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Serie A, le migliori giocate della 15^ giornata

Serie A

Francesco Lisanti

Il tacco di Alisson e il gol di Brignoli, il dominio tecnico e fisico di Milinkovic-Savic, la delicatezza di Petagna e altre perle dall'ultima giornata di campionato

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Alessandro Florenzi si diverte fino a che può

Nel momento in cui Florenzi mette in fila queste tre giocate, che prese singolarmente avrebbero potuto occupare tre posizioni di questa selezione, al termine di Roma-Spal mancano appena una manciata di secondi. La Spal è sotto di due gol e sta combattendo da ottanta minuti contro l’inferiorità numerica a cui è stata condannata dalla repentina espulsione di Felipe: lo si capisce dal movimento controintuitivo di Borriello, diretto con il pallone verso la sua porta, che i ferraresi non hanno null’altro da chiedere alla partita se non un po’ di pace.

Florenzi però non conosce pace. Ha affrontato in silenzio due rotture del crociato, un anno di riabilitazione e un’eliminazione da un Mondiale per cui era «pronto a morire sul campo», solo per avere l’opportunità di contendere questo pallone a Borriello all’ultimo minuto di una partita già vinta. Probabilmente ci troveremmo a commentare uno sforzo vano, uno dei tanti nella carriera di Florenzi, se Borriello avesse deciso di appoggiare il pallone verso Gomis che era lì a due passi, invece di avventurarsi in un dribbling che è un moto di incredulità. L’impulso di Borriello a non scaricare la palla sembra una protesta, l’espressione di un pensiero del tipo: “Ma che davvero?”.

Animato dal sacro fuoco della fascia da capitano, Florenzi non perde il contatto e trova lo spazio per arpionargli il pallone tra le gambe in scivolata, poi si risolleva in una frazione di secondo e trova subito l’equilibrio per proteggere la palla con il corpo dall’arrivo di Mattiello. Un boato dell’Olimpico accompagna il primo gioco di suola e interno con cui la fa sparire la palla dal campo visivo del terzino, un secondo fragorosissimo boato accompagna il secondo gioco di suola ed esterno del piede con cui gliela fa passare sotto le gambe. Al termine della sua corsa folle, Florenzi frana sul corpo di Viviani, che era stato suo compagno nella Primavera e forse per questo ne ha letto meglio di tutti le intenzioni.

 

“Volere è potere”: Milan Skriniar

All’inizio di questa sequenza psichedelica - il pallone rubato, lo scarico per Brozovic in controtempo, i sessanta metri percorsi in sei secondi, l’inserimento intelligente e la freddezza sotto porta - c’è un dettaglio, un’immagine di Skriniar che è allo stesso tempo spaventosa e allucinante, come gli elefanti rosa che tormentano i sogni di Dumbo. Skriniar si avvicina a Inglese con la sicurezza di chi ha già guardato nel futuro: è posseduto dal desiderio vorace di strappargli quel pallone al punto che inizia a saltare in corsa come i Dothraki che scendono giù dalle colline, ricavandone lo stesso effetto intimidatorio.

Per quanto sia difficile personalizzare un gesto comune come un contrasto vinto, Skriniar è già riuscito a ricavarne una trademark move, nel senso che quando punta il piede destro a terra, e apre il sinistro come un compasso, si potrebbe riconoscerne la sagoma anche se il campo fosse coperto da un gigantesco lenzuolo e dei giocatori vedessimo soltanto le ombre. Conquista il pallone e poi percorre il campo indisturbato, con il navigatore automatico, con quella sagoma sempre inconfondibile, fino al gol del 4-0. Nella sua corsa incontenibile, al passo della sentenza già scritta, Skriniar incontra anche un’elegante sterzata di Brozovic e un cross con i tempi giusti di Candreva, due giocatori storicamente inaffidabili. Come se quei salti voraci avessero creato un futuro in cui tutte le cose vanno per il verso giusto.

