La vera isola di Ranieri è sempre stata Roma

Nella tasca del paltò scuro che indossava appena sceso dall’aereo, Claudio Ranieri aveva un pezzo di cuore dei sardi. Glielo avevano infilato di nascosto il 7 novembre, l’ultima volta che lo hanno abbracciato sull’Isola, quando era arrivato per celebrare Gigi Riva. Non andranno a riprenderselo, ora che il loro Claudio lo porterà in giro fra Trigoria e Viale dei Gladiatori, neppure quel giorno di marzo in cui lui proverà, in modo legittimo e leale, a farli perdere sul campo dell’Olimpico. Glielo lasceranno lì, nel taschino, avvolto in un fazzoletto di gratitudine che nessuna marcia indietro potrà mai stropicciare. Sarà un modo per ricordargli che se torna a Roma per la terza volta è perché anche loro lo hanno aiutato a ritrovare le chiavi di casa, e che per quella in Sardegna non ne ha bisogno: è sempre aperta. È arrivato il momento di lasciarlo andare, slegare la cima dalla banchina e affidarlo al vento. Pensare di rapirlo con i ricordi è un errore: Ranieri, uomo che vive di futuro non ha catene fatte di memoria, perché semplicemente non ha catene. Considerarlo ‘nostro’ è stato ingenuo, perché Ranieri è di tutti. Se un po’ li conosco, in queste ore molti sardi si staranno tormentando ripensando alle parole pronunciate dall’allenatore al momento dell’addio, quando disse che non avrebbe più allenato un altro club, che non ci sarebbero stati altri colori in quella piccola opera d’arte che è la sua carriera. A qualcuno oggi sembrerà un tradimento la sua scelta, ma persino il più rancoroso sarà comunque disposto a perdonarlo. In tanti proveranno a capirlo. In fondo, se c’è chi è in grado di comprendere quanto potente sia il legame con la propria terra è proprio chi oggi deve farsene una ragione: la terra di Ranieri, pur con tutto l’affetto dimostrato in quasi 40 anni non è Cagliari, è Roma. E Roma non è la sua città, ma la sua Nazione, con una squadra che per lui non è mai stata una società ma un grande amore. Amen. Siamo stati in tanti a credere che con l‘ultima salvezza Ranieri avesse già il suo finale perfetto. Perché cercarne un altro? Perché rischiare la sbavatura a fine pagina? Le lacrime, anche quelle di gioia, questo fanno sui fogli, sbavano l’inchiostro. Semplicemente perché Ranieri non conosce finali, ma solo eterni inizi, l’entusiasmo che scatenano, l’energia che trasmette cominciare, e se proprio deve mettere un punto è giusto che lo faccia lì, dove è nato, dov’è cresciuto, dove ha sofferto, dove ha sognato più che altrove. Quel dove ha un solo senso nel suo linguaggio dei sentimenti, ed è l’anagramma di devo: “Se la Roma chiama devo rispondere sì”, disse nel 2019, e la risposta ad ogni dubbio sta tutta qui. Siamo oltre la soglia del volere, siamo nella sfera misteriosa del dovere che per ognuno di noi ha confini diversi. E allora che sia, a una condizione, si augurano persino quelli che da oggi tornano ad essere i suoi ex tifosi: che sia trattato con i guanti, almeno lui. Tutti meritano rispetto, Ranieri merita di più. Merita protezione, merita la gentilezza che ha profuso ovunque sia andato, la leggerezza dei suoi passi, la delicatezza delle sue parole, la sensibilità e l’umanità con cui si è sempre mosso in questo mondo. Merita di non essere strumentalizzato e di non essere lasciato solo, e un Olimpico che per una volta sia soltanto per lui. Non torna per provare a prendersi lo scudetto sfiorato nel 2010, e al momento non sembra avere la squadra neppure per una qualificazione in Champions League. E allora? Torna per restituire alla Roma la sua anima, che a Ranieri non va certo spiegata. Torna per rialzarle la testa. Torna perché deve. Ci sarà da sporcarsi le mani forse, ma avrà sempre un fazzoletto in tasca con cui pulirle da un certo fango. Glielo hanno infilato di nascosto dei vecchi amici, sapendo che prima o poi ne avrebbe avuto bisogno. Servirà nei momenti difficili, sarà lì a ricordargli che se Roma è la sua casa, magari l’ultima da mettere in ordine, Cagliari è il suo giardino, dove ci sarà sempre una panchina per lui, per fermarsi a ricordare e a guardare quell’orizzonte infinito che non è il mare, è il futuro.