Il 'rumore dei nemici' e il suo contrario

Napoli e Inter. Stessa melodia, diversi spartiti, adagi che si susseguono. Non troppo adagi, perché si corre rapidamente in questa stagione, anche se le velocità sono diverse. L’Inter gioca di media ogni 3 giorni, il Napoli ogni 7. Spesso è un vantaggio, tante volte le Coppe rappresentano un supplemento motivazionale, che dà più di quanto si porti via. Teoria Gasperini, insomma: l’Europa logora, chi non ce l’ha. Ma chi ha Conte non corre questo rischio. Il rumore dei nemici è il suo spartito preferito. Prima lavora sulla testa dei giocatori, sul campo, nei dettagli. Nessuno è chirurgico e allo stesso tempo rapido a trasformare tutto, come lui. Le sconfitte in opportunità , le frustrazioni del mercato in stimoli a dimostrare che "nessuno è indispensabile”. Escluso lui, probabilmente. Poi cementa il contorno. Tutti contro i 'suoi' ragazzi. “Nessuno ci riconosce i giusti meriti”, “Gli altri sono più belli e pettinati di noi”, “Ci dicono che giochiamo solo in contropiede”, e via così, a soffiare nella pancia dei suoi, il geniale afflato demoniaco del rumore dei nemici. Che funziona da sempre e per sempre probabilmente funzionerà. Ma se lo si sa utilizzare. I suoi giocatori sono i suoi soldati, gli unici in grado di andare CON LUI in 'guerra sportiva'. E c’è un’immagine che rappresenta questa scarica di elettricità che attraversa l’anima di chi scende in campo. Minuto 81 di Napoli-Juventus: Politano, stremato, insegue Kolo Muani… manca il pallone una, due volte, non si arrende e sulla fascia trova la chiusura che impedisce alla Juve di arrivare in zona d’attacco. Si lancia in un’esultanza di scatto sotto i suoi tifosi, quasi come se avesse segnato. Poi crolla, tormentato dai crampi e dalla stanchezza. Eccolo, il Napoli. La metafora perfetta del Contismo, di ciò che instilla nella mente e nel corpo, e di ciò che domanda indietro. Perché al di là delle conferenze di facciata, quelle in cui Antonio Conte ricorda l’obiettivo “non scontato” che è solo qualificarsi in Europa, conosce troppo bene cosa ci si aspetti da lui. E soprattutto cosa LUI si aspetti da SE STESSO. Arrivare secondo, semplicemente non è contemplato. Poi dall’altra parte c’è lui. Lo chiamano 'Demone', ma di demoniaco ha ben poco, se non quell’attitudine ormai consolidata a cucinarsi gli avversari. Simone di Piacenza forse con tutte queste partite da giocare, il tempo per le 'strategie comunicative' l’ha perso da un po’, ma non sarebbe comunque nel suo stile. Contro il Lecce ha conquistato la 200esima vittoria in A, su 332 gare giocate: nessuno ci è mai arrivato così in fretta. All’Inter ha creato un gruppo di amici, la tensione non viene alimentata dall’esterno ma - al limite - solo dalla competizione interna. Nessuno ruota come lui. Se pensate che in Champions i due giocatori con più presenze sono De Vrij e Taremi … i conti tornano. E nessuno è capace come lui di difendere anche le prestazioni – detto tra noi – a volte più indifendibili. Si è coccolato Lautaro quando attraversava “il momento più difficile della carriera” , ha cresciuto con pazienza Asllani, sfruttando ogni occasione possibile per concedergli minutaggio ed esperienza, ha fatto muro con la società nei momenti in cui piovevano critiche e falliva l’assalto al suo primo scudetto. Il concetto di squadra per Inzaghi è al primo posto, e il gruppo è protetto. Non troverete mai una sua dichiarazione di punzecchiamento alla società, ai dirigenti, al mercato, o di pubblico monito a un suo calciatore. Questo ovviamente non esclude che certi discorsi vengano gestiti in privato, ma mai affidati alle telecamere. Se vince è “Merito dei ragazzi”, se perde è colpa sua, o di circostanze comprensibili. La moderazione elevata a regola di vita, sportiva e non. Il contrario di Conte, insomma, che non le manda a dire, quando serve. Conte che all’Inter c’è stato, ha rifondato anche lì in un momento critico per il club, ha conquistato alla seconda stagione lo scudetto e una finale di Europa League, ma poi ha lasciato non senza frizioni, e 'regalando' al suo successore una base solida e pronta per costruirci sopra. Per capire Inzaghi, d’altronde, basterebbe ascoltare l’intervista a Davide Frattesi nel post partita di Lecce. Nella stagione in cui il centrocampista azzurro è stato più scarsamente utilizzato, in cui si è parlato di litigi e incomprensioni con lo stesso allenatore… Frattesi chiude così a chi lo vorrebbe in rotta con l’Inter e in procinto di accettare chissà quali destinazioni alternative: “Io sto bene qui, mi sento in una famiglia e in debito con questo gruppo, sono felice con loro”. Lo scudetto passa anche dalle parole, passa anche da questi suoni qui. Dai tonfi o dai boati del campo, dai microfoni e dal frastuono tutto intorno. Da quello reale e anche da quello artefatto. Inter o Napoli: dalla moderazione dei persuasi, al rumore dei nemici.

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