Conosci il Non-League Day?

Era un lavoro pulito, e qualcuno doveva pur farlo. Quel qualcuno fu William McGregor, il commerciante scozzese trapiantato a Birmingham che nel 1888, da dirigente dell’Aston Villa, decise che doveva finire l’era del disordine, dell’incertezza. Doveva finire il periodo degli investimenti senza ritorno, dei compensi pagati a calciatori che poi in campo non andavano. Certo, rispetto a oggi, anche in proporzione erano investimenti e compensi modesti, ma erano comunque soldi che uscivano senza rientrare. E infatti un paio di volte McGregor aveva spostato nel magazzino della sua ditta di tessuti mobilio e oggetti vari di proprietà del club, per evitare che venissero confiscati da ufficiali giudiziari mandati da creditori di vario tipo. Era successo, per cinque sabati consecutivi, che amichevoli programmate dal Villa saltassero per indisponibilità degli avversari, indisponibilità che in alcuni casi era stata generata dal fatto che altre squadre avessero offerto un ‘gettone’ più alto. C’erano, sì, la Coppa d’Inghilterra e alcune coppe cittadine e locali, ma se uscivi al primo turno la tua stagione si riduceva a una manciata di partite, e a volte pure se andavi avanti incontravi squadre così misere da non attirare spettatori, in un’era in cui il calcio non aveva ancora la presa definitiva di oggi. E allora McGregor, il 2 marzo 1888, andò nel suo negozio, prese alcuni cartoncini con i disegni di abiti, di quelli che si mostravano come esempio ai clienti entrati per farseli confezionare, li girò dal lato bianco e scrisse a matita una lettera al proprio consiglio direttivo, così come a quelli di West Bromwich Albion, Bolton Wanderers, Preston North End, delineando i contorni di un’idea che aveva avuto dal cricket, con il tuttora famoso County Championship, torneo tra squadre di contea che in forma non ufficiale si disputava dal 1864, anche se è pressoché certo che avesse in mente, in quanto appassionato e conoscitore di… baseball, la National League partita negli Stati Uniti nel 1876. La proposta era quella di creare un’associazione di 10 o 12 club che giocassero tra di loro una volta in casa e una in trasferta: voleva dire un minimo di 18 partite e dunque la garanzia che stipendi e investimenti avrebbero avuto un ritorno. Nacque così, poco più di un mese dopo, a Manchester, la Football League, che peraltro avrebbe potuto anche chiamarsi Football Union, perché il termine ‘league’ era poco diffuso, nonostante l’esempio del baseball, e aveva una fresca connotazione negativa per via della Irish Land League, movimento che rivendicava la proprietà della terra per chi la coltivava e non per chi la possedeva. Anche se piaceva ancora meno ‘union’, che alla maggioranza della gente avrebbe ricordato il rugby oppure le nascenti organizzazioni sindacali, non molto simpatiche ad alcuni dei presidenti, compresi quelli che non erano industriali o imprenditori ma semplici negozianti o grossisti, proprio come McGregor. ‘The Football League’ alla fine fu la soluzione, ed è interessante però notare come mancasse l’aggettivo ‘English’: perché McGregor sperava di tirare dentro, prima o poi, anche squadre scozzesi. Ora, l’articolo determinativo, THE Football League, era un segnale forte, ma non decisivo: nulla impediva la nascita di altre leghe, e in effetti una sorse poco dopo, formata dai club che avevano inutilmente cercato di entrare in quella originale. Si chiamava Football Combination e diede poi luogo, dopo un insuccesso di avvio, alla Football Alliance, anche questa composta di squadre del centro e nord, mentre solo nel 1894 nacque un raggruppamento al sud, la Southern League. Attenzione: potevano essere, in teoria, leghe di identico valore e livello, in lotta per la supremazia all’interno della affiliazione alla federazione, ma con il passare del tempo si affermò la Football League, per organizzazione e primogenità, mentre le altre furono subalterne. È il concetto chiave dell’intero sistema calcistico inglese, ed è alla base del resto di questo articolo, il cui titolo può avervi indotto a pensare a una prima parte diversa. Pensiamo agli Stati Uniti, ad esempio alla NBA: si tratta da decenni della lega più forte, l’unica davvero di successo globale, ma