Cambiaghi: "Dall'incubo infortunio alla rinascita. Ora sogno l'Europa e la Nazionale"

Partiamo da agosto e quel brutto infortunio al crociato: qual è stata la tua prima reazione quando hai capito che saresti rimasto fuori per tanti mesi? Hai avuto paura che la tua grande occasione potesse essere già terminata? “Dico la verità, è stata senza dubbio una grande botta a livello mentale. Ero appena arrivato al Bologna, una piazza importante e che faceva la Champions League, farsi male alla prima giornata è stato un grande dispiacere. Mi è dispiaciuto tanto star fuori questi mesi, perché ero molto carico, avevo grande voglia di dimostrare il mio valore e di mettermi in gioco. Però sono cose che capitano, dobbiamo metterle in conto e quindi l'ho preso come un passaggio della mia carriera che può succedere. Mi sono messo subito al lavoro per recuperare nel miglior modo possibile. È stato sicuramente un dispiacere importante, però ho trasformato questa delusione in voglia di rientrare il prima possibile”. E la riabilitazione come è stata? Ha mai avuto paura di non tornare come prima? “Il primo mese per me è stato molto duro, anche perché non avevo mai avuto un infortunio lungo e grave. Questa è anche stata la mia prima operazione e tutto era nuovo per me. Il non camminare, usare le stampelle, il dolore, non riuscire a dormire… Tutta una serie di cose che non avevo mai provato prima. Per tutti questi motivi, il primo mese è stato davvero difficile, anche mentalmente. Poi, insieme alle persone che mi hanno aiutato, ho fatto dei grandi passi in avanti. Ho tolto la prima stampella, poi anche l'altra e ho iniziato a camminare senza stampelle. Ricordo la prima corsetta, al terzo mese circa, e poi piano piano ho ripreso a fare tutte le cose che per un giocatore che sta bene sono normali ma che per uno che si opera al crociato sono grandi cose. Aumenti la velocità, fai i primi salti, i primi atterraggi, i cambi di direzione… Tutte attività normali che però sembravano dei traguardi importantissimi. All'inizio quando guardavo le partite dei miei compagni, o anche partite di altre squadre, e vedevo i giocatori fare determinate cose, mi dicevo ‘Cavolo, ma… Fa strano, magari quando rientro se faccio questo movimento mi fa male o non torno come prima’. Però con il tempo ho preso consapevolezza, mi sentivo molto bene e il rientro è stato in discesa”. Hai parlato delle persone che ti sono state accanto e che ti hanno aiutato. Chi ti è stato più vicino? “Fin da subito ho sentito la vicinanza di tutta la squadra. Non è scontato, ma questo è veramente un bel gruppo. Per fortuna mi curavo vicino al centro di allenamento, quindi ho vissuto sempre lo spogliatoio, a parte il primo periodo dopo l'operazione. Ho sentito sempre la vicinanza dei compagni, dell’allenatore, dello staff e della società. La mia ragazza mi è sempre stata vicina, la mia famiglia, i miei amici e voglio ringraziare le persone che mi hanno curato qui all’Isokinetic, sono state perfette, mi hanno dato una grossa mano e devo dire che ero veramente in buone mani. Ho sempre sentito la vicinanza da parte di tutti e questo è stato importante”. Passiamo alle cose belle, il ritorno in campo e già un super rendimento: un gol, tre assist... Te lo aspettavi? Cosa hai provato e cosa stai provando? “All'inizio, quando sono rientrato, il mio obiettivo era quello di star bene, poi ovviamente se vengono anche le cose anche in campo, tanto meglio. Però ora che sono arrivati il gol, gli assist e le prestazioni… Non vedo l'ora di tornare in campo per continuare questo trend positivo. Penso che l’aspetto principale per un giocatore che rientra da un infortunio così grave sia star bene mentalmente, fisicamente e allenarsi bene. Per me oggi la cosa più importante è finire un allenamento e sentirmi bene. Ma senza dubbio