Riccardo Milani: "Riva, Moratti e non solo: quel calcio che mi fa tremare"

Quando si mescolano i mondi, si avverte sempre una passione genuina, quasi ancestrale. Perché quello che sei e che hai fatto quasi si azzera: diventi curioso, scopri, sperimenti. Riccardo Milani al cinema ha dato tanto e continua a farlo: è nella fase preparatoria di un nuovo film che girerà in quella Sardegna che frequenta da cinquant’anni e che nel suo documentario dedicato a Gigi Riva, ‘Nel nostro cielo un rombo di tuono’, ha provato a raccontare in una maniera diversa. Per organizzare l’intervista, i messaggi sono arrivati alle ore più improbabili: 1 di notte, poi 7 del mattino. “Possiamo farla a breve? Sarò in viaggio per Cinecittà”. Ore 8.45. “Non provare a darmi del lei”, aggiunge. Ci adeguiamo alla regola. Di nuovo la Sardegna da raccontare, ma quanto ti affascina questa terra? “Parleremo di un pastore che non vuole cambiare vita, anche se la sua decisione si porta con sé diverse conseguenze per chi gli sta intorno. Non so se si tratti di una commedia o un altro tipo di film: è sempre difficile dare delle etichette. Ma è di sicuro un nuovo modo per mettere al centro una terra che amo: frequento la Sardegna dal ‘75, ha qualcosa che da sempre mi affascina e attrae. Per esempio, pensa ai nuraghe: ti chiedi come faccia a stare in piedi una struttura così vecchia. È una regione che parla di sé attraverso le sue pietre, il basalto, il vento… Tutti elementi potentissimi: la natura e la storia diventano una miscela incredibile per arrivare a una profonda forma di rispetto.” A sentirti, sembrano le stesse parole di Riva. In due ore e mezzo hai raccontato lui e tutto quello che lo ha circondato. Quanto è stato difficile prepararsi? “Difficile no, direi appassionante. Ci ho lavorato per due anni, abbiamo girato la Sardegna in lungo e in largo: nord, centro, sud, pure passando per paesi dimenticati. Posso dire che è stato emozionante?” Perché? “Perché in quel lavoro convergono tante passioni. Ne riassumo due. La prima, quella per il calcio: ce l’ho da quando ero piccolo. La seconda, quella per Riva, è in realtà indissolubilmente legata alla prima. Gigi era un riferimento per la mia generazione, ha incarnato il calcio che ho sempre amato con le sue gesta. Sì, ‘gesta’. Era l’uomo coraggioso che non tirava mai dietro la gamba, anche metaforicamente: si schierava per i più deboli. Da piccolo mi pareva un valore necessario, ora lo ritengo indispensabile. Si assapora troppo poco, quel valore: ci sono silenzi che fanno passare tutto, siamo più portati a farci gli affari nostri, a non rischiare. A suo modo è stato un eroe politico: ha incarnato un modo di fare politica in maniera efficace e popolare, andando controcorrente. Insomma, un po’ un rivoluzionario: la scelta di non andare alla Juventus per restare in Sardegna ha quel sapore lì.” Non a caso in quel film inserisci anche le considerazioni su Pasolini e sul valore sociale del calcio. “Proprio così. Perché Riva è stato davvero un personaggio esemplare. Lo dicono anche le persone che abbiamo intervistato: quello Scudetto ha restituito la Sardegna all’Italia. E quindi all’Europa. E lui di quello Scudetto è stato protagonista non solo per quello che faceva in campo, ma per quello che era anche fuori.” Ci sono state altre bandiere così, secondo te? “In quel film ho intervistato Baggio e Zola. Al di là dell’emozione di averli davanti, penso che entrambi abbiano qualcosa di Riva. Più avanti ci sono stati altri giocatori rappresentativi, ma il calcio era diventato un’altra cosa: avevi comunque tanti soldi, decidere di restare in una squadra per non trasferirti in un’altra in qualche modo ti faceva comunque cadere in piedi. Prima era diverso: andavi in Sardegna quasi per essere punito. Era una terra lontana, se si dovevano investire dei soldi si faceva lì, ma perché era come se non ci fossero regole. Penso alle miniere o al petrolchimico: era una terra poco popolata, con gente che aveva bisogno di lavorare e accettava quasi di tutto. Riva ha trasformato quel paradigma: ha avuto paura di andare in Sardegna, lo dice, ma poi non l’ha più lasciata. Mi piace molto l’immagine che ha dato il titolo al film, quella del ‘Rombo di tuono’ che nasce da Brera: diceva che a San Siro quando calciava si sentiva questo boato; lo confermavano pure i compagni. Rende bene l’eccezionalità di Riva. Realizzare quel film mi ha avvicinato tantissimo a lui proprio umanamente. Se me l’aspettavo? No. Ma a un certo punto mi dicevo da solo: ‘Cavolo, ma sto mangiando il gelato con Gigi Riva! A casa sua!’