Sabatini: "In questa Roma il calcio è un ospite, non il protagonista"

Novantanove ore di passione giallorossa, dall'esonero di Daniele De Rossi alle dimissioni dell'ad Lina Souloukou. Da mercoledì 18 settembre, di buon ora, fino a domenica 22, poco prima di pranzo e della partita contro l'Udinese. E' successo un po' di tutto, uno tsunami dirigenziale e tecnico dal quale la Roma è riuscita, in qualche modo, a ripartire. Quello che resta, oltre i fischi dell'Olimpico nella sfida contro l'Udinese, è il senso di smarrimento da parte dei tifosi che non hanno realmente capito come mai il loro amato allenatore sia stato esonerato dopo sole 4 gare . Abbiamo provato a rileggere tutto assieme a uno dei più importanti dirigenti sportivi italiani degli ultimi anni, quel Walter Sabatini che dal giugno del 2011 all'ottobre del 2016 ha occupato la poltrona di direttore sportivo a Trigoria. L'uomo giusto per capire cosa stia succedendo e per provare a spiegare cosa sia la Roma. "La Roma è la Roma, la Roma è tante cose, tante cose tutte insieme. La mia impressione è che in questa Roma il calcio sia un ospite, non il protagonista". In che senso? "Da un punto di vista squisitamente calcistico, l’esonero di De Rossi non ha senso. L’ultima partita di Daniele, a Genova, a prescindere dal gol subito al 95’, è stata una partita esemplare, di una squadra in netta crescita, sia nella fase di possesso che in quello di difesa. Con il mio residuo senso di umorismo posso dire che l’esonero di De Rossi è stata… una distrazione fatale. Di chi non ha guardato la partita, non hanno colto la crescita evidentissima della squadra". Una sensazione condivisa da molti. Crede che ci sia qualcos’altro di non detto dietro la decisione dell’esonero? "Non credo. Ritengo Lina Souloukou una bravissima dirigente, ma non si può gestire la Roma da soli. Ci vuole un nucleo di persone con incarichi specifici e con peculiarità specifiche. Non sono mai stato un giorno in ufficio a Trigoria con la porta chiusa, perché volevo vedere chi mi passava davanti, per intercettarlo e invitarlo a entrare per fare due chiacchiere. Perché il calcio è fatto anche di parole, ci si confronta, bisogna saper ascoltare e quelli più bravi sono quelli che sanno ascoltare gli altri. Ascoltare e guardare, che forse è ancora più importante. Quando le mie squadre si allenano a me piace essere sul campo, per vedere da vicino le facce dei giocatori, le posture, tutto quello che può comunicarmi qualcosa. E anche una postura o il gesto di una mano possono indicare uno stato d’animo, che un direttore sportivo deve conoscere, per poter giocare d’anticipo su quelle che potrebbero essere le reazioni dei calciatori. Detto questo, non si può minacciare un dirigente, è gravissimo. Episodio esecrabile, da condannare soprattutto in una città come Roma, rumorosa ma civilissima". Una situazione che poteva essere gestita meglio anche da un punto di vista comunicativo. Quella dei Friedkin sembra una linea chiara. La condivide? "La non comunicazione della Roma è di per sé una scelta, che non riesco a capire da cosa sia motivata, ma resta una scelta. Il non comunicare è comunque una scelta di comunicazione. Però è sbagliata: una proprietà si deve confrontare con la piazza. Roma è una città rumorosa, generosa, capiente che ha bisogno del contraddittorio. Sempre". Ora c’è una struttura societaria da ricostruire. Da dove devono ripartire ora i Friedkin? Ha un nome da consigliare loro? "Faccio un nome e un cognome. Io prenderei Mauro Baldissoni e gli farei fare il direttore generale, quello che è già stato in passato alla Roma. Ovviamente parlo anche per affetto, perché abbiamo lavorato assieme sei anni. Ma Mauro è il prototipo di quello che serve: un dirigente