agli albori c’erano stati altri raggruppamenti territoriali che avrebbero potuto sfidarne la crescita, e uno di essi, la straordinaria ABA , tra 1967 e 1976 ebbe tale successo da costringere di fatto la NBA a una sorta di fusione, con l’assorbimento di squadre come Indiana Pacers, San Antonio Spurs, Denver Nuggets e New York Nets. Ma negli Stati Uniti non esiste il concetto di retrocessione, o almeno non esisteva fino a giovedì 20 marzo 2025 sera, quando la USL, lega parallela alla MLS ha svelato un meccanismo del genere per le proprie tre serie a partire dal 2027, mentre in Inghilterra la crescita di leghe locali portò poco alla volta a una necessaria gerarchizzazione. Per impedire che club di crescente importanza andassero a rafforzare altre, come Midland League o la lancashiela Southern League, ad esempio, già nel 1892 la Football League creò una Second Division, annettendo di fatto la Alliance e con l’importantissima aggiunta di un club londinese come l’Arsenal, affermandosi di fatto come LA lega, THE Football League come diceva, ambiziosamente, la sua stessa definizione iniziale, e con il passare del tempo tutte le altre finirono con l’esserne subalterne. Nel 1920 i club più importanti della Southern League passarono pure loro alla Football League, formando nel 1921 la Third Division South in parallelo alla neonata Third Division North, e con il 1959 partì la Fourth Division, ultima tappa di crescita della Lega a 71 anni di distanza dalla nascita, con una struttura composta dunque da 22 club in prima e seconda serie e 24 in terza e quarta. Una struttura unica piramidale, e non è un caso che le squadre campioni d’Inghilterra fosse definite ‘League champions’, mentre quelle delle serie inferiori fossero solo, ad esempio, ‘Second Division champions’: chi vinceva la First Division arrivava all’apice della piramide e dunque dell’intera lega, che fino alla creazione della Premier League , staccata dalla Football League stessa, era un tutt’uno anche dal punto di vista dei contratti televisivi: e proprio per non voler più spartire gli introiti con le varie Grimsby Town e Lincoln City le big già in precedenza avevano ottenuto favoritismi sul piano economico. Dal 1959, insomma, o sei nelle quattro serie principali o sei Non-League, distinzione che è sì gerarchica, ora, ma che agli albori poteva solamente essere di differenza orizzontale, come tra NBA ed ABA. Ed essere Non-League - questo è a volte difficile da afferrare, per i non-inglesi – non vuol dire essere dilettanti, come spesso si racconta, visto che al quinto livello assoluto del calcio inglese, la National League, possono esserci club che pagano parecchio, come ad esempio il Notts County, una media di quasi 10.000 euro al mese a giocatore nella stagione 2022-23, quella del ritorno nella Football League di cui il club era stato tra l’altro fondatore. E allora, ormai dal 2010 esiste un Non-League Day, una celebrazione a livello nazionale del calcio che è appunto non necessariamente dilettantistico, perlomeno appunto in National League, ma che è storicamente al di fuori delle quattro serie principali. L’ideatore è James Doe, un tifoso dell’Harrow Borough, e simpatizzante del Queens Park Rangers, che la ebbe un giorno di fine agosto assistendo a un’amichevole precampionato a Tavistock, nel lontano Devon: Doe volle capire la portata, anche a livello di social media che in quel periodo erano comunque agli inizi, di un’intera giornata dedicata ai club minori, dunque organizzata in contemporanea con la sosta per le nazionali. L’obiettivo era, ed è, quello di portare negli stadi di Non-League non solo il maggior numero di tifosi abituali o semi-abituali ma anche tifosi di grandi club momentaneamente ‘inattivi’, che si stacchino per un giorno da impianti moderni, a volte asettici - checché ne pensino molti appassionati stranieri - e si reimmergano in atmosfere intime, perdute, quelle ad esempio in cui si giochi al tradizionale orario delle 15 del sabato, in cui si possa bere birra sugli spalti, spostarsi da una ‘curva’ all’altra tra primo e secondo tempo, portare il cane, stare in piedi, appoggiarsi a una transenna, servirsi in baretti e chioschi con prezzi dignitosi, salutare i vicini di casa che allo