. Ho benedetto questo mestiere più volte, mi sono reso conto della fortuna che ho avuto. Quando è morto, è stato come perdere un parente stretto. Mi ha causato molto dolore, ma sono felice di quello che mi ha lasciato.” Prima parlavi della tua passione per il calcio: ma come fa un romano a diventare dell’Inter? “La prima volta che entrai a contatto con il calcio dal vivo fu nel 1966, il 9 gennaio. Era la sedicesima giornata, mio padre, tifoso laziale, mi portò a vedere Lazio-Inter. Ricordo quel giorno quasi come una favola, anche se per papà lo fu un po’ meno: voleva farmi diventare tifoso della Lazio, uscii da lì da tifoso dell’Inter che vinse 3-1.” Tra i marcatori di quella partita anche Sandro Mazzola, che nel documentario su Riva hai intervistato. “Un’altra delle più grandi emozioni della mia vita. Mangiavo il gelato con Riva e stavo seduto in poltrona di fronte a quello che è stato il ‘mio’ capitano. Mi ricordo che a un certo punto interruppe l’intervista per farmi vedere la maglia originale di suo padre, Valentino. Gli chiesi di scattare una foto…” E allora ti facciamo il nome di altri due intervistati. Partiamo da Barella. “Posso garantire che era molto emozionato. Non me l’aspettavo, ma a Riva anche lui deve tanto.” L’altro è Moratti, che trent’anni fa divenne presidente dell’Inter. “Meraviglioso, davvero meraviglioso. Educato, appassionato, perbene: ha ospitato la troupe a casa sua, una villa fuori Milano, offrendo il pranzo a tutti. Mi ricordo l’atmosfera di quel giorno: nevicava, sembrava tutto ancora più magico. Peraltro quella villa era carica di ricordi: l’ha aperta per la festa dello Scudetto e per festeggiare altri trionfi sportivi. Ci raccontò che erano arrivate un sacco di persone ed era andato tutto benissimo. Non fu così fortunato quando invece organizzò un ricevimento con prefetti e questori: sparirono tre pellicce… Poi raccontò quell’aneddoto che pur di non far andare Riva alla Juve, sapendo che comunque non sarebbe nemmeno mai andato all’Inter, decise di comprare direttamente il Cagliari. Lo sospettavano un po’ tutti, ma non l’aveva mai detto prima. Fa capire tutta la passione che ci metteva.” ‘Passione’ e ancora ‘passione’. È il filo conduttore del nostro discorso: ci racconti il gesto più curioso che ti lega al calcio? “Non parlerò né del Triplete, che è stato bellissimo, né di altre partite dell’Inter. Ma di qualcosa di mio. Ricordo che da piccolo, una domenica, dovevo andare a messa per fare il chierichetto. Ma quello stesso giorno per strada, sotto casa, si disputava una partita di calcio a cui tenevo molto. Le giocai, ma non feci in tempo ad andare a cambiarmi per la funzione: avevo i pantaloni blu corti, i calzini lunghi, la giacca… e gli scarpini da calcio sporchi di fango. La considerai una piccola pazzia.” E il più grande dolore? “Una partita che ho giocato da adolescente. Ero iscritto in una squadra di calcio minore romano, disputavamo i campionati regionali. Avevo 15 anni e stavamo giocando la semifinale: tempi regolamentari, supplementari e rigori. Erano finiti i rigoristi e si era andati a oltranza: calciai come Di Biagio a Francia ‘98. Non mi va giù ancora adesso.” In che ruolo giocavi? “Regista.” Davvero? “Sì.” Ma è vero che un regista, di film, è anche un po’ un allenatore? “Per me sì. A volte faccio proprio finta di esserlo: io ho questo modo anche molto fisico di mantenere unito il gruppo, stando insieme alle persone che lavorano con me. E poi durante le presentazioni dei miei film a volte penso a questo: quando devo salire delle scalette prima di andare su un palco, mi sembra quasi di entrare da uno spogliatoio al campo di uno stadio.” Farai un altro film sul calcio? “Ho un progetto in mente, sto cecando da tempo di raccontare una storia che mi appartiene molto e che ho vissuto personalmente. È sulla capacità di aggregazione e sulla forza di compattare in senso positivo che arriva proprio dal calcio.” Spoiler? “No, ma mi appassiona molto. Spero di riuscire a farlo.” Finisce così, con un sorriso. Ma prima di chiudere la telefonata, chiediamo a Milani se vuole inviarci qualche foto che lo lega al film su Riva. Ce ne ha mandate 12, tutte tenute sul suo cellulare: alcune le avete viste in questo articolo. Provate a capire dove sta il regista, e dove chi vive il sogno di raccontare il calcio...

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Valentino Della Casa