Kean, alla Fiorentina sta (ri)nascendo una stella

È sbocciata una nuova Viola in Europa e nella nostra Serie A. Fresca, lucente e forse inattesa, ma bella e calcisticamente profumata. Una fragranza d’ambizione e di voglia. La volontà di proseguire il percorso che Italiano ha puntellato con 3 finali e che la società ha esaltato sviluppando la potenzialità del roster. Una squadra nuova quella di quest’anno con undici giocatori arrivati dal mercato e un allenatore diverso. Una Fiorentina bella, vincente e, al momento, quarta in classifica. Una rinascita con tanti meriti che vanno equamente divisi tra la società, le scelte di mercato di Daniele Pradè, un tecnico giovane con idee, un’aria nuova che si respira in tutto l’ambiente, molti talenti valorizzati che sentono profumo di azzurro e uno dei portieri più forti del mondo, De Gea, arrivato tra i pali. Tante situazioni positive, ma in copertina deve andarci Moise Kean. Il giocatore che esalta il lavoro di tutti e il gioco della nuova Viola. Il vero tassellino mancante. Un attaccante che riempie da 9 l’area di rigore, che segna e organizza il lavoro offensivo del gruppo. La Fiorentina non era riuscita a trovarne uno di questa qualità dai tempi di Vlahovic e ci avevano provato in tanti a riempire quel vuoto: da Cabral e Kouamè, da Piatek a Beltran, da Jovic a Belotti. Un bomber, un attaccante, un finalizzatore. Niente, tutti pretendenti di qualità e volenterosi, ma il titolo restava vacante. Senza scomodare il paragone e la speranza di vedere arrivare un erede dell’inarrivabile Bati, Firenze cercava un attaccante vero da troppo tempo. In estate la scelta è arrivata subito a inizio mercato. Un solo obbiettivo e una trattativa rapidissima. Pradè e Palladino hanno individuato per quel ruolo Moise Kean e senza discutere troppo sul prezzo l’hanno portato a casa subito. Non esattamente però una scelta immediatamente popolare per l’ambiente: “Ma prendiamo uno che lo scorso anno ha fatto zero gol!?!” oppure “Incredibile, si va a risolvere un problema alla Juventus ancora una volta...”. Tifoseria non proprio entusiasta all’annuncio e, se sono onesti, anche i media non erano proprio favorevoli all’acquisto. Scetticismo però solo sullo sfondo e mai in casa al Viola Park, cioè quello di cui Moise aveva bisogno. In carriera ha vestito maglie straordinarie per storia e prestigio, da quella bianconera della Juventus a quella rossoblù del Psg, un salto in Premier League con l’Everton e uno squillo di gol col Verona, ma senza mai sentirsi davvero voluto. In prova, in prestito, in attesa di verifica, in bilico. Nella mente della gente si intende, non contrattualmente. Ed è anche peggio. Stavolta è stato scelto. Lo sa, lo sente, lo esalta. È la chiave della trasformazione personale. Ha iniziato a brillare dalla preseason in Inghilterra con gol e prestazioni che hanno subito aperto gli occhi e creato aspettative. Attese addirittura esaltate dall’inizio del campionato. Quel gol ufficiale che aspettava da 508 giorni è arrivato praticamente subito, in Europa, in Conference League, sotto i riflettori del Franchi e di tutti coloro che hanno imparato ad apprezzarlo da subito in maglia Viola. Adesso sono 7 in 12 partite in tutte le competizioni che lo rendono imprescindibile per la nuova Fiorentina di Palladino. Giocatore giusto per un sistema tattico giusto. Ritagliato su misura per lui. In campo e fuori, Moise è l’esaltazione e la sintesi del nuovo corso Viola. Una squadra che gioca in verticale con pochi passaggi e sfrutta la profondità e gli spazi che lui crea con i suoi movimenti. Nelle precedenti tre stagioni aveva giocato solo tre volte tutti i 90 minuti di una partita. Quattordici match in quattro anni in tutte le manifestazioni, compresa la Nazionale, fanno una media di tre partite e mezzo intere a stagione. Pochino per sentirsi incoraggiati. La Fiorentina lo ha amato e stimato subito: dieci partite da titolare già e più di 900 minuti in campo. L’affetto della gente però non lo si conta né con i minuti, né con i gol e né con le presenze. Kean quello l’ha percepito in una città che, come poche, sa accendersi di passione per il calcio nei nostri confini. Un affetto ripagato. Con i gol, certo, ma soprattutto con l’atteggiamento: ha stretto i denti e giocato col dolore alla caviglia contro la Roma, mai dall’estate una parola fuori posto o una mancanza. E la sua danza dopo i gol ha dato la voglia di ballare alla città. Chissà che il profilo artistico di Firenze non ispiri anche la sua passione musicale, ma la sensazione che per lui, ragazzo dai molti talenti, il gol adesso arrivi anche prima del rap nella lista dei desideri. Un impegno con sé stesso prima che con gli altri. Splendida notizia anche per Luciano Spalletti che lo ha già messo nella colonnina delle certezze della sua, nostra, nuova Italia. A lui e Retegui il compito di reggere il peso dell’attacco azzurro, anche se prima dell’avventura in Viola, anche in Nazionale tutta questa fiducia non è che ci fosse. Non convocato per l’avventura vincente dell’Euro 2021 da Mancini che, dopo averlo fatto debuttare, lo fece giocare l’ultima volta con lui 25 minuti contro il Belgio nell’ottobre 2021, poi mandato in campo l’ultima volta da Spalletti per 9 minuti nello 0-0 di Leverkusen nel novembre 23 contro l’Ucraina. Dalla Finale terzo e quarto posto della Nations League di ottobre 2021 all’arrivo all’ombra della Fiesole nel giugno 2024, solo 115 minuti in Azzurri in quasi 3 anni. Gli infortuni non hanno aiutato, ma neanche la poca convinzione che lui, pur con l’età della maturità, riuscisse a dimostrare la capacità di saper sostenere le responsabilità agonistiche. Difficile però farlo senza averne l’opportunità e, a questo punto, vien da pensare anche prima di esser stato abbracciato dal mondo Viola. Una chance che ha colto al volo, un ambiente con cui si è fuso a meraviglia. La sua maglia numero 20 nei sette Viola Store della città è sul podio delle vendite col 43 di De Gea e davanti alla 10 di Gudmundsson. I tifosi lo incitano e lo lasciano tranquillo. Lo amano e, secondo un sondaggio recente, non lo scambierebbero più con uno uscito certamente dai loro cuori come Dusan Vlahovic. Una scommessa, quella su Moise Kean, al momento decisamente vinta da Daniele Pradè, Rocco Commisso, Alessandro Ferrari e Raffaele Palladino. Negli anni abbiamo finalmente imparato a pronunciare correttamente il suo nome, adesso stiamo forse finalmente imparando ad apprezzarne la sua grandezza calcistica. Grazie alla Fiorentina.