stadio hanno portato i figli e magari il nonno e chiamare per nome uno dei tanti volontari, magari l’addetto agli ingressi o il massaggiatore, perché lo si conosce da una vita. Una descrizione idilliaca che non sempre, per essere onesti, corrisponde alla realtà, e che a volte viene vissuta in modo ambiguo: un club per tanto tempo nella Football League come l’Oldham Athletic, quasi 6000 spettatori di media e stadio magnificamente retrò, il 22 festeggerà alla grande ma preferirebbe di gran lunga essere in League Two o League One se non in Championship, dove è stato a lungo, ed è dunque solo di transito in Non-League. Mentre più in basso si va, più è facile che si parli di società consolidate, che nemmeno avrebbero i mezzi per competere regolarmente in una delle prime quattro serie, e che dunque di questo status fanno un reale, sentito motivo di orgoglio, con iniziative di coinvolgimento del vicinato che ad ogni Non-League Day sono ancora più intense del solito. Un club dei dintorni di Oxford, l’Abingdon United, ad esempio offrirà uno sconto del 50% sul biglietto a chi si presenterà ai botteghini indossando una maglia retrò di qualsiasi club. 'Support your local club' È la giornata dell’apoteosi del concetto ‘support your local club’, dell’invito a tifare per il club della propria città o paese, che in molte nazioni europee, diciamo a nord delle Alpi, è praticato con interessante costanza, anche se il paradosso è che negli ultimi anni, con un contratto televisivo firmato dalla National League e conseguentemente con anticipi e posticipi, è stata resa possibile un’abitudine opposta, quella cioé di andare a vedere più di una partita di Non-League nello stesso giorno. È il principio del groundhopping, del saltare da uno stadio all’altro, filosofia moderna che si distacca dal tifo e vuole solo assorbire la bellezza di ciascuno stadio e ciascun ambiente, in una sorta di Grand Tour del calcio. La Essex Senior League, di fatto nona serie del calcio inglese, ha addirittura previsto una sorta di ‘passaporto’ che per 30 sterline permette l’ingresso in tutti gli stadi in cui si giochino sue partite, tra il 21 sera e il 22, a vari orari. Interessante notare come negli ultimi anni anche molte delle grandi, non avendo sostanzialmente nulla da perdere e potendo anzi proiettare una buona immagine di sé, invitano i propri tifosi ad andare a vedere un club minore: lo ha fatto ad esempio in questi giorni il Manchester City e non è un caso che la foto di apertura dell’articolo mostri proprio Boundary Park dell’Oldham, che è quanto di meravigliosamente più bello e lontano ci possa essere dall’Etihad Stadium. E la Premier League stessa celebra i giocatori che abbiano vestito la maglia di una squadra di Non-League : sono tantissimi, compreso l’uomo del momento, il difensore del Newcastle United Dan Burn, che ha giocato nel celebre Blyth Spartans, club tra l’altro destinato alla retrocessione in ottava serie ma salvato dalla sparizione, nell’anno dei suoi 125 anni, dall’intervento di alcuni dirigenti, tra cui il nuovo presidente, Kevin Miles, che è pure il direttore esecutivo della Football Supporters’ Association. Non-League Day… spagnolo In ossequio al legame antico tra Athletic Club e calcio inglese, dal 2023 c’è un Non-League Day, o meglio weekend visto che comprende anche domenica 23, anche a Bilbao e dintorni, e anzi lo storico club del San Mamés ha donato maglie biancorosse a sei squadre inglesi che giocano con quei colori proprio per rafforzare la connessione e il comune sentire. Qualcuno, qualcuno con un piede nelle istituzioni e insomma non il primo che passa, ha proposto che il Non-League Day venga spostato al… 26 dicembre, cioè il Boxing Day, perché giorno in cui si è a casa o dai parenti e in cui maggiormente verrebbe fuori lo spirito di famiglia che è alla base della festa. Ma è un’idea destinata a cadere: celebrare a inizio primavera, come capita regolarmente, è un segnale di speranza, di rinascita, che ancor più trova valore metaforico. E alla fine di tutto, William McGregor, con la sua creatura che voleva escludere, va ringraziato per aver involontariamente portato a valorizzare chi non ne fa parte.

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Roberto Gotta