparve - non si sa da dove - e diede un vigoroso pugno in faccia a Bremner, mentre incredibilmente due altri giocatori nella cui stanza Young si era nascosto, Tom Hart e Tommy Younger, gli chiesero se… volesse bere qualcosa, sentendosi rispondere "solo un bicchiere, la notte è già stata abbastanza movimentata". La settimana dopo, il 9 settembre, la commissione disciplinare della Scottish Football Association squalificò a vita i cinque reprobi, chiudendo loro per sempre le porte della nazionale. La punizione fu poi cancellata: Harper e Graham chiusero la carriera rispettivamente con cinque e 11 presenze, mentre Bremner, 33 anni, non fu più convocato e si fermò a una partita dal record di Denis Law. McCluskey nel 1977 lasciò il Celtic, dove aveva iniziato nel 1972 in modo brillante, per una carriera a livello minore nella quale fu anche costretto a lavorare per un certo periodo su una piattaforma petrolifera, mentre Young dovette abbandonare, a neanche 24 anni, il sogno della nazionale, perché presto emersero, nel suo ruolo, giocatori di maggior talento. ADDIO ABERDEEN Quel settembre fu la svolta, per lui. Il 20 del mese infatti l’Aberdeen, con cui aveva debuttato nel 1970, lo cedette al Tottenham in seguito ad un altro episodio controverso avvenuto il 13 settembre, dunque solo quattro giorni dopo il verdetto federale: al 70° di una partita casalinga contro il Dundee United, in vantaggio per 3-1, Young fu sostituito e uscendo dal campo lanciò la maglia all’allenatore, che poco prima gli aveva anche tolto la fascia di capitano. E chi era l’allenatore? Jimmy Bonthrone, il Ct della Under 23 che a Copenhagen gli aveva prima dato poi tolto il permesso di uscire. Young rientrando negli spogliatoi sfondò con un calcio la porta, imbestialito perché a suo avviso Bonthrone aveva atteso appositamente la metà del secondo tempo, e non l’intervallo, per umiliarlo di fronte al pubblico di Pittodrie. Non era la prima volta che Young veniva tolto dal campo in partite in cui rischiava di andare fuori controllo: era successo ad esempio il 27 ottobre 1971, nel corso dell’andata dei sedicesimi di finale della Coppa Uefa a Torino, contro la Juventus, vittoriosa per 2-0. Al Tottenham Young si fece subito valere, dentro e fuori dal campo, facendo un giorno capire a due giocatori più anziani di lui, Terry Naylor e John Pratt, che non era il caso di continuare a praticare nonnismo verso John Duncan, scozzese come il difensore. Young del resto aveva, tra pregi e difetti, la dote di voler sempre proteggere quelli che riteneva essere suoi fratelli di sangue e di spirito: anni prima, un attaccante del Falkirk aveva schiacciato con lo scarpino la mano del portiere dell’Aberdeen Andy Geoghegan per fargli perdere la palla, e Young gli si era avvicinato minacciosamente, ricevendo come risposta un calcione, per il quale l’arbitro espulse l’attaccante, squalificato poi per 53 giorni. Il suo nome? Alex Ferguson, il futuro allenatore del Manchester United ed erede morale di Jock Stein, il grande allenatore di Celtic e della nazionale. E a Stein è legato un altro episodio controverso della carriera di Young: Stein, infatti, che lo aveva originariamente convocato per la Under 23 scozzese, volle poi dargli una possibilità di rientrare nella nazionale maggiore e lo convocò per una partita, prima della quale i due giocatori più influenti, Kenny Dalglish e Graeme Souness, lo invitarono a bere qualcosa. "Bevemmo uno, al massimo due bicchieri, ma Stein non mi fece giocare e non mi convocò più - disse nel 2015 al quotidiano The Scotsman - Mi sono spesso chiesto se quella di Daglish e Souness fosse una trappola escogitata da Stein per mettermi alla prova, e purtroppo presi la decisione sbagliata". NORTH