Da Danilo a Pellegrini passando per Biraghi e Calabria: la crisi dei capitani

Una volta, se si pronunciava la parola ‘Capitano’, agli appassionati di calcio venivano subito in mente i nomi di Paolo Maldini, Alessandro Del Piero, Francesco Totti, Javier Zanetti, Gigi Buffon. Bandiere che hanno legato il loro nome alla società che hanno rappresentato per anni indossando la fascia al braccio. Che è sempre stato un simbolo di personalità, carisma, leadership. E ovviamente di titolarità. Funzionava così dappertutto, non soltanto nelle grandi squadre. Quando una società, o un allenatore, sceglieva un capitano, di fatto lo rendeva imprescindibile per la squadra. Dentro e fuori dal campo, dentro e fuori dallo spogliatoio. La formazione era il capitano più altri dieci, non si scappava, dalla Champions alla terza categoria. Oggi non è più così, o almeno non sempre e non dappertutto. Siamo in un momento storico in cui c’è una vera e propria ‘crisi dei capitani’. Per scegliere degli esempi c’è l’imbarazzo della scelta, ma partiamo da Danilo, l’ormai ex leader della Juventus. Thiago Motta lo ha fatto capire già dalle prime settimane che non avrebbe puntato su di lui, tanto da lanciare il giovanissimo Savona al suo posto. Escluso per scelta tecnica prima, fatto fuori dalla lista dei convocati per la Supercoppa poi. Un capitano sul mercato dopo 213 presenze in bianconero. Sono state una cinquantina in più in maglia viola quelle di Cristiano Biraghi. A Firenze dal 2017 con una parentesi di una stagione all’Inter. Con l’arrivo di Palladino è cambiata la sua dimensione di titolare inamovibile. Inizialmente adattato da centrale di una difesa a 3, poi finito in panchina per fare la riserva di Gosens e anche di Parisi. Fino alla conferenza stampa dell’allenatore viola, prima del match di coppa contro il Lask, in cui ne annunciava l’esclusione dal progetto tecnico. Un altro capitano pronto a cambiare casa dopo aver sognato per due anni consecutivi di alzare la Conference League tra coriandoli e fuochi d’artificio. In ordine crescente di presenze troviamo un altro capitano finito ai margini: Davide Calabria. Il difensore classe ‘96, da sempre in rossonero, dopo 268 presenze e 10 gol è diventato un titolare della panchina del Milan. In questa stagione, fino a ora, ha giocato per poco meno di 500 minuti. Con Fonseca la sua collocazione era più che chiara, adesso sarà Sergio Conceicao a scegliere quale sarà il suo futuro prossimo. Supera le 300 presenze con la maglia della squadra in cui è cresciuto Lorenzo Pellegrini. Di fatto l’erede di Totti e De Rossi. Un altro che sperava di arrivare a fine carriera vestendo il giallorosso con la fascia al braccio. E invece… Ranieri ha lasciato aperte le porte ad un futuro lontano da Roma, lui ultimamente gioca poco e non riesce più a lasciare traccia. Immaginarlo con un’altra maglia non è più impossibile come poteva sembrare fino a qualche mese fa. Questi i casi più eclatanti. Ma se scaviamo nelle altre formazioni della Serie A troviamo altri esempi. Come quello di Davide Faraoni all’Hellas: era diventato l’erede di Miguel Veloso, vestiva lui i panni del capitano prima dell’esperienza a Firenze che lo ha allontanano dai gradi conquistati e ormai anche dal campo. Al Torino l’infortunio di Zapata ha fatto si che la fascia cambiasse braccio andando su quello di Linetty, ma nell’ultima partita su quello di Ricci. Un altro infortunio, quello di Pessina, ha cambiato le gerarchie nel Monza con la promozione di Pablo Marí. Nel Bologna si sono alternati tre capitani: Orsolini, De Silvestri e Ferguson. A Cagliari addirittura in quattro: Deiola, Zappa, Viola e Lapadula! Eh già, non esistono più i capitani di una volta…

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Dario Massara