Viaggio nella crisi senza fine della Fiorentina

Un anno. Eppure, sembrano passati secoli dalla tredicesima giornata di Serie A della scorsa stagione. Quel giorno, proprio come oggi, c’era il Napoli in testa in classifica. Da solo e non in compagnia del Milan, e a un solo punto, a quota 28, quattro squadre a inseguire: l’Atalanta, l’Inter, la Lazio e la Fiorentina. Tutte hanno fatto peggio finora, ma se per Conte e Chivu la differenza è di un solo punto in classifica rispetto a un anno fa, lo stesso non si può dire per l’Atalanta , per la Lazio , ma soprattutto per la Fiorentina . Un crollo inatteso, difficile da decifrare considerando le premesse estive e il ritorno di un allenatore che a Firenze, si sa, aveva lasciato a tutti un ottimo ricordo. È durato fino al 4 di novembre il Pioli bis, meno di quattro mesi. Quattro come le vittorie conquistate sul campo, tutte in Conference, nei preliminari di fine agosto contro il Polissya e poi nelle prime due giornate contro Sigma Olomouc e Rapid. Il 3-0 a Vienna del 23 ottobre resta, ancora oggi, l’ultimo successo stagionale dei viola. Il bilancio in campionato è il peggiore di sempre dopo 13 partite in quasi 100 anni di storia. Ultimo posto alla pari del Verona, sei punti in classifica, nessuna vittoria, 17 gol segnati in meno rispetto alla scorsa stagione e 11 in più incassati. Di questi tempi, un anno fa, Moise Kean aveva già realizzato 9 gol in campionato e 3 in Conference, oggi è fermo a quota 2, di cui uno soltanto su azione. La Fiorentina ha già perso 9 volte su 19 finora e l’immagine che meglio rappresenta questa prima parte di stagione non riguarda il campo, non è una giocata da applausi, un gol da copertina, né tanto meno una partita perfetta. Il manifesto della crisi viola è tutto nello sfogo di Edin Dzeko dopo la sconfitta contro l’Aek Atene e il colloquio con tanto di megafono con i tifosi delusi dopo l’ennesimo ko a Bergamo. Dodici mesi fa, con lo stesso numero di partite giocate, la Fiorentina aveva perso una sola volta tra campionato e coppa e proprio a Bergamo il 15 di settembre, ma al termine di una partita che i viola avrebbero anche potuto vincere. Due volte in vantaggio con Martinez Quarta e Kean, ma sempre raggiunti prima da Retegui e poi da De Ketelaere, fino al gol decisivo di Lookman. Il sigillo finale lo ha messo anche stavolta l’ex attaccante del Leicester, ma è forse l’unico tratto comune con l’Atalanta-Fiorentina della scorsa stagione. Anzi no, ce n’è un altro e si chiama Raffaele Palladino. Stavolta sulla panchina avversaria, all’esordio davanti ai suoi nuovi tifosi dopo due trasferte dal sapore opposto. Tre gol incassati alla prima al Maradona e poi quelli rifilati all’Eintracht in Champions League. Mancava il battesimo casalingo e per uno strano scherzo del calendario a Bergamo era attesa proprio la Fiorentina. La prima volta da ex per l’allenatore nato in provincia di Napoli. Lo stesso che aveva chiuso lo scorso campionato con 65 punti, un record per la gestione Commisso, e che in Conference si era arreso solo in semifinale contro il Betis. Senza dimenticare i grandi risultati ottenuti soprattutto in casa dove, Napoli a parte, la Fiorentina aveva battuto tutte le grandi: 2-1 al Milan, 5-1 alla Roma, 3-0 all’Inter, 3-0 alla Juve e 1-0 contro l’Atalanta. Quel Franchi che oggi non è più un alleato prezioso lo dimostrano i soli due punti ottenuti in campionato e le quattro sconfitte, anzi cinque se si conta anche l’ultima in Conference contro l’Aek. Non si può certo accusare la società di essersi liberata con troppa fretta di Palladino. Era stato lui, il 28 maggio scorso, a rassegnare le dimissioni, cogliendo tutti di sorpresa, in particolare i suoi calciatori. Un gesto inatteso, considerando che solo tre settimane prima aveva accettato un prolungamento di contratto fino al 2027. Di sicuro non è stato mai sufficientemente rimpianto dai tifosi viola, ma, del resto, capitò anche a un certo Vincenzo Italiano.

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Riccardo Gentile