LONDON DERBY Il Tottenham di Young finì al nono posto nel 1975-76, uscendo subito in FA Cup e arrivando alla semifinale di Coppa di Lega, ma retrocesse, da ultimo in classifica, l’anno successivo, dopo il cambio in panchina, Keith Burkinshaw al posto di Terry Neill, andato all’Arsenal. Young non aveva un bel ricordo di Burkinshaw, a suo dire responsabile della retrocessione per le sue scelte di formazione, ma bisogna anche ricordare che dopo il ritorno nella massima serie gli Spurs con lui vinsero due FA Cup e la Coppa Uefa 1984. Young era andato via prima della caduta degli Spurs in seconda divisione: a marzo 1977 lo acquistò Neill, convinto che la grinta e l’influenza difensiva dello scozzese, che al momento di acquistarlo dall’Aberdeen aveva definito "un bastardone grande, grosso e un po’ maldestro sempre pronto a farsi un bicchierino", avrebbero conquistato i suoi nuovi tifosi e avrebbero fatto dimenticare un brutto episodio di pochi mesi prima, un’entrata assassina sul centravanti Frank Stapleton nel feroce 2-2 del 27 dicembre 1976, in cui aveva pure segnato. E così fu, nonostante la freddezza iniziale: poche settimane dopo il suo arrivo si prese un pugno dal suo portiere Jimmy Rimmer ma, tornato in campo, con una fasciatura alla testa, come primo gesto respinse in tuffo, guadagnandosi con quel volo l’affetto dei tifosi, che per lui coniarono - con tanto di striscioncino visto alle finali di FA Cup a Wembley - il canto a doppio senso "We’ve got the biggest Willie", dove la parola, con la w minuscola, sta ad indicare una parte del corpo specificamente maschile. Il suo senso di riconoscenza verso Neill, che lo aveva valorizzato, a volte fu inferiore al suo spirito incontrollabile: come quando si rifiutò di partecipare ad una sessione di aerobica agli ordini di un istruttore che l’allenatore aveva chiamato per dare ai suoi una preparazione atletica diversa, e anzi lo mandò a quel paese mettendosi poi a ballare in modo scomposto per dissacrare il tutto. La sua carriera all’Arsenal, a proteggere il leggendario portiere Pat Jennings arrivato pure lui nel 1977 dal Tottenham, durò quattro anni e mezzo: dopo una finale di FA Cup vinta nel 1979, due perse nel 1978 e 1980 e la sconfitta ai rigori contro il Valencia nella finale della Coppa delle Coppe 1980, si esaurì nel 1981, con il passaggio al Nottingham Forest di Brian Clough, che però dopo una deludente uscita dalla coppa per mano del Derby County lo accusò addirittura di aver preso soldi per perdere. Seguirono brevi periodi al Norwich City, al Brighton, al Darlington, 14 partite in tutto, e il ritiro nel 1984, seguito da 19 anni nella gestione di un pub nei pressi di Nottingham, attività lasciata per frustrazione dopo una sparatoria tra bande rivali nel parcheggio. Mostrando un lato sensibile raramente emerso nella sua carriera da giocatore, Young aveva poi aperto una pensione per cani e gatti, o meglio un canile e gattile per dare loro ospitalità temporanea in attesa di adozione, prima di essere avvolto dalla demenza senile, che ha cominciato ad intaccare la mente lasciando intatto un fisico che, pur appesantito, gli consentiva di giocare a golf. BIG WILLIE Non è stato un campione, non è stato un giocatore esemplare, ma è stato un guerriero, un esponente precipuo e visibile della sua era, di un calcio romantico nei racconti nostalgici ma molto meno nella sua realtà di sangue, sudore e lacrime. "Six foot two, eyes of blue, Willie Young is after you". Grazie Willie, buon viaggio, e pazienza se a sentircelo dire commossi avresti reagito con un tackle in scivolata e non con una carezza.

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Willie Young ha cambiato il calcio senza saperlo

Roberto Gotta