Roma-Inter è una cartolina che ringiovanisce: tutti i legami tra Gasp e Chivu

C’è una cartolina dal passato che sbuca dal cassetto chiedendo di essere presa tra le mani, perché è arrivato il momento di rispolverarla. E se lo fai, sotto gli occhi si trasforma, assume tratti diversi, lasciando però il senso di un qualcosa già vissuto. E sorride, quasi si diverte mentre spalanchi lo sguardo e ti sorprendi a scoprire quanto beffardo possa essere il tempo. Che a volte cambia i fattori, mette l’uno al posto dell’altro, per riproporre un’esperienza simile nella sostanza. La guardi e vedi Chivu togliersi il caschetto, mettersi gli abiti da allenatore per vivere un momento che ricorda tanto quello che, mentre ancora correva in campo, dovette gestire Gasperini ad Appiano Gentile. Nel mezzo, quel 2011, c’erano stati altri tra Mourinho e il suo arrivo, ma seppur in modi diversi erano caduti tutti nel baratro di un’assenza che ancora rimbombava. Era già passato un anno dal triplete, Benitez e Leonardo erano già andati via, ma quel legame speciale ancora c’era. C’è persino oggi e torna ogni volta che i compagni d’allora si trovano, in chat o in diretta Sky. “Ciao Cristian, quando sei arrivato all’Inter volevi giocare 3-5-2? E sei soddisfatto del mercato fatto?” Chiedeva Goran Pandev sornione dallo studio. Quasi un assist per Chivu, che in collegamento rispondeva di getto: “L’ha detto qualcuno prima di me, io non sono scemo”. Riferimento talmente chiaro a tutti, da non richiedere spiegazioni. 3 Ma, intanto, su un angolo della cartolina compare nitido un 3, che spinge il pensiero a fare il resto. Difesa a 3. Già, il ritornello che accompagna ogni racconto del perché Gasp all’Inter non funzionò. Un numero piccolo che non può racchiudere tutto, ma che riassume in ogni caso il senso di un feeling mai nato, di idee che cercavano di imporsi a tutti i costi, di farsi largo tra un certo spaesamento generale, che si concretizzò in 0 vittorie e in svarioni difensivi, come “quella palla sciaguratamente giocata tra Chivu e Julio Cesar”, scriveva Luigi Garlando sulla Gazzetta dello Sport, il giorno dopo la sconcertante sconfitta contro il Novara. E tra le righe, la sensazione che quella voglia di andare oltre, di dare tutto e fare una corsa in più, quel carattere che tanto aveva fatto la differenza con Mourinho e che avrebbe probabilmente prolungato il tempo di Gasp all’Inter, fossero un nostalgico ricordo. L’Inter di Gasperini, che aveva mostrato del buono nel primo tempo di Supercoppa italiana contro il Milan a Pechino per poi sprofondare nella ripresa, unica partita insieme a quella di Novara con Chivu in campo, finiva così. C’erano state anche le sconfitte contro il modesto Trabzonspor in Champions e contro il Palermo in campionato. Con un solo punto conquistato contro la Roma, Gasperini salutò a denti stretti. Se ci si fosse avvicinati, lo si sarebbe sentito sussurrare… “Con Milito-Palacio-Eto’o avrei sfidato il mondo”. Invece il camerunese fu ceduto, il mercato non gli restituì quello che avrebbe voluto. Alla sua ultima in panchina, trovandosi senza esterni d’attacco, adattò Castaignos e Forlan. Esterni Ed ecco che sulla cartolina compare un altro ghigno, poi si riassorbe e lascia una traccia. Prendendo la lente d’ingrandimento si legge la parola: esterni. Questa volta vien da sorridere per davvero. Ieri e oggi si confondono sempre più. Si ritrova Gasperini a Roma, di nuovo a fronteggiare la stessa lacuna lasciata dal mercato estivo. Ma anche se non ha nascosto a tratti la delusione, ha messo in atto un adattamento che si traduce nel primo posto in classifica a pari punti col Napoli, nella miglior difesa del campionato, un unicum nella sua storia e in un attacco che segna poco, dato ancor più raro. 7 gol fatti, meno di quanti ne abbia mai realizzati in 9 anni la sua Atalanta nelle prime 6 giornate. I suoi concetti arriveranno pian piano, purché Dovbyk e Ferguson prendano un po’ di quello che una lista infinita di attaccanti ha saputo assorbire da Gasperini. Ma progressivamente. Così lontano da 24 anni fa. Così vicino a quello che Chivu sta facendo all’Inter. Il ciclo di Inzaghi si è chiuso solo da poco e non ha portato alla vittoria della Champions come nel 2010. Ma ha condotto pur sempre l’Inter a due finali in tre anni ed è stato vincente, riconoscibile e apprezzato nel gioco e nei risultati. Ha costruito un blocco compatto. E il rischio di mettere il mattoncino al posto sbagliato facendo cadere la torre era molto alto. Invece Chivu ha agito sulla testa, ed ecco Mou che si ripresenta, ha saputo dire le cose giuste al momento giusto, convincendo i suoi giocatori, che già parlano di lui come non hanno mai fatto con Gasp in quella breve parentesi del 2011. Ha toccato il meno possibile all’inizio, per poi pazientemente smussare e plasmare, aggiungendo del suo e ridando linfa a chi non ha voglia di sentir dire che quel ciclo è finito o sta finendo. Dimarco che racconta di come il suo allenatore lo abbia rinvigorito dopo un momento difficile, ne è un esempio. Così i suoi lo seguono ed ecco il punto di contatto: in campo portano alcuni principi cari a Chivu quanto a Gasperini. Aggressività, intensità, verticalità: aspetto quest’ultimo che più differenzia questa Inter rispetto a quella di Inzaghi. Chivu, che a Roma ha giocato 4 anni, ha esordito da allenatore in Serie A con il Parma in qualche modo accompagnato proprio dalla sua ex squadra. È stata infatti la vittoria dei giallorossi al Tardini a dare l’ultima spinta verso l’esonero di Pecchia. All’Olimpico dalla panchina finora ha affrontato solo la Lazio. Sabato sera sarà una prima volta. Gasperini, invece, lo ha battuto a Bergamo 3-2 in rimonta, in pieno recupero, completando così il capolavoro salvezza, anche se dalla tribuna perché squalificato. La cartolina è ormai sul tavolo. È di nuovo nitida. Tra poco può tornare al suo posto, vicino alla foto di una stretta di mano.

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Roma-Inter è una cartolina che ringiovanisce: tutti i legami tra Gasp e Chivu

Silvia Vallini