Perché il Napoli ha bisogno del vero 'Contismo' vecchia scuola

Antonio Conte e la sua visione totalizzante. Vita e destino presi a morsi, senza scorciatoie, labirinti esistenziali. L'elettrica parabola di un uomo che ovunque sia andato ha coinvolto e sconvolto, per l'indole dinamitarda, la leadership dominante, la durezza del metodo, la potenza del messaggio. Conte e una costante, sempre quella, l'abitudine a edificare squadre vincenti, spesso con sorprendente rapidità, plasmandole attorno alle proprie ossessioni, convertendo i veleni in energie, infischiandosene di ideologie, tendenze, suggestioni avanguardiste. Il ‘contismo’ come furia rottamatrice, mentalità cannibale, inno al sentimento solidale. "Voglio gente che corre anche quando la gara è finita - ha sempre ringhiato - voglio nemici terrorizzati alla sola idea di affrontarmi". Per questo ha destato una certa impressione la sua ultima versione, vagamente malinconica, crepuscolare, e quindi altro da lui, in quella desolante conferenza stampa nel postpartita veronese. Stupore pari a quello acceso dalla facilità con cui il suo Napoli si era lasciato bullizzare al Bentegodi. Come se la pochezza espressa dai suoi ne avesse all'improvviso perforato, disintegrandola, la corazza emotiva, terremotandogli anche qualche granitica certezza. Certo, è cosa nota, Conte ha sempre vissuto ogni sconfitta come un lutto, una sorta di morte apparente. Figurarsi uno 0-3 al debutto, figlio di quella che lui stesso ha definito la "prestazione peggiore della mia carriera". Ed è anche vero che nelle tempeste ci sguazza, si esalta, "amiamo il dramma, amiamo il conflitto - scolpisce lo scrittore Chuck Palahniuk - abbiamo sempre bisogno di un demone", ed è sfizioso immaginare che se ne sia convinto seguendo passo passo il viaggio di Conte, tumultuoso in molte sue tappe. Ma resta il fatto che la maschera dolente esibita a Verona stride, e non poco, con i leggendari furori del passato, quelli con cui creava spogliatoi setta dentro formidabili cellule combattenti. Come la sua Juve dei tre scudetti di fila, quando pronti via si sbarazzò di chi non aderiva all'atto di fede, individuando in Pirlo la stella polare, modellando attorno al suo genio un gruppo duttile, mobile, trasformista. Come la sua Nazionale del 2016 ammirata nell'Europeo francese, che grazie a Conte riaffiorò dal medioevo tecnico ed estetico nel quale era precipitata, inventandosi una bellezza inedita, quasi rivoluzionaria, perché sbocciata in un contesto operaio. E con il Ct a bucare il video col suo cinema a bordo campo, il linguaggio del corpo, le pulsioni da rockstar, l'istinto mai ingabbiato da diplomatiche museruole. Ecco, il movimento vorrebbe tornare a godersi un Conte così, incontentabile, incontenibile, incontestabile, e quindi persino capace, in un ambiente sin troppo ingessato, di creare dipendenza, anche con i suoi eccessi. E allora De Laurentiis lo faccia per sé e per la patria, imprima al mercato del Napoli l'accelerazione decisiva, consegni al suo tecnico ciò di cui ha bisogno e che da tempo reclama. Perché della sparizione dei raccattapalle possiamo farcene una ragione, ma del Conte old style no, non è ipotizzabile, quella resta figura centrale, e sempre necessaria, nel grande romanzo del calcio italiano.