I retroscena dell’esonero di Fonseca

Siamo rimasti ad aspettarli fino a tarda notte, i dirigenti del Milan. Così come abbiamo aspettato Fonseca che davanti alle nostre telecamere ci ha confermato l’esonero. Non aveva gli occhi tristi, ha anche accennato un sorriso: “È la vita, ma ho la coscienza a posto”, ci ha detto. Parole connesse con la realtà dei fatti, diverse da quelle che invece è stato costretto a pronunciare in conferenza stampa poco prima. Il nuovo allenatore era già stato contattato, aveva già un accordo, era già in partenza per Milano. Il Milan aveva già deciso di cambiare e avrebbe dovuto risparmiare a Fonseca di andare davanti ai microfoni a partita finita . Nuovo allenatore ma anche vecchia fiamma. Mai spenta. Torniamo a giungo, quando il Milan decide di cambiare la guida tecnica, salutando Pioli. I nomi allora erano tre: Lopetegui, andato però subito di traverso ai tifosi , Fonseca e proprio Sergio Conceiçao. Stop. Tre profili che in qualche modo erano stati giudicati simili e che rappresentavano la giusta sintesi fra le idee della dirigenza. La scelta è ricaduta su Fonseca, che ha uno stile diverso da Stefano Pioli. Né migliore, né peggiore. Diverso. Pioli è un allenatore più empatico, nei 5 anni a Milanello ha fatto la differenza anche grazie al rapporto costruito con lo spogliatoio. Probabilmente l’approccio dei giocatori del Milan nei confronti di Fonseca non è stato il massimo. Aggiungici che ha avuto i giocatori più forti soltanto a fine agosto, smaltite tutte le ferie post Europeo. Il Milan inizia male la stagione, arrivano le prime frizioni. Alla terza di campionato la scena del cooling break di Leao e Theo a Roma, un’immagini quasi ‘letteraria’, come quella dei due rigori sbagliati a Firenze alla settima. L’amore fra l’allenatore e la squadra non sboccia mai, ma ci sono anche delle fiammate potentissime: il derby, la vittoria di Madrid in Champions. Up and down durante i quali la dirigenza non ha protetto la sua scelta. È mancata quella mano sulla spalla che diede Berlusconi a Sacchi nel 1987, quando l’allenatore era ai suoi primi mesi di Milan e stava faticando. Berlusconi disse allo spogliatoio: “Lui è l’allenatore del Milan e non si tocca”. Da quel momento 8 vittorie di fila e a fine stagione arrivò lo scudetto. Una cosa del genere non è mai avvenuta in questo spogliatoio e il risultato finale ne è una conseguenza. Gerry Cardinale ha salutato Paulo Fonseca con un semplice e formale sms . Un addio striminzito ma perfettamente in linea con il rapporto che l’ex allenatore del Milan ha sempre avuto con il proprietario del club e con gran parte della dirigenza. Si dice sia stato proprio Cardinale che poco ha gradito le forti contestazioni del popolo rossonero, a decidere per il cambio alla guida tecnica; anche per provare a spostare l’attenzione o magari per placare - con l’esonero di Fonseca - il sentimento oramai perennemente contrastante dei tifosi del Milan nei confronti di proprietario, proprietà e dirigenza. Ma l’effetto, almeno quello immediato, non è stato dei migliori. Fonseca ha pagato certamente i risultati, e qualche punto di vista da tempo palesemente differente sulla gestione della squadra e di Milanello. Ma è uscito dal Milan a testa alta. Mettendoci la faccia fino all’ultimo istate con i media e con chi lo ha accompagno a Milanello in questi ultimi 200 giorni: staff, giocatori , medici, magazzinieri, fisio e addetti al centro. Pochi minuti per salutare tutti e togliere il disturbo. Con una certezza: nessuna lite, nessuno scontro nelle 48 ore che hanno preceduto l’addio e con qualche calciatore e neanche con Ibrahimovic. Con una transazione di 8 mensilità Fonseca sarà libero di accasarsi altrove. Nessuna clausola legata ai primi 6 mesi di contratto. Nessuna scappatoia del club. L’accordo era chiaro dalla firma: in caso di esonero, Fonseca avrebbe percepito una buonuscita di 8 mensilità e poi liberi tutti. Resterà a vivere in Italia, in attesa di nuove avventure. Il popolo rossonero alla fine con lucidità se da una parte lo ha condannato per i deludenti risultati soprattutto in campionato, dall’altra lo ha ammirato per la sua lealtà, la sua schiettezza ed il suo coraggio. Ultimamente merce sempre più rara. C’è un’altra immagine che mi rimane da ieri sera: Theo Hernandez che, da capitano, lascia lo stadio dopo il suo allenatore. Metaforicamente potrebbe essere letta così: “Adesso non ci sono più alibi, siete da soli e dovete tornare quelli che eravate”. Sotto la guida di Sergio Conceiçao. Su questo non c’è mai stato dubbio: nessun contatto né con Allegri, né con altri allenatori. Si è tornati al casting estivo e si è scelto Conceiçao. Per lui subito un derby in famiglia, contro il figli,o alla prima uscita in Supercoppa…

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Peppe Di Stefano