sono davvero contento di essere rientrato in questa maniera e voglio continuare in questa direzione”. Ma ti senti già al 100% o pensi che dovrai ancora aspettare un po' per tornare al top della condizione? “Mi sento bene, ma non avendo giocato per tanti mesi non ho ancora i 90 minuti. A volte un allenamento faccio un pelo meno per recuperare energie e faccio una seduta dedicata al ginocchio per tenere la forza. In generale, penso che per i mesi che sono passati sto veramente molto molto bene. Poi è ovvio che con il passare dei giorni mi sentirò sempre meglio, però già mi sento in forma. Sto recuperando minuti e secondo me stiamo facendo tutte le cose al meglio”. Sulle fasce ci siete tu, Orsolini, Dominguez, Ndoye e anche Pedrola. È una concorrenza incredibile. Tu come la vivi e che rapporto hai con loro? “La nostra è una concorrenza davvero positiva perché non c'è gelosia tra di noi. Credo sia un valore aggiunto avere così tanti giocatori di talento, perché quando un esterno al 60’ è stanco può entrare un altro e fare l'ultima mezz'ora bene. Quando abbiamo giocato ogni tre giorni, anche adesso con la Coppa Italia, avere tutti questi esterni ci fa solamente bene, no? Poi c'è chi giocherà di più e chi giocherà di meno, però la nostra forza quest'anno, e direi anche l'anno scorso, vedendolo da fuori, è il gruppo. Io penso che chi entra debba sempre entrare in maniera positiva, con un atteggiamento giusto, facendosi trovare pronto nel momento in cui viene chiamato in causa. Credo che questa sia la nostra forza in generale, non solo sulle fasce, anche in altre posizioni c’è tanta concorrenza”. Mi hai anticipato, perché quello che ti volevo dire è che dall'esterno si percepisce proprio la vostra unità, il vostro gruppo. Ma cosa c'è dietro, qual è il segreto? “Io sono arrivato quest'anno e ho trovato già un gruppo molto unito. Oltra a me, in estate ci sono stati anche altri nuovi arrivi e non è sempre facile inserire tutti allo stesso modo, ma qui si sentono tutti parte del gruppo. Da quello che vedo io, non c'è nessuno che è fuori dal gruppo. Si sentono tutti importanti, ci alleniamo molto bene, ogni tanto ci vediamo anche fuori e andiamo veramente tutti d’accordo. Remiamo tutti verso la stessa direzione e questa è la cosa più importante, perché quando un gruppo vuole una cosa sola e lavora forte, è molto probabile che si raggiungano gli obiettivi che vengono prefissati. Il merito è anche di giocatori di personalità e con più esperienza che rendono tutto questo ancora più semplice. Penso a Lollo , ma anche Remo e Lucas : sono persone che rendono tutto più facile, anche a noi più giovani. Il segreto è questo: avere all'interno delle persone che ci danno una mano, che hanno più esperienza di noi, e poi andare tutti verso la stessa direzione”. Sfrutto un tuo assist, hai parlato di obiettivi prefissati e quindi te lo devo chiedere: dove volete arrivare? “Come ha detto anche il mister, l'obiettivo è l'Europa. Poi quale Europa non possiamo saperlo. L'unica cosa che possiamo fare è guardare di partita in partita, che può sembrare una frase fatta, però a questo punto non ci poniamo limiti. Non sai mai cosa può succedere, vogliamo solamente continuare come stiamo facendo e provare a vincere tutte le partite, che ormai non sono tantissime. Alla fine vedremo dove saremo arrivati con i punti raccolti”. Per te come è stato passare dal lottare per la salvezza, come hai fatto negli ultimi anni a Empoli, al lottare per un posto in Europa? Si avverte questa differenza? “Sì, l'anno scorso ne parlavo anche con i ragazzi dell'Empoli: lottare per la salvezza non è facile, anzi. Richiede dei sacrifici importanti, perché il livello della squadra non può mai essere come quello delle top e si deve sempre lavorare di più, fare partite 'sporche', cercare di prendere punti