Torino alla deriva, Vanoli 'ribalta' la squadra

“Voglio umiltà! Non avete capito che rischiamo la B”. Alla deriva. Il derby con la Juventus poteva essere la scossa per rivitalizzare un gruppo sfiduciato, invece il Torino esce moribondo dallo Stadium. Come ormai è tradizione. Il derby ha smesso di essere una partita speciale in senso tecnico e agonistico da almeno 20 anni. Il Torino ha perso 24 delle ultime 31 sfide con la Juventus. Dunque, non è stata tanto la sconfitta in sé ad agitare la notte granata ma gli scenari da incubo che si spalancano anche guardando la classifica. Sei sconfitte nelle ultime sette partite, sette nelle ultime otto contando l’eliminazione dalla Coppa Italia. Lo choc di Zapata fuori per tutta la stagione, la rosa corta, gli infortuni a ripetizione, i limiti tecnici, la mancanza di leader carismatici. Il Torino è in mezzo alla bufera. Per uscire dalla tempesta serve una guida sicura: Vanoli è il punto di riferimento. Tocca a lui risollevare il gruppo. Da quando è arrivato a Torino si è immerso anima e corpo nella realtà granata e ne ha capito presto anche le difficoltà oggettive. Nelle ultime settimane ha provato a farlo durante gli allenamenti, nei colloqui individuali e collettivi. Dopo il derby ha difeso la squadra pubblicamente assumendosi responsabilità anche non sue. Vanoli vive la partita con intensità, come se la giocasse. Non ammette la superficialità e la mancanza di coraggio nella giocata. Dà tutto sé stesso e dunque pretende tutto dai giocatori. Squadra a rapporto nello spoglatoio dello Stadium A fine partita, Vanoli guardava già oltre. Questa è il racconto del retroscena che risulta a Sky Sport. Mentre rientrava negli spogliatoi si preparava a parlare alla squadra. Pensava a come trasmettere nel modo più efficace alcuni concetti chiari. A caldo. Dopo l’ennesima sconfitta e una prestazione piatta. Senza spunti e mordente. Senza tiri in porta. Vanoli ha aspettato che l’ultimo dei giocatori entrasse e poi ha chiuso la porta. Furibondo. Parole nette. La sintesi che possiamo fare dei concetti espressi è questa: “Voi non avete capito la situazione. Così si va in B! Qui dobbiamo tutti darci una svegliata. Io per primo devo fare meglio. Adesso basta! Basta con superficialità, disattenzione e paura. Ma quale paura? Fate il mestiere più bello al mondo! Voi lo avete capito che se si va avanti così andiamo in serie B? Vi è chiaro? Ve lo chiarisco io allora. C’è solo una parola che deve entrarvi in testa adesso: umiltà. Forse qualcuno pensa che basti quello che sta facendo. Allora non ha capito nulla, qui dobbiamo dare tutto quello che abbiamo, lo spirito, la voglia, nessuno regala nulla, ragazzi! Chi non è d’accordo, chi non ce la fa, si faccia da parte. Io ho la responsabilità della situazione, io farò le scelte e non accetterò mai la presunzione, l’arroganza e la mancanza di applicazione. Svegliamoci! Qui si va in B se no, io ve lo dico”. Così, tutto d’un fiato. Sono stati 40 minuti di parole vibranti. Un vulcano, Vanoli. Per scatenare una reazione. Ha ripetuto una decina di volte: ‘umiltà!’. E poi: “L’obiettivo è salvarsi, lo avete capito?”. Lo spauracchio che si agita al Filadelfia è l’esempio del Sassuolo la scorsa stagione con tristi similitudini, come l’infortunio di Zapata come quello di Berardi. Il derby è un incubo per il Torino La sconfitta in sé - intesa come derby - è quindi passata in secondo piano davanti alla situazione generale che vive il Torino. D’altronde che il Torino perda con la Juventus non fa notizia. La differenza tecnica si è dilatata nel nuovo millennio, ma non è soltanto questo. L’ultimo periodo storico ha segnato una metamorfosi nel DNA granata. Lo spirito si è annacquato, le radici resistono ma sono flebili. Addio all’identità che si era sviluppata dentro le mura del Filadelfia, attraverso gli insegnamenti dei maestri di calcio e di vita, coloro in grado di trasmettere la storia unica del Torino, che era un tutt’uno con una filosofia di gioco, dalla quale era poi nato il ‘tremendismo’ alla fine degli anni Sessanta: la cattiveria agonistica come marchio, la volontà di dare tutto per il Torino e il suo popolo come aspirazione. Poi certo, in campo ci vogliono anche tecnica, qualità e organizzazione. Giocatori funzionali alle idee dell’allenatore e alle ambizioni del club. Ma quali ambizioni? Questa è la domanda inevasa. Perché c’è una differenza abissale tra le aspirazioni della piazza, che resta attaccata in modo viscerale alle tradizioni e mantiene viva la passione e la realtà con un futuro incerto e un presente anonimo. I tifosi sono in subbuglio.

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