I calciatori stanno giocando troppo? Ecco perché non bisogna tirare la corda

So che se ne parla tanto, e so che ci sono alcune opinioni sul tema che rispetto ma che non condivido: resto dell’idea che giocare tanto a calcio sia più che lecito, ma che non si debba tirare troppo la corda. Lo dico da ex calciatore: c’è in ballo la salute di chi va in campo, perché l’esposizione agli infortuni diventa ogni volta sempre più alta. Il problema non è solo legato a chi gioca, ma al sistema: se mancano tutte le volte sei o sette titolari, allora lo spettacolo ne risente. E di conseguenza le partite diventano meno interessanti. I giocatori hanno bisogno di allenarsi, non solo di recuperare. E serve assolutamente una pausa di una certa durata all’interno della stagione, perché a un certo punto le gambe non vanno come dovrebbero o come si vorrebbe e la fatica si sente eccome. Parlo per mia esperienza personale. Al Milan purtroppo sono stato fermato da tanti infortuni e quindi non sono sceso in campo per tante partite di fila. A Firenze invece era tutto diverso: durante una stagione giocavo almeno sessanta volte, e posso garantire che, arrivato alla sesta o settima gara consecutiva, mi rendevo conto che stavo chiedendo al mio corpo degli straordinari. Giocare ogni tre partite non è facile e non parlo di fiato, ma proprio di carico muscolare. Mi ritrovavo in campo con il freno a mano tirato, mi accorgevo di non essere brillante come nelle prime partite. Certo, il ruolo fa tanto: il mio non chiedeva uno sforzo di strappi o scatti, era più un lavoro di resistenza, non di sprint. E infatti non è un caso che, al netto dell’infortunio al crociato che purtroppo è imprevedibile, un giocatore come Rodri nel Manchester City abbia giocato tantissime partite di fila. Il valore del recupero Per un giocatore, scrivevo prima, il riposo diventa fondamentale e dopo una partita non sempre è possibile. Mi ricordo benissimo che quando giocavo in notturna, difficilmente poi riuscivo a dormire, perché ripensavo alla mia prestazione, avevo ancora addosso molta adrenalina. Di certo il mio sonno non durava sette o otto ore, ma forse quattro o cinque. Si dice che il recupero dopo una prestazione ad alta intensità sia di circa 48 ore: noi la mattina dopo dovevamo già allenarci. Vero, si trattava di una seduta di scarico, ma quella seduta era l’antivigilia di una nuova gara. Ecco, questo è il vero tema. Ogni giocatore ha il suo piano di lavoro personalizzato, il day after non è praticamente mai lo stesso per tutti: c’è chi ha preso una botta e può fare solo un certo tipo di lavoro, c’è chi magari ha un fastidio muscolare. Così facendo non ci si allena davvero: si cerca di mettere una pezza che però non aiuta a mantenere, se non a migliorare, la propria condizione. Leggo che si parla di stimoli, ma quello è un discorso relativo. È chiaro che se per due partite di fila gioco contro avversari fortissimi e poi mi ritrovo contro una squadra meno competitiva, magari in qualche modo mi rilasso. Ma la testa spesso segue il corpo e se si avesse la garanzia di essere sempre al 100%, allora non ci sarebbero molti problemi. Per quello che sto vedendo, i cali in stagione che sono arrivati in questa Serie A non sono dovuti a mancanza di pressione o di intensità, ma sono ‘banalissime’, fatemi passare il termine, fasi fisiologiche che avvengono in una stagione. Anzi, l’Inter quest’anno di infortuni ne ha avuti parecchi, molti di più dello scorso anno. E non a caso sta faticando un po’ di più.

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I calciatori stanno giocando troppo? Ecco perché non bisogna tirare la corda

Riccardo Montolivo