ovunque. Anche lottare per vincere è senza dubbio difficile. Sono due cose diverse che però allo stesso tempo richiedono sforzi enormi. Posso dire che qui a Bologna c'è più ‘serenità’. Non che non ce ne fosse Empoli, anzi, però una volta che arriva una vittoria e vedi la classifica positiva, lavori anche in modo diverso. Il primo anno a Empoli era stata un po' più semplice la salvezza, l'anno scorso invece è stata molto più complicata. Quando arrivi fino alla fine che non sai se ti salvi o non ti salvi… È veramente tosta anche a livello mentale. In generale, non è facile giocare per qualsiasi obiettivo, ci vuole estrema convinzione in tutti e due i casi”. A proposito di Empoli, lì hai vissuto gli ultimi due anni. Che ricordo hai di questa esperienza? Come ti sei trovato? “Sono stato veramente bene, tanto che poi sono tornato il secondo anno per un volere mio. Posso solo che parlarne in maniera positiva, perché entrambi gli anni ho trovato un bel gruppo, anche se nella seconda stagione avevamo cambiato tanti giocatori. Si lavora in maniera tranquilla, si può sbagliare e questa penso sia una cosa molto importante per un giovane alle prime esperienze in Serie A. Empoli è sicuramente nel mio cuore, sono stati due anni bellissimi, abbiamo raggiunto due salvezze e ho dei ricordi stupendi. Non vedo l’ora di ritornarci per per la semifinale di Coppa Italia”. E invece quanto ti sono servite invece le precedenti esperienze in B, alla Reggiana e al Pordenone, per arrivare dove sei oggi? “Per me andare in B è stato molto importante, perché avevo bisogno di giocare e di prendere fiducia e consapevolezza nei miei mezzi. Ovviamente c’è anche chi non ne ha bisogno, perché magari è già pronto sotto un punto di vista mentale, fisico e tecnico, però per me è stato fondamentale, soprattutto il secondo anno dove ho giocato tanto e ho capito che potevo essere un giocatore importante. In quella stagione ho anche conquistato la Nazionale Under 21 e quindi mi è servito tantissimo. Inizi a vivere lo spogliatoio vero, quello dei grandi, inizi a capire le dinamiche e per me è stato un passaggio importantissimo che rifarei senza dubbio. Secondo me, senza l’anno a Pordenone ora non sarei qui. Quella stagione mi ha dato grande grande convinzione, grande consapevolezza e mi ha fatto sentire importante, anche se il campionato non è andato al meglio a livello di squadra e questo mi è dispiaciuto tanto”. Parlando del tuo passato è impossibile non soffermarci sull’Atalanta. Sei cresciuto lì, hai vinto due volte il campionato Primavera e giocavi con tanti ragazzi che oggi sono giocatori affermati: Carnesecchi, Kulusevski, Diallo, Okoli, Piccoli, Zortea, Colpani… non può essere un caso, no? C'era qualcosa di speciale in quel gruppo? “Concordo, non può essere un caso e non lo è. Sono veramente dei fenomeni a trovare i giocatori, alcuni – come nel mio caso – vengono presi a 8-9 anni, altri li prendono a 15, altri ancora direttamente per la Primavera, però, in un certo senso, li trasformano. Sono veramente bravissimi a trovare i talenti e a farli crescere. Penso che per un giovane sia un ambiente bellissimo, perché ti fanno crescere sotto tutti i punti di vista, hanno un metodo di lavoro preciso, sono molto organizzati fin dall'inizio e i risultati sono il frutto di un lavoro di costanza e impegno. Poi sì, in quegli anni eravamo veramente una squadra forte, tanti di questi giocatori oggi giocano in Champions League, in Premier League e in Serie A…”. Ma al tempo avevi la percezione che poteste arrivare in così tanti ad alto livello? “Quando io ero piccolino avrò cambiato mille compagni, perché alla fine di ogni anno c’era la ‘riconferma’ e solo i migliori venivano confermati. Mi ricordo che quando mi dicevano che sarei rimasto anche l'anno successivo, era una festa, perché era veramente