Roma, Ranieri è tornato: in città ci sono un milione di piccoli Orlando

A Roma in questi giorni ci sono almeno un milione di piccoli Orlando. Un milione di tifosi giallorossi improvvisamente regrediti a una dimensione infantile, sospesi tra lo smarrimento e lo spavento, certamente atterriti da una prospettiva torva di malessere e frustrazione, evidentemente incapaci di comprendere come in pochi mesi si sia potuti passare dal dogma del tutto esaurito al dramma del tutti esauriti. L’esatto contrario del piccolo Orlando, il nipotino "der Fettina” , che spaurito, almeno con quella forte mano a sorreggerne l’equilibrio, di certo non deve essersi mai sentito. Ed ecco allora scattare l’immediata immedesimazione col nipotino più famoso di Roma, sigillata da una fotografia che cinque anni fa, durante il penultimo regno della gens Claudia in terra romana, venne elevata a manifesto culturale di un romanismo autentico, figlio della passione più spontanea, da tramandare come valore esistenziale di generazione in generazione. Ma anche inevitabile simbolo di protezione, guida e conforto, le richieste principali di ogni bambino/tifoso perso tra le nebbie di una landa umida e appiccicosa. In fondo, cosa si può sperare di meglio, quando non si vede la luce in fondo al tunnel di una stagione, di una mano amica e saggia che sappia indicarti e scortarti lungo la via? Ebbene, quel milione di tifosi quella mano l’hanno finalmente ritrovata, proprio come, e qui l’epifania, il piccolo Orlando in quello scatto di cotanto e giallorosso amore adornato. Con quella sua faccia bonaria ma inflessibile, il passo leggermente caracollante di chi le ha viste proprio tutte nel suo calcistico peregrinare, il nonno buono e saggio, colui che sa come funzionano le cose in questo mondo , è tornato a casa. Per riprendere per mano, proprio come nella foto con Orlando, i suoi tantissimi nipotini smarriti e ricondurli verso la retta via, attraverso la luce che risplende della sua anima giallorossa. E, cosa più importante e confortante, non è tornato solo per leggere la favola della buonanotte, rimboccare le coperte e poi salutare nuovamente il focolare domestico; è rientrato per restare, guarire i nipoti, rimproverare il figlio/genitore, riassettare la casa e ripristinare l’ordine corretto delle priorità. Oggi allenatore, domani dirigente con pieni poteri, anche quelli di scegliere il prossimo condottiero, per poi proteggerlo, sostenerlo, coadiuvarlo. Ed è tornato, in fondo, anche per chiudere il cerchio del suo cuore, un po’ per caso, un po’ per fato, come da lui stesso confermato. “Avevo deciso di smettere e ho rifiutato tantissime proposte, rispondendo a tutti che sarei tornato solo per il Cagliari o per la Roma. Ebbene, ho cominciato da giocatore della Roma, evidentemente era destino che finissi da allenatore-dirigente della Roma”. Concretezza, esperienza, realismo nuovamente al servizio del suo stesso grande amore, come un ammiraglio di riserva richiamato a fronte dell’ennesima burrasca. Il tutto, per di più, in un ritrovato romanissimo accento, come le parole della prima conferenza di questa sua nuova esperienza romanista hanno già dimostrato. Battute spontanee, sarcasmo capitolino, un parlare schietto e sincero come le azioni e le decisioni che tutti si aspettano ora prenderà. A Trigoria è già cambiata anche la musica: la Lupa è stata rimessa al centro del villaggio, la storia ha ripreso il suo corso. “È vero, la vita è sempre un lungo, lungo ritorno. Ascolta, io non ho paura dei sentimenti”, scriveva il forse troppo poco conosciuto Roberto Roversi, sommo poeta, a corredo delle geniali note di Lucio Dalla, personalissimo punto di riferimento esistenziale di chi scrive, nella meravigliosa Ulisse Coperto di Sale . È lo è ancora di più, un lungo lungo ritorno, quello di sor Claudio da Testaccio, moderno e rinnovato eroe giallorosso, partito dall’oratorio di San Saba oltre 60 anni fa, passato attraverso la macelleria popolare del padre, cresciuto nel Roma club Dodicesimo giallorosso prima e nelle giovanili della vera Roma poi. Quindi, l’emozione dell’esordio in prima squadra, subito mitigata dall’amarezza di una precoce separazione dopo appena sei presenze, forse inattesa, certamente decisiva per la sua carriera. Sono passati esattamente 50 anni da quell’addio, ma in fondo è come se Claudio non se ne fosse mai andato, a prescindere dalle due precedenti parentesi in panchina. Perché la Roma ha sempre fatto parte di lui e lui ha sempre fatto parte della Roma. Un lungo lungo ritorno, per l’appunto, che anche per questo ultimo aspetto nasconde al suo interno molteplici significati. “E allora guarda, io sono qui. Ho aperto adagio, adagio con la chiave, come un tempo. Ho lasciato la valigia sulla porta. Ho lasciato la valigia sulla porta. Ho guardato intorno prima di chiamare, chiamare. Non ho paura, ti dico che sono tornato per trovare, trovare, come una volta, dentro a questa casa, la mia forza”, prosegue l’Ulisse di Dalla/Roversi. Il primo dei tanti significati, anche se per il principio dell’opposizione, si nasconde ancora una volta in queste parole. Non trovare, ma ridare, ridestare, infondere di nuovo la forza nei suoi uomini, nei suoi figli, nei suoi nipotini. Perché il rientro di sor Claudio nella capitale è la rivincita della storia sull’algoritmo, della tradizione sulla fredda innovazione dei calcolatori, del pane caldo appena sfornato sui bibitoni proteici e i gel magici che demoltiplicano la fatica. È il campo d’erba che torna protagonista, l’occhio affinato solo dall’esperienza come unico o quantomeno principale metodo di analisi, il primato dei muscoli e del sangue sulle seriazioni e le considerazioni statistiche. Ma è anche, forse aspetto ancora più importante, una sorta di parziale risarcimento - chiesto ad alta voce su Sky Sport Insider anche da Marco Bucciantini qualche giorno fa - dei Friedkin nei confronti degli appassionati nipoti dopo il folle obbrobrio della cacciata del fratello maggiore, quel Daniele De Rossi allontanato senza una vera ragione. Era la storia della Roma, d’altronde, che lo pretendeva. Una storia, probabilmente unica al mondo, che da quasi 100 anni lega le sue vicende a quelle di un eroe locale, nato e cresciuto a Roma, mortazza e curva Sud. Quella stessa curva sotto alla quale sor Claudio tornerà ancora una volta, il prossimo 2 dicembre contro l’Atalanta, con il volto tirato ed emozionato, gli occhi lucidi di quel bambino, sempre il piccolo Orlando, che in fondo lui stesso rappresenta. Perché è esattamente come loro, ancora più di loro. Li guarderà nuovamente da vicino, i suoi milioni di nipotini, e anche dalla loro energia troverà la forza per farli sentire ancora una volta protagonisti del loro mondo, che per qualche mese avevano inopinatamente smarrito. Proprio come l’Ulisse di Dalla. Proprio come il nonno buono che in molti di noi, purtroppo, non hanno più al loro fianco, ma che ora potranno virtualmente riabbracciare. Sorridete nipotini, nonno Claudio è tornato. La giostra ora può riprendere a girare.