Milan, se ci fosse Paolo Maldini

La vicenda è ricomposta, il Milan ha assorbito la posa dei due calciatori, riducendola all’involontarietà. Paulo Fonseca si tiene un credito, accettando le parole dei due, espresse da Theo, la società ha deciso che non è il momento di restare su una polemica ma è urgente andare avanti, sperando che questi strappi - le scelte forti prima della partita, gli atteggiamenti dentro - possano pareggiarsi, che la squadra trovi un amalgama quasi per senso di colpa, dopo aver pungolato quello del dovere. Un’eterogenesi dei fini. Il caso è accomodato ma resta l’impressione che qualcosa non s’aggiusti, ma siamo plagiati dal rendimento della squadra, che da mesi è incagliata, s’infrange sullo stesso scoglio, come se non vedesse il vero problema, come se non avesse altra traiettoria. Questa ripetitività incatena anche l’analisi, e allora ogni allarme che riproduca nei comportamenti le stesse distanze che la squadra soffre nel confronto con gli avversari, stimola a restare sul problema. A vario livello, sembra un problema di organizzazione. Sul campo, in modo matematico, aver cambiato i fattori non ha cambiato il prodotto: il Milan ha subìto gol simili per origine e per intenzione degli sfidanti. I problemi della squadra non sono ristretti al rendimento individuale ma attengono al comportamento d'insieme degli individui, al sapersi associare in ogni fase del gioco. Al vibrare insieme sia attaccando che - soprattutto - difendendo. A pensare alle due fasi contemporaneamente. Troppo campo scoperto, troppi gol subiti, troppo imbarazzo provocato ai difensori. Che poi il loro rendimento diminuisca, è logica conseguenza di questo disagio. Il tentativo di Fonseca di ‘trovare’ quel battito comune, togliendo i giocatori al tempo stesso più forti e anarchici , andava quindi valutata per la resa, non per il clamore. Nel primo tempo a Roma aveva restituito un po’ di ‘serietà’, poi - nel giro di 5 minuti - il Milan è crollato mentalmente, tornando a disperdersi per il campo, ha subito i soliti due gol e a quel punto sono serviti proprio gli esclusi per rimediare il pareggio. Per questo, Lazio-Milan non è stata una partita che ha offerto una soluzione ma ha raccontato che Fonseca è disposto a tutto per trovarla. Anche rischiare il suo tempo, che si è accorciato, e lo ha fatto consapevolmente, mettendo in discussione una gerarchia tecnica per coprire il campo riempiendolo di umiltà, togliendo i più bravi e più disordinati e indolenti. Ha deciso, in breve, di ‘intestarsi’ qualcosa, percorrendo quel crinale che non lascia margine: se funziona, in un colpo solo hai dato un segnale di forza e una lezione morale. Se sembra funzionare ma non dura, e la partita si ribalta, e hai bisogno per pareggiarla di quell’estro punito, allora serve saperla raccontare, perché la versione può variare, a seconda dei punti di vista. Non c’è stato bisogno di cercare le parole, la storia ha preso un’altra piega, l’immagine di quella ostentata distanza dal tecnico, dagli altri, dal sentimento di squadra, ha spostato la discussione. Se il campo aveva arruffato il senso della scelta iniziale, quella foto di coppia ha esploso il senso profondo della scelta di Fonseca. Un tecnico con una buona biografia e un ottimo stile che i tifosi hanno accolto pensando a chi non era arrivato e che dunque la società deve aiutare, soprattutto quando si prende un rischio come quello di Roma. Lui deve mostrare di aver coscienza dei problemi e deve incidere su quel senso di coesione che a volte sparisce, inghiottito da azzardi personali e negato dalla poca disponibilità a rimediare. Serve lavoro ma prima servono le idee giuste e l’esercizio per ripeterle con continuità dentro la partita, in tutte le fasi e in tutti i momenti. Serve una partecipazione, un modo che assicuri più presenza nel mezzo. Quando ha vinto lo Scudetto, il Milan aveva Tonali che giocava in copertura di ciò che succedeva sulla fascia sinistra. Da qualche tempo lì in copertura non c’è nessuno. Loftus-Cheek non sta facendo né il centrocampista né l’attaccante, sta facendo il fantasma. Ma bisogna sfuggire dai nomi, come ha fatto proprio Fonseca, se si vuol trovare un senso d’insieme. L’attrazione per mettersi a fare i tecnici è irresistibile, più della presunzione che lo sforzo restituisce. Ma la questione che ci premeva era l’altra, sopra il campo. Quel filo di ipocrisia che ha concluso il ‘capriccio romano’ ci ha lasciato il bisogno di trovare in quest’avventura uno sguardo importante, decisivo, di riferimento che avrebbe potuto evitare la scena o che comunque avrebbe espresso un’opinione forte, prima di pretendere le spiegazioni pubbliche dei due calciatori. Una classe dirigente si legittima in questi passaggi perché è l’ordine, sono le regole ed è il rispetto quello che tiene insieme un’organizzazione, che poi deve esaltare il talento, deve diffondere senso di appartenenza. Ci è mancato Paolo Maldini. Nel giugno del 2023 il Milan rinunciò a un uomo importante. È facile quantificare il distacco da un giocatore o da un allenatore, i confronti hanno basi statistiche più limpide . È più difficile capire ciò che perdi quando se ne va Paolo Maldini. Ci vuole tempo, succede un poco per volta: ma poi ci arrivi, e forse a quel punto capisci che è tanto, che è troppo. L’ultima vittoria del club arrivò con una coesione forte di un gruppo dirigente che si estendeva al tecnico e che sgorgò dal libero e fortissimo pensiero di Boban, che poi si immolò proprio per difendere la struttura . Non c’è più nessuno, si è cercato di affidare a Ibrahimovic, l’ultimo mito in campo, un ruolo di riferimento carismatico per il gruppo e di garanzia per il popolo: lo svedese lo interpreta con la sua enciclopedia, con le sue parole, con il suo stile, tutta quella narrazione che lo ha elevato come superbo individualista, spesso così bravo da risolvere per tutti. Un Semidio eppure con un ruolo ibrido, anche alla voce ‘datore’. Mica è colpa sua, davvero. Sarebbe una polemica inutile portarla a queste conclusioni e non ci sentiamo di cavalcare la sua assenza allo stadio . Ma non è lui che può chiudere i varchi in campo , avvicinare le componenti, costruire un senso di squadra e di identità. O se vuol farlo, deve avere questo compito e deve vivere di questa missione, molto ‘sporca’, respirare insieme alla squadra, confondersi con i problemi noiosi e quotidiani di tante persone e tanti personaggi. Trasmettere non sé stesso, ma una storia: non la sua, quella del Milan. Allora ci manca Maldini. Un dirigente che avrebbe tutti gli argomenti per sentirsi un Dio, un uomo - ormai distante dal calciatore - che si era messo a disposizione come professionista e soprattutto come milanista. La storia di una società è la sua forma di cultura più tenace, è il suo sguardo più potente sul presente e sul futuro.