illuminato, un’intelligenza inesorabile, ha una capacità di analisi chiara e perfetta, conosce l’ambiente, è un gran tifoso romanista e una persona di grande cultura". Tornando a De Rossi, secondo lei si rimprovera qualcosa? "Non credo che Daniele abbia questo stato d’animo. L’unica cosa che certamente prova è dolore e senso della sconfitta, perché Roma era la sfida della sua vita". Arrivata forse un po’ troppo presto? "Non direi. Lui era preparato, pronto, maturo, soprattutto da un punto di vista nervoso. Troppo presto, semmai, è arrivato l’esonero. La sua Roma stava prendendo forma e licenziare un allenatore dopo quattro partite, delle quali una sola persa, mi sembra una cosa veramente difficile anche solo da raccontare". Cosa ne pensa di Juric? Si è trovato in una situazione difficilissima e sembra averla gestita con apparente semplicità. "Juric è un allenatore esperto, anche se ancora giovane. E soprattutto ha una sua personalità. Non è una costola di Gasperini, come tutti dicono. Da Gasperini ha attinto solo perché è stato un suo giocatore negli ultimi anni in cui ha giocato, e come spesso accade ai giocatori che sono in fase calante e pensano già da allenatori ha “rubato” alcune idee da Gasperini, mettendo nel proprio repertorio i principi che vedeva in campo. Ivan è un allenatore forte, tenace, sa quello che vuole e come ottenerlo e farà molto bene. Certo mi imbarazza un po’ parlare di lui, perché ha sostituito Daniele e mi viene difficile celebrarlo, anche se ho sempre avuto un buon rapporto con lui, forte della stima reciproca che ci siamo sempre riconosciuti. L’unico vero difetto che gli posso trovare oggi… è quello di aver sostituito De Rossi". Andando in campo, quale giocatore la intriga di più di questa Roma? "Pisilli, senza dubbio. Come ha detto bene Daniele, ha davanti a sé non un futuro ma un presente importante. Sa interpretare le situazioni di gara, è un centrocampista completo che mi piace moltissimo. Così come mi piace moltissimo Koné. Però, se dovessi rubare un giocatore oggi alla Roma ruberei Pisilli". L’ennesimo prodotto del settore giovanile della Roma "Esattamente. L’ultimo gioiello di Bruno Conti. Un uomo che ha regalato tantissimi giocatori al calcio italiano, se pensiamo che circa il 30% dei giocatori della Serie A sono transitati da Trigoria. Il calcio deve molto a Bruno. A partire da un titolo mondiale". A proposito di talenti prodotti dal settore giovanile e di senso di appartenenza, oggi compie 48 anni un uomo che lei conosce molto bene e che alla Roma ha dato tanto, anzi tutta la sua carriera. Francesco Totti, ovviamente, cosa si può dire di altro per fargli gli auguri? "Posso dire innanzitutto che gli sono infinitamente grato, perché mi ha fatto vedere un calcio stellare. Da esteta quale sono sempre stato io godo della poesia del calcio e lui tra partite e allenamenti mi ha fatto vedere delle cose irriferibili. In ogni colpo, in ogni giocata metteva tutta la sua immensa classe, inventando soluzioni non prevedibili ai comuni giocatori. Gli sono grato per avermi concesso il privilegio di fare un bel tratto di strada insieme, oltre sei anni, e sono convinto che il calcio gli debba restituire qualcosa, soprattutto il calcio romanista." Affidandogli ad esempio un ruolo dirigenziale. Lo vedrebbe bene? E secondo lei ci sono le condizioni? "Certo che lo vedrei bene, per lui la Roma è una passione vitale e sono certo che se gli offrissero un vero ruolo operativo e non uno di facciata sarebbe il primo a esserne felice. Io sono un tifoso di questa soluzione, ma non credo sia possibile in questa Roma, non vedo proprio le condizioni. E poi, in questo clima, sarebbe anche troppo esposto e poco protetto, ma sarebbe forse la soluzione ideale."