L'arte di fare calcio (e calciomercato)

Prendete ad esempio quel che è successo all'Hellas Verona dall'inizio del 2024: la sera del 6 gennaio, dopo la polemica sconfitta a San Siro con l'Inter, la squadra era terzultima con quattordici punti fatti nel girone di andata. Soprattutto, aveva appena perso o stava per perdere praticamente tutti i punti cardinali della rosa: Ngonge e Djuric, i due principali realizzatori che avevano portato in combinata il 52% dei gol di squadra, ma anche il cardine della difesa Hien, i due esterni di riferimento Faraoni e Doig, il promettente ragazzo di casa Terracciano... Un totale di quattordici giocatori buttati sul mercato all'improvviso per necessità indifferibile di fare cassa, con il conseguente e naturale pensiero che si fosse di fronte alla prima, chiarissima candidata alla retrocessione. E questo, per inciso, fissa un concetto: non si sta parlando di un modello da seguire, ma di un modo di affrontare le cose, di aguzzare l'ingegno, di far valere le proprie competenze e di ottenere risultati straordinari. Risultati, al plurale. Perché pensavamo di aver già assistito al grande miracolo quando alla fine del campionato scorso abbiamo trovato l'Hellas tredicesimo in classifica, salvo con una giornata di anticipo e ventiquattro punti fatti nel girone di ritorno, strappati uno dopo l'altro dal lavoro instancabile e coraggioso del tecnico Baroni e dalle idee tanto avventurose quanto sagaci del direttore sportivo Sogliano. Ma non avevamo ancora vissuto quest'estate e soprattutto la prima di questo campionato. Ora, ciò che non va fatto è pensare di aver già capito tutto, altrimenti rischieremmo di commettere l'errore di gennaio: la strada da fare è tantissima, le difficoltà ancora di più. Però evidentemente da quelle parti sanno come si fa ad inventarsi una vita calcistica esaltante. Perché ancora una volta il modus operandi è stato lo stesso: Baroni e Noslin sono andati alla Lazio, Cabal alla Juventus, Folorunsho – per il momento – è tornato al Napoli. E potrebbe non essere finita qui.. Di contro l'allenatore scelto è stato Paolo Zanetti, uno che l'anno scorso è stato esonerato prestissimo a Empoli, la stagione prima aveva sì centrato una brillante salvezza in azzurro ma quella prima ancora era retrocesso a Venezia. Ha fatto vedere diverse cose buone, però non era di certo un profilo in grado da solo di portare grandi sogni, specialmente dopo un esordio in Coppa Italia con sconfitta interna per 2-1 contro il Cesena. C'è da dire che l'impresa dell'anno scorso ha però portato con sé un'innegabile disponibilità alla fiducia verso le mosse di Sean Sogliano, non tanto in una piazza che non ha bisogno di garanzie per confermare sempre la propria rumorosa presenza, quanto nel mondo esterno che ha osservato le scelte del direttore gialloblù con un'intrigata curiosità. Perché se non fosse stato lui a pensare di creare un reparto offensivo con un capoverdiano preso dalla seconda serie olandese, un colombiano che fino a pochi mesi prima era semisconosciuto anche in patria e un danese reduce da un netto flop in una big internazionale, in molti avrebbero già dato i destini per segnati. E invece domenica scorsa al Bentegodi non solo c'erano ventimila spettatori pronti a spingere a mille, ma abbiamo ammirato anche la più sorprendente e netta vittoria che ci abbia regalato la prima giornata di Serie A. Quella che doveva essere incentrata sul grande ritorno di Antonio Conte in Italia dopo oltre mille giorni e invece ha rappresentato delle terribili Forche Caudine per lui e per il suo svuotato Napoli, apparso l'esatto opposto rispetto a chi aveva davanti. Ci aspettavamo di cominciare a vedere i famosi automatismi di chi ha vinto quattro degli ultimi cinque campionati italiani che si è giocato, abbiamo invece notato ed esaltato l'acume con cui Paolo Zanetti ha lasciato da parte il proprio calcio di riferimento per inventarsi un sistema tattico diversissimo, che gli ha garantito tenuta in un primo tempo di sofferenza e spumeggiante spinta in una ripresa trionfale. Pensavamo che Kvara, Simeone, Raspadori, Lobotka, Anguissa, Politano e gli altri potessero bastare per superare il guado, invece abbiamo visto che Dailon Rocha Livramento ha segnato sedici gol in Eerste Divisie con il Maastricht perché si tratta di un attaccante ingannevole, che ti induce a pensare di essere leggero e magari anche un po' frivolo ma che invece con la leggiadria probabilmente ereditata dalla sua antica passione per la danza trova la capacità di coordinarsi in modi eleganti ed efficaci, come nel tocco che ha aperto la lattina su assist illuminante di uno dei pochi trait d'union fra il ieri, l'oggi e il domani di Verona, il capitano Lazovic. O che Daniel Mosquera non è solo un carrarmato da battaglia, ma anche un bomber accurato nella definizione, cosa che peraltro nel semestre precedente aveva accennato in Colombia, vincendo il campionato con una squadra di tradizione pressoché inesistente e con un nome da romanzo sudamericano come l'Atletico Bucaramanga, ma che proprio dalla sua concretezza e dalla sua continuità è stata trascinata. E poi abbiamo avuto anche conferme su come l'occhio di Sogliano possa portare non solo soluzioni per l'immediato ma anche linfa futura per le casse, perché la crescita del “millepolmoni” Tchatchoua è realmente impressionante così come la capacità di gestione della partita di un veterano senza troppe parole ma con molti fatti come Ondrej Duda. Il tutto con un talento come Suslov ancora a mezzo servizio e forse pronto ad essere il prossimo sacrificato sull'altare degli obblighi di cassa, ma anche con la sensazione che potremmo avere molto presto altre sorprese, perché – tanto per fare un esempio veloce – l'ingresso a freddo e la prestazione del ventenne Belahyane sono state un segnale non indifferente. E' iniziata splendidamente la stagione dell'Hellas, ha regalato un immediato premio a chi lavora senza i mezzi economici di altri ma evidentemente con un forziere di qualità calcistiche di certo non inferiore. Non è un modello l'Hellas Verona , non è neanche una certezza di successo perché da qui a fine maggio chissà cosa succederà. Però è una dimostrazione: nel calcio, sapere come far muovere undici giocatori sul campo e il pallone che vien messo loro a disposizione è sempre stata e sempre sarà la cosa più importante.