La rincorsa del Torino a caccia della propria storia

Scomodare ogni volta il Grande Torino è un esercizio di assoluta auto-flagellazione, almeno per i tifosi granata. Però, è vero che da lì tutto è partito. Perché quella squadra fantastica diventata poi leggendaria dopo lo schianto sulla collina di Superga ha inevitabilmente generato e poi alimentato il mito e la fede che resistono, di generazione in generazione, da 80 anni. E che oggi, attraverso vecchie foto e pellicole in bianco e nero accendono solo nostalgia e impietosi paragoni. Da lì in avanti solo il Torino di Gigi Radice, con il settimo scudetto conquistato giusto cinquant’anni fa e due secondi posti consecutivi appena dopo, e quello di Emiliano Mondonico, con la Coppa Italia del 1993 e una finale di Coppa Uefa l’anno prima, sono stati capaci di corroborarlo, quel mito. Le ultime vere stagioni del tremendismo granata, il termine coniato dal poeta e giornalista Giovanni Arpino per definire la squadra capace di costituire una sfida ardua e tenace per chiunque. Le ultime vere stagioni di fierezza e di orgoglio granata. Perché poi sono arrivate quelle delle tempeste, delle quattro retrocessioni in B, dell’esclusione per motivi finanziari, della rinascita con Urbano Cairo e di campionati per niente tremendisti, invece sempre incolori. Dall’ultimo ritorno in A, nel 2012, il piazzamento il migliore è stato un settimo posto . Negli ultimi anni si è consolidata la tendenza di campionati poco esaltanti e che, a metà percorso, hanno già avuto la certificazione di “nulla di fatto”: né mai in reale sofferenza per la salvezza né mai così ambiziosi da poter pensare quantomeno a un piazzamento per le coppe europee. Quei campionati che, insomma, non ti fanno battere il cuore. Il Torino è l’unica “grande” del calcio italiano a non essere riuscita nel salto di qualità. Le solite big continuano a stare lassù, ogni tanto con qualche inciampo ma pur sempre fedeli al ruolo di battistrada, sia sulla scena nazionale che su quella europea. E, insieme alla “novità” Atalanta, almeno a certi livelli, anche la Fiorentina e il Bologna hanno saputo iscriversi, negli ultimi anni, al club di quelle che hanno lottato o continuano a lottare per un posto al sole. Con tutte loro, la storia e il blasone hanno trovato risposte. Con il Torino no. I granata sembrano essere rimasti ingabbiati nel recinto della mediocrità. Eppure il presidente Cairo ci prova e ci riprova, a venirne fuori: i 19 allenatori che si sono alternati sulla panchina granata nei 20 anni della sua presidenza sono la dimostrazione di questo impegno ma, allo stesso tempo, anche il senso della difficoltà a costruire un progetto tecnico duraturo . Marco Baroni è stato scelto dopo che a Lecce e Verona aveva saputo costruire delle piccole grandi imprese e che alla Lazio, pur pagando un calo nel girone di ritorno, aveva saputo meritarsi gli apprezzamenti di un po' tutti . Ma anche lui ha finito per restare impantanato in quello stesso recinto: qualche alto , un po' di bassi ed una classifica un po' così, lì nel mezzo, né troppo sbilenca né da far venire ai tifosi l’acquolina in bocca. Tra fine ottobre e inizio dicembre, sei partite senza vincere, con tre sconfitte consecutive. Poi, con la Cremonese di nuovo un sorriso e a Reggio Emilia, contro il Sassuolo, finalmente un segno forte e convincente di continuità. Qui non si tratta più di scomodare il Grande Torino; per tifosi della bandiera granata questa stella di Natale che si è accesa sembra già un bel passo in avanti.

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La rincorsa del Torino a caccia della propria storia

Daniele Barone