"Io, Scott e lo United": il racconto di Ercolani, ex compagno di McTominay a Manchester

Hai giocato con McTominay nelle giovanili del Manchester United, anche se lui era più grande di te di tre anni. Qual è il primo ricordo che hai di lui? “Scott per me è sempre stato un grande esempio. Non solo perché era più grande di me, ma per la sua mentalità e il suo approccio a ogni allenamento. Il primo ricordo è legato al mio esordio con l’Under 23 dello United, perché in quella partita giocava anche lui. Ho iniziato dalla panchina e sono entrato dopo circa 20 minuti perché un altro difensore si era fatto male. Eravamo al King Power Stadium, contro il Leicester. Ero un ragazzino, in teoria facevo ancora parte dell'Under 18, però mi avevano iniziato a chiamare nell’Under 23. Ho ancora un video di quella partita dove faccio una sovrapposizione, Scott mi dà palla, chiudiamo l'uno-due e facciamo quasi un gol. Bellissimo”. Quindi fin da giovanissimo aveva una mentalità fuori dal comune? “Sì. Da buon scozzese aveva e ha una mentalità molto forte. Fin da ragazzo era un ‘militare’, passatemi il termine, dal punto di vista della professionalità. Io cercavo di seguirlo, perché a me piace star vicino alle persone che reputo modelli da seguire. Cercavo di stargli dietro a ogni allenamento e di imitarlo in tutto e per tutto. Dalla palestra alla piscina fino al campo, era veramente una ‘macchina’ in ogni seduta”. E quanto era difficile riuscire a stargli dietro? “Tantissimo! Era praticamente impossibile. Aveva delle doti fisiche straordinarie. Quando c'è stato il Covid e stavamo tutti a casa avevamo degli allenamenti da fare ed eravamo sempre monitorati. Dovevamo mandare i dati tramite delle applicazioni e i suoi dati erano mostruosi. Io cercavo di raggiungerlo ma era impossibile. Una volta a settimana dovevamo fare una corsa di 5 km e Scott ci metteva meno di 17 minuti, tempi quasi da maratoneta. Pur essendo alto 1,90, aveva un passo incredibile. Io impegnandomi facevo 20 minuti . Lui aveva – e ha – una capacità fisica, e un motore diversi dal ‘normale’. Allo United ti instaurano fin da ragazzino una mentalità competitiva. Ogni allenamento, ogni aspetto è una competizione. In palestra c’era una lavagna per segnare i punteggi in sala pesi e lui era sempre al primo posto anche lì. Era veloce ma anche forte fisicamente, veramente qualcosa di unico. Era sempre al top in ogni aspetto, instancabile, e voleva sempre migliorarsi. Non si fermava mai. Per me, e penso per tutti, era davvero un modello”. Era un po’ il classico predestinato? Tu hai sempre pensato potesse arrivare a grandi traguardi? “Io sì, da quando sono arrivato a Manchester è sempre stato uno dei migliori giovani ma ho saputo che non è sempre stato così. In Inghilterra un momento cruciale del percorso giovanile è il passaggio dall’Under 18 all’Under 23, lì molti giovani vengono tagliati dai club. In pochi lo sanno, ma Scott è stato molto vicino a non passare in Under 23, lo United è stato a un passo dal mandarlo via. Perché prima era alto almeno 20 centimetri in meno e fisicamente non era così imponente. Di solito a chi sale in Under 23 fanno un contratto di 2-3 anni, mentre alla fine a lui proposero solo un anno. Evidentemente vedevano del talento ma non erano così convinti. E in quell’anno invece è proprio arrivata la sua esplosione. È cresciuto di circa 20 centimetri ed è migliorato tantissimo sotto ogni aspetto. In poco tempo è diventato il giocatore più importante dell’Under 23, pur giocando da centrocampista. In quegli anni l’Under 23 dello United non andava benissimo e lui veniva schierato anche da prima punta e ovviamente segnava molti gol. Quindi no, non è sempre stato un predestinato, ha dovuto sudare per farsi apprezzare. Allo United sono stati bravi ad aspettarlo e lui è stato bravissimo a non mollare mai”. Da compagno più grande ti ha mai dato qualche consiglio o incoraggiato? “Lui sapeva che per me era un modello, soprattutto dal punto di vista fisico. