Inter, i campanelli d'allarme del derby e una particolare coincidenza

C’è una coincidenza particolare nelle ultime frenate dell’Inter. Un dato che, tra infortuni e circostanze diverse, può anche essere casuale e non dipendere solo dalle scelte tecniche ma è reale. Prima di analizzarlo va fatta una premessa: la prima sconfitta stagionale arrivata al minuto 89 in un derby, dopo averne vinti 6 consecutivi, non può aprire processi o crisi. Tanto più a pochi giorni da una prestazione gigantesca in Champions League. Stiamo parlando di una squadra che ha stritolato lo scorso campionato e siamo solo a settembre. Un allenatore Inzaghi che ha vinto trofei, scritto record e regalato un gioco bello e divertente come raramente si era visto. Eppure, qualche campanello di allarme è suonato. La difesa non è impenetrabile come la stagione passata . Alcuni big non sono ancora entrati in forma, Lautaro su tutti, per via di un’estate troppo corta. In più c’è il rischio di un appagamento in campionato che è sempre in agguato. E poi c’è il nostro dato. Partite diverse, stagioni diverse ma quella del derby è una situazione già vista. Sommer; Bisseck, De Vrij, Acerbi; Pavard, Frattesi, Calhanoglu, Klaassen, Darmian; Sanchez, Lautaro. Vi state chiedendo cos’è? È la formazione con cui l’Inter ha chiuso la sfida, poi persa ai rigori, contro l’Atletico Madrid nella scorsa Champions League. Stanchezza, infortuni, momenti: tante le cause, ma fa strano vedere una potenza come l’Inter che perde cavalli nel momento in cui dovrebbe spingere sull’acceleratore. Tante volte i cambi di Inzaghi hanno aggiustato le partite, vedi Frattesi con Verona e Udinese, ma in altre circostanze è capitato che i subentranti non garantissero lo stesso standard degli altri. A Monza, la settimana scorsa, nell’ultimo decisivo quarto d’ora l’Inter aveva in panchina per motivi differenti Lautaro, Thuram, Mkhitaryan, Calhanoglu e Barella. Quale squadra potrebbe vincere uno scontro cruciale e superare un ostacolo arduo senza i suoi protagonisti più rappresentativi? Qualsiasi gruppo se viene privato dei 5-6 più forti comincia a faticare. Tutto questo ci serve per comprendere il finale del derby con un’Inter scarica nel momento clou, gli ultimi minuti. L’Inter ha chiuso il derby con quest’11: Sommer; Pavard, Acerbi, Carlos Augusto; Darmian, Frattesi, Asslani, Zielinski, Dimarco; Thuram, Lautaro. Questo elenco di nomi ci permette una riflessione che, al netto di tutte le giuste analisi, aggiunge un tassello importante. Questa Inter, che spesso vince e giustamente raccoglie elogi e soddisfazioni, in quelle rare volte in cui va in tilt non può prescindere dai suoi giocatori più forti. In queste partite è arrivata al momento clou senza alcuni dei suoi pilastri. Quando doveva far salire i giri del motore non aveva i suoi campioni. Questo è frutto di scelte e momenti sbagliati. Ma anche del rendimento di chi subentra. Inzaghi, spesso vincente nelle decisioni, ha capito a sue spese che ci sono occasioni in cui servono i titolarissimi a costo di rischiare il secondo giallo, che ci sono partite nelle quali, ad esempio, uno come Calhanoglu non può uscire. Ovviamente ci sono sempre delle giuste spiegazioni per i cambi, Barella per esempio nel derby era acciaccato, ma la lezione subita deve essere compresa. Il punto forte dell’Inter è il centrocampo. Contro il Milan il trio titolare è stato sostituito in blocco. Se è vero che tutti gli allenatori sostengono che le partite durano molto più di 90 minuti e che è importante far girare i giocatori per non spremerli, ecco allora che Inzaghi deve trovare il modo di arrivare al rettilineo finale della gara con il motore migliore. Le sostituzioni del derby non hanno aggiunto ma tolto. Una squadra come l’Inter non può permettersi di avere un alto dislivello tra titolari e riserve. Altrimenti succede che sulle due competizioni, una la paghi. Dopo questa lunga ma necessaria premessa possiamo procedere alle due grandi questioni di fondo. La prima: l’Inter ha la rosa per affrontare al top due competizioni come Scudetto e Champions? Il passato dice di no. Due anni fa fece bene in Champions ma non in campionato, l’anno male in Europa bene in Italia. Lo step che attende Lautaro e soci è proprio questo: riuscire a mantenere lo stesso livello ovunque. Altrimenti aveva ragione Inzaghi l’anno scorso quando metteva i titolari la domenica e poi nelle coppe ne cambiava 8 o 9. L’Inter ha l’organico per poter vincere la Serie A. In Champions invece è tutto un’incognita. Per cui o si cresce, o crescono le seconde linee in modo da permettere a Inzaghi di fare turnover senza preoccupazioni, oppure meglio prendere una strada decisa. Altrimenti il rischio è rimanere in panne in entrambe le competizioni. Al termine di una settimana difficilissima per la preparazione degli impegni, la conclusione porta con sé un risultato contraddittorio: la migliore prestazione è stata fornita nella partita più complicata. Difficile da spiegare ma l’Inter ha fatto un figurone contro i campioni del Mondo del City e poi ha sofferto con Monza e un Milan a un passo dal baratro. L’altra questione riguarda la costruzione della rosa. Pianificata in maniera certosina da Marotta e Ausilio, l’Inter doveva e poteva però fare tesoro dello scudetto vinto per colmare alcune lacune che si erano intraviste: esterno destro, difensore centrale veloce, punta che salti l’uomo e crei diversivi tecnico-tattici quando le cose non vanno. Nel derby sarebbe servito un calciatore di qualità da mettere sottopunta a creare scompiglio sulla trequarti rossonera. Manca questo. Vero che i dirigenti hanno fatto i salti mortali per mantenere una rosa competitiva durante tempi difficili dal punto di vista economico ma Inzaghi, ad esempio, aveva chiesto un giocatore come Gudmundsson. Non è stato ascoltato anche per le difficoltà oggettive che ci sono state nel cambio di proprietà. Oaktree ha dato buoni segnali rinnovando l’allenatore, Lautaro e Barella e, soprattutto, confermando tutti i big. Ma è un approccio che può andare bene per la prima stagione, dalla prossima quelle tre lacune andranno affrontate. Un ultimo spunto riguarda la mentalità. In conferenza abbiamo posto questa domanda a Inzaghi: “Non c’è il rischio che l’Inter abbia la pancia piena dopo lo scudetto e sei derby consecutivi vinti?”. “Non deve capitare”, la risposta di Simone. Invece è successo e non è un discorso che riguarda l’allenatore, non solo almeno. Questo deve portare una riflessione. Il Milan aveva più voglia, più grinta, più carica. Nell’Inter i titolari erano scarichi, si salvano Sommer e Dimarco, e i subentranti non hanno dato una svolta. Era prevedibile potesse accadere prima o poi qualcosa di simile e non è certo un dramma dopo aver ottenuto tante vittorie, a patto che il problema venga riconosciuto e affrontato. Una scossa molto intensa può anche essere utile per risvegliare tutti dopo un’estate di feste, impegni delle nazionali e con una preparazione complicata per alcuni calciatori chiave come Lautaro. Ora si deve ripartire con idee chiare su obiettivi e giocatori. Ma soprattutto con la ferocia dell’anno scorso.