Vi racconto il mio amico Lavezzi

Ma sapete che non me lo ricordavo? Dico davvero, pensando al pezzo da scrivere per i 40 anni del Pocho mi sono chiesto: ma quante ne ho giocate con lui? Ora, non voglio fare come quelli che si devono mettere in primo piano, perché io credo che Lavezzi sia stato, soprattutto a Napoli, un po’ un riferimento per tutti. Ma lui per me è stato davvero speciale, tanto che ancora oggi ci sentiamo molto. E forse proprio questo è il punto: il legame è diventato così forte da avermi fatto credere a un periodo molto più lungo in squadra insieme. Pensavo a due stagioni, invece è stata una. Ma che stagione. 2011/2012: il Napoli mi acquista dal Parma per 9 milioni di euro. Una cifra importante, avevo 25 anni e mi ricordo ancora l’emozione della firma. “Chissà come andrà”, mi chiedevo. Ero ancora più emozionato il primo giorno di raduno, quando sono andato a conoscere i miei nuovi compagni. Alcuni erano in squadra da tanto tempo, come Paolo Cannavaro, un altro bel riferimento di quel gruppo. Lavezzi era lì, sereno, con il sorriso stampato sulla faccia. Non aspettatevi che vi racconti di discorsi particolari: non me ne fece. Ma in qualche modo quel sorriso e quel suo atteggiamento mi misero subito a mio agio: mi diede il benvenuto e fece in modo che io, come anche tutti i nuovi, ci potessimo sentire a casa. In poco tempo, il Pocho mi aveva dato una grande lezione di vita. O meglio, me l’aveva confermata: ovunque io abbia giocato, mi sono reso conto che i giocatori più forti erano sempre quelli più umili, quelli che ti aiutavano nei momenti di difficoltà. Non avevano bisogno di fare i fenomeni. Loro erano fenomeni. E basta. E se ci rifletto bene, tra tutti i calciatori con cui ho avuto a che fare, per me lui va di diritto tra i primi cinque più forti in assoluto. Perché era forte eh, ma forte davvero: non gli riuscivi a tirare mai via la palla, risolveva da solo le partite, era tecnicamente mostruoso e poi riusciva a essere velocissimo. Non lasciava nulla al caso. Strepitoso. La cosa bella era proprio la semplicità con cui viveva la settimana e le partite. Si è sempre fatto carico della squadra, provava a togliere la tensione della partita, attirando l’attenzione su di sé. Scherzava di continuo, e con Mazzarri non era semplicissimo: mi ricordo che qualche volta il mister si arrabbiava. “La finisci?!”, gli gridava. “Eh, mister, va così…” rispondeva lui. Sapete com’è Mazzarri, no? Era bello serio. Lo faceva impazzire. Ma dimostrava il nostro modo di vivere la quotidianità. E se abbiamo vinto la Coppa Italia quell’anno, direi che un bel merito vada proprio anche a questo atteggiamento. Che era lo stesso anche fuori dal campo. Eravamo uniti, Lavezzi ci teneva tanto. Per lui era un po’ un casino uscire, farsi vedere: quando andava per la città, a momenti il traffico doveva bloccarsi per lui. Non esagero: dopo Maradona, a Napoli in quegli anni c’era il Pocho. E basta. E quindi sapete cosa faceva? Ci invitava a casa sua. Amava le grigliate, aveva questa bellissima villa che dava sul mare e spesso ci trovavamo da lui per cena. Era una bella abitudine, che forse in questi anni le squadre in generale hanno un po’ perso. C’era solo una cosa che non sapeva fare: cucinare. Per fortuna, alla griglia pensavano altri… Lavezzi per me è un amico. Siamo entrambi padri di famiglia ed entrambi abbiamo avuto un altro bambino in questi ultimi mesi. Sono felice di condividere questa gioia con lui e sono felice di sapere che stia bene. Ci rivedremo presto a Napoli, per una partita delle Legends, e mi farà piacere giocare di nuovo insieme. È stato l’anima di quella squadra, merita di essere festeggiato al meglio. Auguri, Pocho!

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Blerim Dzemaili