 

La delicatezza di un ragazzone come Petagna vale doppio

Mihajlovic ha dato la colpa del gol subìto a Barreca, che effettivamente rientra molto tardi dall’azione difensiva e si trova tre metri indietro al momento di mettere in fuorigioco Ilicic, ma non ci fanno una gran figura neanche i difensori centrali, che non si preoccupano minimamente di seguire il movimento a sganciarsi di Petagna. In prima battuta, perché il gioco spalle alla porta di Petagna è sempre rispettabile, tanto più se gli si lascia molto spazio: l’anno scorso, proprio qui a Torino, proprio in girata dopo una ricezione spalle alla porta, Petagna aveva segnato uno dei suoi (pochi) gol in Serie A.

Secondo, poi, perché Petagna aveva lanciato ampi segnali di aver intuito il movimento di Ilicic, girandosi almeno un paio di volte con la testa verso lo sloveno. Infine, perché Andrea Petagna era in gran serata - aveva già servito un paio di palloni morbidissimi per gli inserimenti dei trequartisti - e quando Petagna è in gran serata tocca corde di sensibilità tecnica e visione di gioco che normalmente non gli attribuiremmo. Nel vasto campionario di attaccanti che segnano poco e si sacrificano per la squadra, Petagna è un pendolo che oscilla incessantemente tra Karim Benzema e Vitali Kutuzov, con intervalli fugaci, e per lo più illusori, di puro piacere e gioia.

 

Vintage Franck Kessié

In una squadra che fin qui ha avuto le idee poco chiare su quando e come recuperare il pallone, e che se possibile dopo la partita di ieri sembra averne di ancora meno chiare, la straripante fisicità di Kessié non ha trovato il modo di emergere come valore aggiunto, a differenza di quanto accadeva nei meccanismi dell’Atalanta di Gasperini lo scorso anno. Finalmente, sugli sviluppi di una situazione statica, quelle potenzialità sono riemerse, e hanno condotto il Milan a un gol che oggi è solo un dettaglio statistico a corredo di un pareggio misero, storico per i motivi sbagliati - per il Milan, ovviamente - ma che potrebbe comunque consolare un minimo i tifosi milanisti come una sorta di anteprima di un futuro migliore (giova ricordare che Kessié è un classe ‘96) ancora possibile.

Borini spara una rimessa laterale addosso a Kessié, che deve difendere il pallone dalla pressione di Di Chiara, che è alto 184 cm. L’ivoriano gli si attacca addosso e lo fa girare sul posto con un vorticoso movimento di gambe, attento a non superare la linea laterale e a non perdere del tutto l’equilibrio, anche se a un certo punto cade e deve controllare il pallone mentre cerca di rialzarsi. Kessié resiste finché non si libera uno spiraglio per il cross, a quel punto scodella il pallone per la testa di Bonaventura mentre ancora si sta risollevando da terra, come a completare un movimento unico, usando il ginocchio sinistro da leva per l’interno del piede destro. Brignoli interviene su Kalinic con un tuffo un po’ goffo e Bonaventura riesce a ribadire in rete. Ma di lì a poco Brignoli imparerà che non tutti i tuffi goffi vengono per nuocere...

 

Il decennio di Alberto Brignoli

Era successo una volta nel 1992, una volta nel 2001, poi forse ancora nel 2002, ma non secondo i referti. Un portiere che si lancia nell’area avversaria e centra il gol del pareggio è un’anomalia statistica, un evento raro che avviene una volta per decennio, e se negli anni Novanta era stato il rassicurante Rampulla con la maglia della Cremonese, e negli anni Zero il combattivo Taibi con la maglia della Reggina, il riservato Brignoli alla riscossa del non-più-sempre-sconfitto Benevento è l’eroe che questi anni Dieci si meritano.

