La rovesciata nostalgica di Carlo Parola che tiene sospeso il tempo da 75 anni

C’è un uomo che se ne sta sospeso in aria da settantacinque anni. Ha la gamba sinistra distesa e quella destra piegata sotto il bacino, le braccia sono larghe. Pare il disegno di una rondine, ma non si può dire che la rondine sia in volo. Non sale, non scende. È come immobile nel vuoto. Sta là. Nessuno lo ha mai tirato giù. Si chiama Carlo Parola e quel suo gesto, quel suo tentativo di colpire la palla nel vuoto, viene contemplato da vicino e da lontano da altre cinque comparse presenti sulla scena. Da settantacinque anni questo suo gesto è un’icona e un equivoco. È una delle figurine Panini più famose della storia, la chiamiamo rovesciata, anche se una rovesciata non è. Non avrebbe alcun senso se fosse salito lassù per colpire la palla e tirarsela alle spalle. È più una sforbiciata, ma è un dettaglio. La sua impresa più grossa non è l’avvitamento fisico. La sua impresa più grossa è riuscire ancora a farsi guardare da noi, ininterrottamente dal 1950. Farsi guardare e farsi celebrare. Adesso il motivo è perché son passati 75 anni, cinque anni fa perché erano settanta, fra cinque perché saranno diventati ottanta. La rovesciata di Parola è un buco spazio-temporale. Ci ingoia. Tutto cambia, tranne lui. È mutato il nostro modo di spostarci, il modo di informarci, il modo di curarci: eppure la cosa non lo riguarda. In tre quarti di secolo le figurine sono passate dalla colla agli adesivi, ora collezioniamo card digitali e fabbrichiamo sticker, ma lui è impassibile. Parola neppure ci guarda, tiene gli occhi sulla palla, siamo noi che non riusciamo a fare a meno di fissarlo. La foto venne scattata con una vecchia Leica da Corrado Bianchi. Era stato incaricato di seguire la partita Fiorentina-Juventus del 15 gennaio 1950 da Aldo Bardelli ed Ercole Antoni, i due capi della redazione calcio presso la Gazzetta di Livorno. Una ventina d’anni dopo lo scatto, Bianchi avrebbe raccontato quanto casuale fu quella posa eterna. Era ai bordi del campo quando si accorse che stava intervenendo il primo dei bisogni, quelli che i neonati non sanno riferire. Di certo non poteva andarsene, non poteva lasciare la macchina sul prato e scappare. C’era una sola via. Si calò nella buca scavata per i fotografi, dietro la porta della Juve. Dove nessuno poteva vederlo. Se fosse accaduto qualcosa di importante in campo, sarebbe stato sempre in grado di scattare. Accadde allora, accadde che Parola si alzò in volo e Bianchi fece clic. Non è che nel 1950 si potesse controllare cos’è che avevi catturato. Bisognava andare nella camera oscura, sviluppare la pellicola e controllare. Quando la sera ingrandì i provini, per poco non gli venne un colpo. La finestrella rettangolare che delimita il fotogramma, il quadruccio, era calato di tre millimetri nella sua vecchia macchina. L’immagine era finita sulla foratura di trascinamento. Bianchi fu preso dall’istinto di scartare la foto, quando s’accorse che quel difetto della macchina e la sua posizione per l’urgenza nella buca, aveva creato una prospettiva unica, una prospettiva che esaltava il gesto di Parola facendolo apparire una prodezza, in volo più di quanto stesse volando per davvero. Cristoforo Colombo si trovò in America cercando le Indie, Alfred Nobel inventò la dinamite per caso mescolando la nitroglicerina con farina assorbente, Netflix è nata da una multa per aver consegnato in ritardo Apollo 13 al noleggio. In economia si chiamano cigni neri, sono gli eventi imprevedibili che forse non cambiano il mondo ma hanno un impatto enorme. Il cigno nero del fotografo Bianchi ci ha regalato uno scatto immortale che forse guardiamo tuttora per due motivi, un’attrazione fatale nella quale cadono uomini e donne, vecchi e vecchissimi, conservatori e progressisti. Il primo motivo deve essere quel magnete che chiamiamo nostalgia, una parola che non a caso ha lo stesso nome in tutte le lingue occidentali più diffuse. È uguale dappertutto e nello sport tende trappole micidiali. Se nel tennis arriva Federer , rimpiangiamo Sampras. Ma quando c’era Sampras, non era all’altezza di McEnroe , e quando era arrivato McEnroe non poteva competere con Laver. Ma pure Laver non aveva saputo colmare il vuoto lasciato da Bill Tilden, così da giungere alla conclusione che il tennis è finito appena è cominciato. Vale per molti altri sport, quasi tutti. Ogni generazione ha avuto il suo pantheon, a ogni generazione non basta più tramandarlo. Prova a imporlo. Messi? Era più forte Maradona. Maradona? Era meglio Pelé. Così trascorriamo i decenni a celebrare anniversari di questo e quello, dimenticando di aver vissuto negli ultimi 25 anni l’età dell’oro dello sport, di aver potuto vedere tutti insieme Usain Bolt e Allyson Felix, James LeBron e Serena Williams, Michael Schumacher e Valentino Rossi, Katie Ledecky e Simone Biles. Il secondo motivo è che la bellezza non ha tempo. Anche se abbiamo riempito gli occhi con la rovesciata di Cristiano Ronaldo allo Stadium, c’è sempre spazio per quella di Carletto Parola. Anche se una rovesciata non fu. Anche se lo scatto arrivò per caso. L’icona di Parola è rimasta tra noi soprattutto per ricordarci quanto sia falsa quella storia che l’estetica non conta, conta solo il risultato. Onestamente: chi se lo ricorda come finì quel giorno Juventus-Fiorentina?

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La rovesciata nostalgica di Carlo Parola che tiene sospeso il tempo da 75 anni

Lavinia Esposito