Inter, l’elogio della fatica

Ci perdonerà Erasmo da Rotterdam se per una volta l’elogio non è alla follia, e la Pazza Inter la mettiamo per un attimo in soffitta. Meglio dedicarlo, almeno stavolta, alla fatica, al rischio e a quel sospiro dei tifosi interisti, che è uscito quasi implacabilmente al fischio finale: finalmente! È una frase che si sente spesso nei rituali del post-partita: “I ragazzi hanno dato tutto in campo”. Beh, a volte la rappresentazione dello sforzo è plastica e tangibile. La sensazione che lascia Venezia-Inter è questa: una straordinaria prova di tenuta, anche laddove la forza mancava, un pizzico di fortuna pure quando il Venezia premeva forte e la consapevolezza che fosse fondamentale tornare a Milano con i tre punti. A ogni costo. Che quando non sei bello e nemmeno troppo balli… forse quel che fa davvero la differenza è la continuità nella sopportazione della difficoltà. Il saperci stare dentro, lottando. L’Inter è l’unica delle squadre di ritorno dalla Supercoppa di Riyad, che riesce a vincere. Basterebbe questo, per far tornare i conti. Anche senza il calcolo delle analisi. Una vittoria sofferta, strappata quasi a morsi. Rischiata, tantissimo. Una gara non chiusa al momento giusto, direbbe Inzaghi. Ma è arrivata. La sesta vittoria di fila in trasferta senza prendere gol: è la prima volta nella storia interista e quello “zero” nel tabellino delle reti subite è la ciliegina su un dato di solidità e realismo. E a proposito di solidità e realismo. A chi collegare immediatamente queste qualità, se non a lui? È Matteo Darmian a firmare la vittoria. A chiudere la partita rincorrendo un pallone con i crampi, a trasformarsi nel solito jolly per l’Inter di Inzaghi. Che si è ritrovato con la necessità di sparigliare le carte, dovuta alle assenze di Chalanoglu e Mkhitaryan, i preziosi custodi del centrocampo nerazzurro. Un’altra occasione offerta ad Asllani, dopo la prestazione negativa in finale di Supercoppa, e maglie da titolari per Carlos Augusto, Zielinski e Taremi. Ancora fuori Frattesi, anche se Marotta getta acqua gelata sulla sua possibile cessione. “Non ha chiesto di andare via”: il Presidente dell’Inter ha punto così le legittime ambizioni delle squadre avversarie di portarsi a casa il talento ancora troppo inespresso nella rosa di Inzaghi, che ha aggiunto: “io, fossi in lui, resterei”. Ma al di là delle lacrime a cui tutti abbiamo assistito, di una piccola tifosa disperata all’idea di vederlo partire, lo stesso giocatore sembra calmo e orientato. A Venezia entra, sfiora il gol almeno due volte e sorride. I compagni lo abbracciano, pare tutto fuorché un addio. Si vedrà. Il mercato cambia all’improvviso, quasi come una partita al Penzo. Di sicuro a Venezia è emersa più che in altre circostanze, l’importanza della 'seconda squadra', non intesa come utilizzo sporadico di riserve ma come imprescindibili alternative e possibilità, che con la mole di partite da giocare diventano importanti almeno quanto le prime scelte. Cinque partite nei prossimi 15 giorni, campionato da orientare e qualificazione Champions da decidere, possibilmente nelle prime 8… poi un altro derby contro il Milan da vendicare, la Coppa Italia, i recuperi e nessun obiettivo a cui davvero ad Appiano Gentile pensino di voler rinunciare. Eccolo, il taccuino di Inzaghi. Che in rosso adesso ha cerchiato il Bologna, prossimo avversario mercoledì, e di quelli con cui non si ha MAI vita facile. Dalle parti di Appiano ricordano bene la sconfitta al Dall’Ara che costò lo scudetto, nel 2022. Era un recupero, anche quella volta. Ma stavolta si giocherà a San Siro. Insomma, saranno “tempi duri”. Serviranno altre vittorie così. Non da “sigaro in bocca” magari, più “folli” e sofferte. D’altronde, va bene la fatica, ma se non è un po’ pazza… che Inter è?

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