Nell’assurdo intreccio di storie che ha portato a questo pareggio (le 14 sconfitte consecutive, il cambio in panchina del Milan) si trova anche una piccola lezione sull’importanza della fiducia negli altri. Al suo arrivo, De Zerbi aveva deciso di lanciare Brignoli titolare e aveva scelto di confermarlo anche dopo una grave leggerezza in impostazione che era costata un punto contro il Sassuolo: «Non faccio la scelta sull'errore. So che Belec è un altro portiere di livello, ma ho scelto Brignoli per la sua specificità. Se cambiassi per uno sbaglio allora si darebbe maggiore importanza a questo aspetto e in ogni partita si farebbe una formazione differente».

Per “specificità” intendeva la qualità con i piedi, e non la capacità di tuffarsi a peso morto sopra un pallone vagante anticipando tutta la difesa del Milan, ma grazie alla sua testarda ostinazione, oggi De Zerbi può godersi il primo punto in Serie A della storia del Benevento. Nell’euforia delle celebrazioni, c’è un dato che è rimasto inascoltato, o rispettosamente ignorato: sia la Reggina di Taibi che la Cremonese di Rampulla, alla fine del campionato retrocessero. Il prezzo da pagare per la gioia di segnare un decennio.

 

Alisson Becker nel solco dei portieri-centrocampisti

Per liberare l’area di rigore e frustrare definitivamente ogni tentativo di pressione della Spal, Alisson utilizza l’interno del piede destro facendolo scivolare dietro la gamba sinistra. È un colpo difficilissimo, perché il rimbalzo irregolare sul terreno lo costringe a valutare molto attentamente l’angolo di coordinazione, ma alla fine l’impatto con il pallone è così preciso che Kolarov può farlo scorrere e proseguire la sua corsa a testa alta, con l’aria di chi un po’ se l’aspettava. Nei suoi primi mesi da titolare, Alisson è stato decisivo in più di un’occasione con le sue parate, in un certo senso ha fatto di tutto (e a volte anche di più) per smentire lo stereotipo che vuole i portieri brasiliani più a loro agio con i piedi che con le mani. Diciamo, però, che se Alisson è sembrato molto a suo agio con le mani, lo è altrettanto con i piedi. Questo gesto, con cui recupera improvvisando a un errore di calcolo nel controllo del rimbalzo, è una conferma delle sue straordinarie doti tecniche. Se qualche tempo fa ci strappavamo le vesti per Manuel Neuer, adesso possiamo rallegrarci che il tedesco non fosse l’unico della specie “portieri che vorrebbero essere centrocampisti”.

 

Tutte le qualità di Milinkovic-Savic in un’azione

Per capire quanto Milinkovic-Savic giochi in un campionato a parte bisogna fissare intensamente Bereszynski e Ramírez, cioè i due giocatori della Sampdoria che provano a contrastarlo all’altezza della trequarti, anche quando il serbo si allontana con la palla. I due fanno una fine misera, anche un po’ ridicola, da cattivi dei fumetti, che non a caso si muovono sempre in coppia. Ramírez inizia a ruotare su sé stesso con le braccia larghe, Bereszynski finisce per inciampare tra le gambe di Ramírez e ne esce contuso, ed è poi costretto a risalire il campo zoppicando.

Entrambi, poi, alla fine della loro decadente traiettoria si ritrovano lontanissimi da Milinkovic-Savic, come se più che la tecnica sopraffina, l’aspetto più incontrastabile del gioco del serbo fosse lo spostamento d’aria. Milinkovic-Savic pianta la suola del piede sul pallone, imprimendo un cambio di direzione repentino alla sua corsa, che nessuno riesce a seguire nonostante sia decisamente lui l’uomo più grosso coinvolto nell’azione. L’intelligenza, la tecnica, ma anche la sensibilità nel capire/leggere/sentire dove dovrebbe andare l’azione, tutto questo unito alla stazza rende Sergej Milinkovic-Savic un giocatore unico nel panorama italiano e non solo. Purtroppo in questo caso Luis Alberto non ha il passo per valorizzare il lancio meraviglioso che segue la giocata, un filtrante di quaranta metri pensato in una frazione di secondo e misurato alla perfezione. Resterà, dunque, uno dei migliori assist vanificati del campionato, di quelli che rendono giustizia allo scopo di questa rubrica.