Il destino di San Siro, un romanzo kafkiano

100 anni fa moriva Franz Kafka, lasciando incompiuto uno dei suoi capolavori, tra i più citati anche a causa della sua incompiutezza, oltre che per l’atmosfera surreale che lo permea. Il Castello, oltre che il titolo del romanzo, è la misteriosa meta del protagonista, l’agrimensore K., che per centinaia di pagine non solo non riuscirà a capire quale sia il motivo della sua chiamata, ma nemmeno ad entrarvi, anzi, neppure a vederlo. La storia di qualcosa che deve, per forza, prima o poi, succedere, ma che non succede, una meta che quando sembra finalmente alla portata si allontana, una visione del mondo sconfortante e, allo stesso tempo, affascinante, in qualche modo ripresa da Dino Buzzati nel Deserto dei Tartari, e più recentemente, nella realtà, dal misterioso sceneggiatore della vicenda San Siro. In questo caso non c’è un autore noto e nemmeno un protagonista unico, o meglio, ci sono tre protagonisti, ciascuno dei quali può soggettivamente ritenersi il povero K., incolpevole cavia di un sistema avviluppante che non consente di arrivare a risposte definitive su nulla. Due protagonisti coincidono con i vertici dei due club, rappresentati sin dal 2018, anno di inizio di questa storia, da Paolo Scaroni che, kafkianamente, potremmo rinominare il Presidente e da Alessandro Antonello, l’Amministratore . Il terzo è il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che, sempre con la medesima logica, potremmo ribattezzare il Sindaco, personaggio effettivamente presente nel romanzo, o Joseph S., con licenza di sconfinamento nel Processo. In 7 anni, da quando Milan e Inter hanno deciso di intraprendere insieme il percorso per avere un nuovo impianto, più moderno e remunerativo, e di farlo sull’area di San Siro, sono cambiate entrambe le proprietà e tutti gli assessori coinvolti, ma non il Presidente, l’Amministratore e il Sindaco, ciascuno vittima, artefice o semplice testimone di passaggi burocratici, pareri non vincolanti, pareri vincolanti, rinvii, fumate bianche, nere e grigie, esiti di decine di incontri, mai davvero risolutivi. Ripercorrere passo passo la cronaca della vicenda equivarrebbe a riscrivere il Castello di Kafka, ci limiteremo dunque a scomporla in fasi, una sorta di sussidiario per chi, in questi anni, ogni volta che chiudeva gli occhi dopo aver letto o sentito l’ultima notizia sul futuro del proprio stadio, vedeva comporsi, in una cornice onirica e rarefatta, un’immagine via via sempre più definita. Prima uno stadio nuovo fiammante e un Meazza vecchio e fumante, nel senso di raso al suolo, poi uno stadio nuovo fiammante e un Meazza a fianco intatto, praticamente addossato e infastidito dalla presenza ingombrante del più giovane vicino, quindi si cambia ancora scenario e ricompare lo stadio nuovo ma con accanto un Meazza rifunzionalizzato, termine in voga per qualche mese prima che si capisca effettivamente cosa voglia dire: di fatto una demolizione con senso di colpa, si tira giù il vecchio stadio, lasciando un paio di curve del primo anello, a simboleggiare, nostalgicamente, le vestigia del glorioso passato. Un sogno o un incubo a seconda di chi immagina il futuro sulla base dei render, anzi concept come vengono definiti, insomma i disegni che i club periodicamente rilasciano. Da una parte i nostalgici, dall’altra i modernisti, gli apocalittici di qua, gli integrati di là. Per gli apocalittici nessun compromesso sul Meazza, per gli integrati un’ulteriore divisione, tra i progetti presentati dai due studi di architettura coinvolti e in gara tra loro: i sostenitori della Cattedrale, il progetto più squadrato e imponente di Populous, degno della miglior grandeur milanese, e quello più morbido e suadente, ma meno aggressivo, di Manica, gli Anelli. In entrambi i casi impianti futuristici, a basso impatto sonoro ed energetico, 60/65mila posti circa, costo dell’operazione 1.2 miliardi grattacieli circostanti compresi. Tutto questo viene esposto in grande stile nel settembre del 2019 e i club confidano, garantiti dall’iter accelerato della legge stadi , di avere la nuova casa in tre anni, abbattere quindi il vecchio e costruire il Distretto Multifunzionale nei successivi tre. In questo mondo parallelo oggi avremmo già il nuovo stadio, il Meazza sarebbe in via di demolizione, il cantiere per uffici e aree commerciali in fervente attività, mentre la cerimonia di apertura di Milano Cortina 2026 si terrebbe nella Cattedrale, il concept da subito dato per favorito. Ma, come per K., a ogni ostacolo superato se ne materializza un altro, salvo poi ritrovarsi il precedente di nuovo sulla strada. Il Sindaco, dopo un serrato confronto con una maggioranza molto perplessa, firma la Delibera con cui la Giunta dichiara il Pubblico Interesse dell’opera, ma 'condizionata', condizioni votate dal Consiglio Comunale. Da qui partono le discussioni nelle Commissioni, innanzitutto sulle volumetrie degli edifici limitrofi ad uso commerciale, pensati per massimizzare i guadagni: il PGT prevede un indice di costruzione doppio rispetto a quello nel Masterplan . Prima ci si accorda su un salomonico indice a metà strada tra i due estremi, poi i club cedono, ripensando il distretto. Seguono i costi per il diritto di superficie: prima si paga solo dal trentesimo anno, poi dal primo e si comincia a discutere su quanto valga San Siro, tema ora tornato di attualità e su cui si esprimerà l’Agenzia delle Entrate. Le trattative arrivano