difficile e cambiavano sempre tanti giocatori. Negli anni ho conosciuto veramente tanti compagni, alcuni oggi sono ancora miei amici e in molti ora non giocano più o giocano in serie minori. Diciamo che riesci a capire che molti dei tuoi compagni potranno fare strada quando arrivi in Under 17 o Primavera, perché lì inizi a giocare un calcio più vero. In Primavera sì, avevo la percezione che tanti dei miei compagni potessero arrivare a livelli importanti. Prima invece non ero così convinto e avevo tanti punti di domanda, anche perché quando sei piccolo da un anno all’altro può cambiare tantissimo. In un anno o due può succedere di tutto: puoi crescere, puoi non crescere, puoi migliorare o puoi non migliorare. E se non migliori, non rimani al livello della Primavera dell'Atalanta o di altre società importanti”. Hai un po’ il rammarico di non aver mai esordito con l’Atalanta? “Sì, un po’ mi dispiace, però non ho dato tanto peso a questa cosa. L’esordio è un momento importante e bello, una giornata che rimane impressa nella tua carriera, ma è anche vero che ho visto tanti esordire e poi smettere o scendere di categoria. Mi è dispiaciuto, perché finire 11-12 anni di settore giovanile con l'esordio è ovviamente la cosa più bella, però ho sempre lavorato per arrivare in Serie A e sono contento di esserci riuscito”. A proposito di esordi… quanto sogni quello con la Nazionale? “È un sogno che ho fin da ragazzino, quando vedevo la Nazionale vincere i Mondiali nel 2006. Lavoro tutti i giorni per realizzare anche questo sogno, che penso abbiano tutti i giocatori italiani, e per raggiungere la maglia Azzurra. Però non è un’ossessione, anzi. Lavoro in maniera molto tranquilla, mi impegno sempre, cerco di fare il massimo nel club e poi quello che succederà lo vedremo”. Eri a Berlino per la finale del 2006, giusto? “Sì, ero allo stadio con mio papà e mio nonno. Ho una foto con mio papà che mi tiene in braccio. Avevo 5 anni, ne avrei fatti poi 6 a dicembre, ero molto piccolo e ho dei ricordi vaghi, però è stata una serata bellissima”. Di quella Nazionale eri affezionato a un giocatore in particolare? “Sono tutti campioni, penso ai vari Totti, Del Piero… Ma la maggior parte di loro ha smesso quando ancora ero molto piccolo. Voglio citare anche Simone Barone, che ho avuto come viceallenatore l’anno scorso a Empoli”. E poi crescendo chi era il tuo idolo? A chi ti ispiravi? “Senza dubbio Messi. Del campionato italiano, quando sono cresciuto, mi piacevano molto Insigne, Chiesa e i giocatori che ricoprivano più o meno il mio ruolo. Però il mio idolo era Messi, cercavo sempre di guardare le partite del Barcellona per vedere come si muoveva, le cose che faceva e cercavo di rubare con gli occhi”. Ma è vero che da piccolo facevi sempre il doppio passo e poi quando ti sei allenato con la prima squadra dell’Atalanta ti hanno detto di smettere? “Sì, mi piaceva molto farlo e in realtà lo faccio ancora spesso. Il dribbling è una caratteristica di noi esterni offensivi, bisogna dribblare per creare spazio e fare un cross o un tiro. Il doppio passo mi piace molto, è una delle tante finte o giocate che noi attaccanti proviamo… È sicuramente una delle mie preferite”. Per concludere, da qui a fine stagione Nicolò Cambiaghi sarà felice se… ? “È una bella domanda… Sarò sicuramente felice se il Bologna arriverà a raggiungere i suoi obiettivi e se riuscirò ad avere continuità. Sarò felice se continuerò a star bene e se riuscissi a mettere dentro altri gol o assist che possono aiutare la squadra a vincere”. Ma non è che vuoi segnare e fare assist per il fantacalcio? O non ci giochi? “No, no . Non ci gioco più da qualche anno. Prima ci giocavo ma poi ho smesso. I miei amici ancora ci giocano, però io quest'anno non partecipo”.

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