L'irripetibile storia d'amore tra Gasperini e la sua Dea

“Non piangete perché è finita; sorridete perché è successo”. Parafrasando Gabriel Garcia Marquez, sempre attuale nei giorni degli addii strappalacrime, i tifosi della Dea non devono dolersi per il distacco, ma rallegrarsi per il vissuto, mentre sfogliano idealmente l’album degli ultimi nove anni. Ripensare a quello che l’Atalanta era nell’estate 2016 e gonfiare il petto per quello che l’Atalanta è oggi. Un esercizio di memoria utile per realizzare come sia cambiato lo status della squadra, la dimensione del club, le ambizioni dei bergamaschi, terrorizzati dalla paura - adesso che Gasp non c’è più - di tornare a tifare per una squadra “normale”. L'ego di Bergamo L’ascesa di Gasperini a condottiero è avvenuta grazie a una società esemplare a tutti i livelli. Premessa doverosa per spiegare la crescita di una realtà che non era abituata ai fasti degli ultimi anni. E che, frequentando certi palcoscenici, ci ha preso gusto. Otto stagioni su nove in Europa, cinque qualificazioni in Champions, tre finali di Coppa Italia, l’Europa League in bacheca. Risultati straordinari frutto di un calcio sempre votato all’attacco, e che ha fatto scuola ovunque. A Bergamo l’alchimia tra allenatore, club, squadra e tifosi ha prodotto un ciclo memorabile che adesso la proprietà ha tutto l’interesse ad alimentare. Si è chiuso un capitolo, se ne apre un altro. Ma il filo conduttore è l’ambizione dell’Atalanta di rimanere ai vertici, sia in campionato che in Europa. Quando la Dea tornò a frequentare le coppe nel 2017, per trovarla bisognava riavvolgere il nastro del ranking oltre la centesima posizione, adesso è sedicesima. Miniera d'oro Ma il merito più grande di Gasperini è stato il coraggio. “Se non rischi non vinci”. Da questa massima, solo in apparenza banale, è arrivato a cascata il successo dell’Atalanta. Gasp ha avuto il merito inizialmente di puntare sui giovani, e poi su un calcio d’assalto che ha fatto la fortuna di tanti suoi “soldati”. Molti giocatori, grazie ad allenamenti ad alta intensità e a un metodo unico, hanno spesso reso oltre le reali potenzialità. Pochissimi hanno mantenuto gli standard di rendimento di Bergamo, Koopmeiners ne è l’esempio più lampante. E qualcuno, una volta via, non si è vergognato di chiedere sottobanco allo staff atalantino i programmi di lavoro in uso a Zingonia per mantenersi fisicamente al top. Grazie al suo metodo, Gasp ha “sgrezzato” e valorizzato decine di nerazzurri, che hanno fruttato alla società eccezionali plusvalenze. Bastoni, Gagliardini, Højlund, Romero, Kulusevski e Diallo sono solo le più ricche, insieme al sopra citato Koop. Centinaia di milioni che, sommati a quelli incassati dalla Uefa, hanno reso ricca l’Atalanta, che per otto anni ha chiuso il bilancio in attivo. Un modello con pochi eguali nel mondo del calcio. Chi mancherà di più a chi? É quasi fisiologico dopo un ciclo così lungo - bellissimo finché volete ma anche molto dispendioso dal punto di vista nervoso - che le strade di Gasperini e dell’Atalanta si siano potute separare. Dopo tanti anni in cui si vedono sempre le stesse facce, si sentono sempre le stesse voci, e si fanno quasi sempre le stesse cose, può esserci bisogno di novità per ritrovare stimoli ed energie nuove. Le stesse di cui aveva bisogno Gasperini per primo, affascinato da una sfida intrigante come quella che gli ha proposto la Roma, al netto delle perplessità sul futuro dell’Atalanta come ampiamente illustrato dopo l’ultima partita con il Parma. A 67 anni ha realizzato che mettersi alla prova in una piazza completamente diversa da quella bergamasca potesse risvegliarne orgoglio e ambizioni. E ha scelto giustamente seguendo l’istinto. E mentre l’Atalanta non ha ancora annunciato il successore, a Bergamo c’è giá chi si domanda se mancherà più Gasperini all’Atalanta o l’Atalanta a Gasperini.

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Massimiliano Nebuloni