quasi sempre, seppur lentamente, a un accomodamento, pur in un contesto di proteste veementi da parte di alcuni residenti e della componente nostalgica, di necessità politica da parte del Sindaco, sotto elezioni amministrative, di tenere un tema tanto divisivo, e per lui potenzialmente dannoso, lontano dal dibattito elettorale e, da ultimo, il Covid, che mette tutto in ghiacciaia per un po’. Quando si riprende in mano il tema, i club sono più freddi, cominciano a fa filtrare di avere piani di riserva, ma tali esternazioni vengono perlopiù percepite come minacce per forzare i tempi e si prosegue dunque con le discussioni. Il nuovo passaggio è quello del Dibattito Pubblico, ma in pochi pensano che possa essere la prova conclusiva, perché il vero motivo per cui il via libera al progetto non arriva mai, è un altro ed è sullo sfondo fin dal primo giorno: il Vincolo, scritto maiuscolo come se si fosse nel romanzo di Kafka, forse più adatto al Processo. Il vincolo è la dichiarazione con cui il Sovrintendente pone sotto tutela un bene culturale, impedendone la demolizione e la cui verifica scatta dopo 70 anni. Il primo anello di San Siro è del ’26, ne ha molti di più, ma è indistinguibile dopo tre rifacimenti e dunque la Sovrintendenza ha lasciato libertà d’intervento. Ma c’è il secondo anello, che i 70 anni li compirà nel 2025, e su questa possibile tutela resta il dubbio. Vittorio Sgarbi, all’epoca Sottosegretario al Ministero dei Beni Culturali, con modi assimilabili a quelli del Klamm kafkiano, ritira fuori la temuta questione e non ha dubbi, in un modo o nell’altro il Meazza verrà posto sotto tutela. Viene quindi chiesto un parere anticipato alla Sovrintendenza, risposta: il secondo anello del Meazza verrà vincolato, non potrà essere abbattuto, fine della storia. E siamo alla fase due, in cui nulla è come prima. Via da San Siro, via da Milano e, soprattutto, ognuno per sé. I club hanno, come detto, da tempo sul tavolo svariate opzioni: Sesto San Giovanni , San Donato, Rozzano, fino alla fuga in avanti del Milan con l’ippodromo La Maura, non lontano da San Siro. E’ uno scenario complesso, troppo, che si dissolve nel giro di qualche settimana, si vira quindi su San Donato, nell’area San Francesco, un terreno il cui acquisto verrà perfezionato in poco tempo. Con l’Inter è gelo, ma anche i nerazzurri hanno da tempo pronto un piano B che si trasforma in piano A: è Rozzano, al confine con Assago, un terreno enorme, delimitato su due lati dalla tangenziale ovest e dal Naviglio Pavese, su cui l’Inter ha un diritto di esclusiva sull’acquisto con la famiglia Cabassi, proprietaria dell’area. In entrambi i casi parte l’iter burocratico, in particolare il Milan ha già impostato il percorso con il Comune di San Donato, tanto che le parti interessate iniziano già a lavorare sull’Accordo di Programma sulla base del piano presentato dal club rossonero. Anche qui nulla di scontato, visto che andrebbero ripensate le infrastrutture e le logiche di trasporto, a cominciare dalla stazione ferroviaria. E San Siro? Nella visione onirica precedente il Meazza era ridotto a poco più che un muretto di cinta; ora, con le squadre lontane da Milano, resta in piedi, ma col passare degli anni si trasforma in una sorta di Colosseo in epoca altomedievale, abbandonato a se stesso, una cava di pietra da cui attingere materiale per altre costruzione, con l’erba che cresce intorno e il bestiame a pascolare, come in un quadro settecentesco. E’ l’incubo politico del Sindaco che cambia forma: dall’essere il sindaco che lasciò demolire San Siro, all’essere quello che lo condannò all’oblio e al degrado. Ed ecco che Joseph S. si gioca l’ultima carta, la ristrutturazione, che in realtà è sempre stata la soluzione da lui auspicata, quella però esclusa dai club ai tempi del primo piano di fattibilità. L’occasione per riesibirla viene fornita da Webuild, il colosso delle costruzioni che ha un piano rendere più moderno l’impianto senza obbligare le squadre a trasferirsi e senza toccare il secondo anello vincolato. I costi di uno stadio da soli, uniti allo spettro di un nuovo lungo e incerto iter burocratico, convincono i club a considerare la proposta e a tornare ad agire congiuntamente, con Oaktree subentrato a Zhang e Redbird già da un po’ al posto di Elliott. Il resto è storia recentissima: dopo aver aperto all’ipotesi, si torna a escludere la via della ristrutturazione, ma rispunta la possibilità del nuovo, fiammante, impianto sull’area di San Siro, accanto a un Meazza che sopravviverebbe, rifunzionalizzato, col suo secondo anello vincolato e, forse, poco altro. Un deja-vu che getta nello sconforto chi pensava di aver salvato San Siro, con i suoi tre anelli e le rampe elicoidali: non verrà abbattuto, ma cosa ne resterà? E come sarà poi il nuovo impianto? Verrà recuperata la Cattedrale? O Gli Anelli? In questo momento i K interisti e milanisti, pensando al loro stadio del futuro, sono nella condizione del vero K all’inizio del romanzo, quando “il monte del Castello non si vedeva affatto, lo circondavano nebbia e oscurità, neppure il più debole chiarore lasciava trapelare il grande Castello.” Quel capolavoro Kafka lo lasciò incompiuto con una frase interrotta, in questa storia che del capolavoro ha poco le ultime parole sono quelle del Sindaco nel punto stampa, in cui si dice disposto a vendere San Siro a patto che i club rinuncino a scappare da Milano. E lì potranno costruire il loro nuovo Castello.