Una magnifica e incurabile malattia: i 131 anni del Genoa

La celebrazione, quest’anno, è particolare perché doppia. E mai come stavolta la coincidenza di due diversi anniversari aiuta, forse, a comprendere l’essenza del tifo per il Genoa. Orgogliosamente, il club più antico d’Italia, che oggi 7 settembre festeggia 131 anni di storia, essendo nato nel 1893. Ma questo 2024 porta con sé un’altra ricorrenza che i genoani fieramente sentono di celebrare: i 100 anni dal nono e ultimo scudetto. Vinto, ma dalla totalità dei tifosi attuali non visto, non vissuto. A differenza dell’unico e più recente di cui in città invece si vantano 'quegli altri'. E proprio qui sta la magia, l’imponderabile. Perché nessuno, tra le centinaia di tifosi ieri sera scesi in strada a far festa per il compleanno del Grifone, può serbare ricordo di quello scudetto 1923/1924. Peraltro, il primo vero scudetto della storia del calcio italiano, perché proprio a partire dal successo del Genoa in quel 1924 i vincitori del campionato hanno iniziato poi a esibire sulle maglie lo stemma tricolore diventato il simbolo dei campioni d’Italia. Lo scudetto, appunto: il primo club a cucirselo materialmente addosso è stato l'antico Genoa. L’orgoglio non invecchia. Anzi. E anche se resta remota la prospettiva di centrare finalmente il decimo scudetto, quello della tanta sognata stella, la fede è Fede, con la effe maiuscola. In Genoa we trust. Nel Genoa si crede e basta, al di là dei risultati e del tempo. "Dall’inizio e per sempre" inorgoglisce i calciatori la scritta sul colletto delle maglie. E vincere, lì, non è l’unica cosa che conta. Anzi. "Ti amerei anche se vincessi", è lo striscione che carsicamente appare allo stadio e in città. Declinabile anche in, "sei genoano e vuoi anche vincere?", ricordando il grande don Andrea Gallo, prete di strada che così descriveva la sua predilezione per i rossoblu: "Io sto sempre con gli ultimi". Quegli ultimi, della società ma non di quella di calcio, a più riprese cantati da Fabrizio De André. Insieme all’altro tifoso e cantante Francesco Baccini, in "Genova blues", Faber cantò sì l’inno alla genoanità "Genoa, you are red and blue", ma alla sua squadra del cuore mai dedicò una canzone. "Sarei troppo coinvolto" si giustificava, anche se un verso del suo brano in dialetto genovese “Sinàn Capudàn Pascià”, beffardamente sembra ricordare che “a sfurtûn-a a l'è 'n grifun”, la sfortuna è un Grifone. E spesso è stato così. La promozione in Serie A del 2005 dopo la vittoria sul Venezia, pochi giorni dopo si trasformò per illecito sportivo in retrocessione in Serie C. "Ma non mollo, non mollo e non mollo!", come diceva l’allora presidente Preziosi, lo pensano ancora oggi e sempre tutti i genoani. "Genoa comunque e ovunque", insomma, proprio come il titolo del documentario che proprio da oggi è disponibile su Sky Documentaries e Sky Sport Calcio. "Perché, se tradisci, la faccio passare", come canta ora il tifoso e rapper Bresh in Guasto d’amore. E anzi m’innamoro di più, di questo "Vecchio Balordo", come Gianni Brera — che se ne professava tifoso — definiva il Genoa. Anni fa, ho visto due amici quasi commuoversi, quando hanno realizzato che, pur non conoscendosi ancora ai tempi, erano entrambi in tribuna per la 'prestigiosa' Genoa-Pizzighettone, prima partita di quel campionato post retrocessione in C. Una medaglia di fedeltà da appuntarsi al petto, che ha pari valore a quella di chi racconta orgoglioso d’esserci stato, alla prima vittoria di un’italiana ad Anfield. E a quel balletto di Aguilera dopo la doppietta al Liverpool che qualificò il Genoa alle semifinali di Coppa Uefa del 1992. Vette mai più toccate, quelle dei tempi di Pato e Skuhravy, gigante rossoblu in tutti i sensi e per coincidenza anche lui nato il 7 settembre. Quella squadra arrivata a un passo dalla finale europea ricorda che vincere, saltuariamente, è in fondo un incidente di percorso che può capitare persino al Genoa. Ma la passione non verrà mai a mancare, nemmeno sui campi più sperduti della Serie C. Che il calciatore in squadra si chiami Milito o Scantamburlo. Ogni volta che dagli spogliatoi del 'Tempio' escono undici maglie rossoblu, per 90 minuti si sostengono a prescindere i ragazzi che temporaneamente le indossano. E le partenze dell’ultimo calciomercato hanno anzi rafforzato la convinzione che, come da celebre sentenza del 'Professor' Franco Scoglio, altro mito del pantheon grifoniano, "noi siamo il Genoa e chi non è convinto posi la borsa e si tolga le scarpette. Non siamo mica il Roccapepe. Che poi dove sarà questo Roccapepe, magari poi è un paese bellissimo". Per dirla, meno prosaicamente, con il poeta, nel caso specifico alcuni versi del professor Edoardo Sanguineti, che è stato genovese e genoano: "Con gli occhi caldi, qui, del dottor Spensley , un secolo calcistico mi scruta. ... la vecchia sfera gira sempre, tra i nostri piedi, inquieta, accarezzata dai venti marini: : fotografie superstiti additano, per frammenti di lampi, questa lunga leggenda: è rossa, è blu” E dunque anche così si può provare a spiegare il perché di questa meravigliosa follia collettiva, che ogni anno porta per strada a Genova centinaia di persone a festeggiare il compleanno di una società di calcio. E quest’anno addirittura a ricordare la vittoria d’un campionato che non hanno vissuto ormai nemmeno i loro nonni e i loro padri. Ma da James Spensley, medico inglese fondatore a fine Ottocento del Genoa Crickett and Football Club , al primario e attuale presidente Alberto Zangrillo, per questa magnifica malattia, a Genova, nessuno ha ancora trovato una cura.

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