Il Plymouth, la magia della Fa Cup e le storie da film della competizione più affascinante

Da domenica scorsa i nomi di Ryan Hardie e Conor Hazard sono nella storia del football britannico, insieme a quelli di Ian Turner, Roger Osborne, Ben Watson e almeno un’altra ventina di calciatori. Se non siete in grado di ricordare lor signori non significa che la vostra conoscenza dello sport sia modesta. Semplicemente, si tratta di eroi per un giorno, anzi novanta minuti di quel giorno, la durata di una partita di pallone, giocata però nella competizione più vecchia e più affascinante della storia del gioco: la Football Association Cup, meglio nota come Fa Cup e universalmente conosciuta come Coppa d’Inghilterra, una vecchia ma arzilla signora che non dimostra i 154 anni età e, soprattutto, si diverte a fare scherzi come un’impertinente ragazzina. Vittime principali i grandi club, paralizzati dalla magia del trofeo e, senza alcuna spiegazione tecnica, sconfitti da squadre modeste e giocatori sconosciuti. Come appunto Ryan Hardie e Conor Hazard, il primo attaccante scozzese, il secondo portiere nord-irlandese, che domenica hanno trascinato il Plymouth, ultimissimo in Championship, a battere il Liverpool, dominatore in Premier e in Europa. I Reds, di fronte ai quali si sono quest’anno inchinati Manchester City, Real Madrid e Milan, sono stati eliminati da chi, salvo miracoli, il prossimo anno giocherà in terza serie. Merito appunto di Ryan Hardie e Conor Hazard, girovaghi del pallone con in comune le squadre di Glasgow: 13 partite con i Rangers il primo, 5 con il Celtic il secondo, sufficienti a protestanti e cattolici scozzesi per capire che non era il caso di insistere né sull’attaccante e neppure sul portiere. Sconosciuti fino a domenica, quando a Hardie è riuscito quello di cui quest’anno non era stato capace Kylian Mbappé: mandare il pallone nella porta del Liverpool, sia pure su rigore. Era l’alba del secondo tempo, c’era tutto il tempo per recuperare, ma i Reds hanno sbattuto su Hazard, da cui abiti di portiere mediocre si è materializzato uno capace di giocarsi al meglio la grande chance offerta dalla vita. In fondo Andy Warhol ha previsto per tutti un quarto d’ora di celebrità, e il momento del nordirlandese doveva essere il pomeriggio del 9 febbraio. Ryan e Conor entrano dunque nel pantheon della Fa Cup, insieme ai nomi citati all’inizio del pezzo. Ian Turner, anche lui portiere, nella finale contro il Manchester United del 1976 difese praticamente da solo la porta del Southampton. Non doveva esserci match tra i Red Devils e i Saints, allora in seconda divisione e con due soli giocatori di classe, i nazionali Mike Channon e Peter Osgood, ma in quel pomeriggio di misteriosa grazia Turner prese anche le mosche, consentendo poi che un contropiede finalizzato da Boby Stokes a una manciata di minuti dal termine di dare al Southampton l’unico trofeo della sua storia. Non c’era stato un grande passato per Ian, e non ci sarebbe stato un futuro: un infortunio al ginocchio lo tolse di fatto di scena l’anno seguente. Una carriera in appena novanta minuti. Più lunga, ma senza soddisfazioni, l’esperienza di Ben Watson, centrocampista molto di lotta correndo per il campo con le maglie di Crystal Palace e Wigan. Con i Latics arriva in finale di Fa Cup nel 2013, e a Wembley non regna l’equilibrio: di fronte c’è il Manchester City con Mancini in panchina e in campo Aguero e Tevez, Kompany e Yaya Toure. Watson non è neanche titolare, lo mandano dentro a dieci dalla fine per difendere lo 0-0 che significherebbe supplementari e, chissà, rigori, l’unica vera chance del Wigan. Capita però che la palla rotoli dalle sue parti in area, e lui, che in carriera ha segnato con la costanza della pioggia nel deserto, la calci spedendola in rete. C’è solo tempo per il triplice fischio dell’arbitro: il Wigan vince la coppa e una settimana dopo retrocede dalla Premier, anche nei paradossi c’è la magia della Fa Cup. Poi Roger Osborne, centrocampista che per la verità appartiene a una grande squadra, l’Ipswich fatto grande negli anni ’70 e ’80 dal genio di Bobby Robson in panchina. I Tractors Boys non sono i favoriti nella finale 1978 contro l’Arsenal, ma dominano la partita anche grazie al talento di una rosa che conta sul difensore Terry Butcher, il centrocampista John Wark, l’attaccante Paul Mariner. A segnare è però Roger Osborne, probabilmente il meno talentuoso della rosa, ma anche per lui l’Fa Cup aveva stabilito che quello era il suo giorno. “Abbiamo messo Ipswich sul mappamondo”, commentò Robson quando la squadra tre anni dopo seppe vincere anche la coppa Uefa. Un’avventura da film, e infatti ne rimase colpito una leggenda del cinema come John Houston, alle prese con il set di ‘Fuga per la vittoria’. Decise che John Wark sarebbe stato uno dei calciatori della squadra dei prigionieri alleati, a fianco di Pelè e Bobby Moore, Deyna e Ardiles e che, per le riprodurre scene calcistiche credibili, venissero utilizzati proprio i giocatori dell’Ipswich Town. Storie da film, storie da Fa Cup.

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Nicola Roggero