Juventus-Inter 1-0, la reazione che rende i bianconeri più squadra

Il valore dell’intervallo si misura sotto diversi aspetti: non è solo questione di riposo, perché in 15 minuti rifiati sì, ma non fanno la differenza. È più un tema di ‘confronto’. Prima di parlarvi di Juventus-Inter, torno indietro di 34 anni e vado al 30 settembre 1990, quando esordii in Serie A contro il Bologna. Partii titolare, ero nel Pisa, e giocai un primo tempo molto intimorito. Lucescu, il mio allenatore, nell’intervallo mi guardò negli occhi e fece quello che un allenatore avrebbe dovuto fare: insultarmi. Ma davvero dico, mi insultò. Il secondo tempo giocai meglio, ma non feci la differenza. Sette giorni dopo contro il Lecce feci di nuovo un primo tempo così e così, Lucescu nello spogliatoio inveì, io rientrai in campo e segnai la rete del 3-0. La mia prima in Serie A. Non penso che Motta abbia fatto lo stesso con i suoi giocatori: non è nel suo carattere. Ma quello che ha detto in quei 15 minuti di intervallo nella partita contro l’Inter è stato fondamentale. Vi spiego perché. Chi ha letto i miei articoli su Sky Sport Insider o sentito i miei interventi a Sky, sa che io della Juve, di questa Juve, ho sempre avuto un parere positivo. Le criticità ci sono e sono di certo importanti, ma tendo a vedere il bicchiere mezzo pieno: è un progetto interessante, giovane, con un’idea di calcio precisa che prevede un’impronta di gioco anche coraggiosa. A volte un po’ troppo cervellotica, ma comunque coraggiosa. Gli alti e bassi sono dovuti principalmente alla giovane età dei giocatori, che devono migliorare sotto tanti punti di vista, come il loro allenatore. Ma il secondo tempo della partita contro i nerazzurri è stato splendido. Ed è interessante notare la reazione rispetto alla prima parte di gara, che se fosse finita 2-0 o 3-0 per l’Inter non avrebbe scandalizzato nessuno. La Juve alla ripresa è entrata più organizzata e determinata. E alla fine ha meritato la vittoria, per quanto abbia creato e per quanto poco abbia concesso. Sono certo che il confronto nell’intervallo sia stato la chiave di questi 3 punti. Motta ha saputo toccare le corde giuste, facendo capire ai giocatori il perché dei tanti duelli persi uomo contro uomo, o dando degli accorgimenti tattici che alla fine si sono rivelati decisivi, soprattutto per neutralizzare gli attaccanti. Dico di più, sono certo che tutto questo, Motta l’abbia detto senza mai gridare. Perché non è nel suo stile: lui sa fare calcio e sa gestire le pressioni ma con una calma davvero encomiabile. I suoi errori? Ne dico uno solo: aver detto di non essere ossessionato dalla vittoria. Alla Juve una frase del genere non puoi lasciartela scappare, perché il tifoso vuole esattamente il contrario. Lo considero un inciampo di percorso, fatto da un uomo che sa prendersi le sue responsabilità: non a caso non ha mai scaricato le colpe sulla squadra, anche quando i giocatori sono stati oggettivamente indifendibili. È un valore che lo può portare molto lontano. A questo aggiungo un punto. O meglio, un giocatore: Kolo Muani. Su Vlahovic sapete come la penso: che sia fortissimo, ma forse non adatto a questa Juve . È un giocatore completamente diverso dal francese che si è dimostrato da subito fondamentale. Lega bene i reparti, sa giocare per la squadra ma soprattuto finalizzare bene quello che la Juve crea. Perché con Motta si è sempre creato tantissimo, ma concretizzato molto poco. Lo conoscevo, Kolo Muani, e quando ho letto il suo nome come obiettivo per la Juve ho subito pensato che potesse essere utile alla squadra. Sono stati bravissimi i dirigenti a chiudere quella trattativa: è la pedina giusta e ha saputo inserirsi in una maniera che io definisco ‘prepotente’, nel senso più positivo del termine. Ha dato convinzione, carattere, leadership e anche gol, o quell’assist a Conceiçao non sarebbe mai riuscito a confezionarlo. Non so se anche lui negli spogliatoi ha detto qualcosa. Forse è rimasto solo ad ascoltare il suo allenatore. Anche questo vuol dire ‘essere squadra’. E la Juve, dopo la partita contro l’Inter, ‘squadra’ lo sta diventando davvero. O meglio, sempre di più.

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Michele Padovano