Roma, non si strappa così una bandiera. Cosa resta dell'esonero di De Rossi

Senza cuore. Ma anche senza timone. Che delusione la Roma dei Friedkin. Non si strappa così una bandiera. Non si governa così una società. Uno pensa: arrivano gli americani e la mancanza di passione e di coinvolgimento, diciamo di amore puro, carattere distintivo di proprietà precedenti, sarà compensata da una capacità di management che consentirà di alzare il livello delle strutture e degli obiettivi. E invece… Si naviga a vista. Quando si incomincia a intravvedere qualcosa che assomiglia a un progetto , ecco che all’improvviso la navigazione s’interrompe. E’ subito bonaccia. Altro che i sofisticati meccanismi di Luna Rossa e degli altri jet del mare. Qui siamo ancora al due senza. Due allenatori, entrambi di grande prestigio sia pure così diversi per storia, qualità e comportamenti, lasciati durante il loro mandato senza la copertura di dirigenti esperti e competenti, e scaricati dall’oggi al domani nello stesso modo, di prima mattina, all’inizio di una normale giornata di lavoro, insomma come si diceva una volta licenziati in tronco. De Rossi come Mourinho. E in maniera ancora più brusca e inaspettata. Esonerato dopo quattro giornate di campionato e solo poche settimane dopo avergli rinnovato il contratto per altri tre anni, prima ancora di scegliere il nuovo direttore sportivo. Che senso ha? A meno che non sia accaduto qualcosa di molto grave che non sappiamo. La motivazione addotta da Lina Souloukou, la Ceo incaricata dai Friedkin di gestire il club, e cioè i risultati non all’altezza degli sforzi di mercato compiuti dalla società, è insufficiente anche se non del tutto infondata. Anche perché De Rossi non ha avuto il tempo di lavorare con la rosa definitiva. Ha praticamente sprecato tutto il pre-campionato a preparare una squadra basata su un 4-3-3 classico costruito per esaltare le caratteristiche dei due nuovi acquisti più importanti e più costosi, Soulé e Dovbyk, prima di scoprire che avrebbe avuto ancora a disposizione Dybala, del quale invece gli era stata preannunciata la partenza. Koné, Saelemaekers e il terzino saudita Abdulhamid sono arrivati negli ultimissimi giorni di mercato. Neanche il tempo di conoscere tutti un po’ meglio e trovare le nuove soluzioni. Poi, è assolutamente vero che De Rossi ha commesso degli errori, anche gravi, come la formazione scelta inizialmente per affrontare l’Empoli o i cambi di domenica a Marassi. Così com’è vero che che le quattro partite senza successi di questo inizio di stagione erano state precedute da sei partite con una sola vittoria nel finale dello scorso campionato. Ma su questo semmai si doveva riflettere prima del rinnovo triennale. Non possono essere stati solo i recenti risultati deludenti la vera ragione di un divorzio tanto doloroso. Evidentemente i rapporti interni si sono logorati durante l’estate fino a lacerarsi del tutto in questa prima metà di settembre. Si racconta di un ultimo incontro burrascoso fra De Rossi e Lina Souloukou martedì pomeriggio e anche di dimissioni presentate dall’allenatore, ma subito respinte, qualche giorno prima, quando dalla società era partita la richiesta di non utilizzare Dybala per più di 14 partite, in modo da non far scattare il rinnovo automatico del contratto dell’argentino. Si parla anche di rapporti improvvisamente complicati con alcuni giocatori della vecchia guardia: chissà, di certo era stato confermato un diverbio in allenamento con Cristante, mentre era stata smentita una lite con Mancini. Persino l’intervista di Totti a Sky, e quella successiva al Messaggero, nelle quali veniva discusso il mercato della Roma e messo in guardia l’amico De Rossi dal rischio di diventare un parafulmine, vengono indicate come motivo della crescente irritazione della società. Se tutto questo è vero, con l’aggiunta di un rapporto non idilliaco fra il tecnico e il ds Ghisolfi, per via di certi giocatori arrivati senza essere stati richiesti, è chiaro che sarebbe stato difficile continuare una relazione fra separati in casa. Eppure, stupisce come anche in questo caso non sia stato minimamente tenuto in conto il sentimento dei tifosi giallorossi. Ché poi non è solo una questione sentimentale. In anni complicati per la gestione economico finanziaria della Roma, non ancora del tutto appianata nonostante il botto degli oltre 110 milioni investiti nell’ultimo mercato , è un fatto che prima Mourinho e poi De Rossi hanno contribuito alle entrate della Roma, che hanno visto la voce degli incassi da stadio impennarsi del 100%, grazie alla serie di “tutto esaurito” innescata dalla passione, ancora viva, per lo Special One e continuata grazie all’amore per Capitan Futuro, che ora verrà ingiustamente declinato al passato. Mai si era visto l’Olimpico giallorosso così pieno e così a lungo, a prescindere dai risultati. Difficilmente Ivan Juric, che pure è un ottimo allenatore, avrà lo stesso impatto. Peraltro, la decisione di offrirgli un contratto in scadenza a giugno in caso di non raggiungimento della Champions League, seppure societariamente corretta, testimonia di una fiducia non incondizionata da parte del club. Insomma, dopo Mourinho e De Rossi, una scelta non di primissimo piano. Che non pare destinata a placare l’irritazione, ma ancor più l’incredulità della stragrande maggioranza dei romanisti. Juric è chiamato ad affrontare un impegno difficilissimo, con una squadra non scelta da lui: dovrà vincere anche la diffidenza dei tifosi. Ma il coraggio non gli manca.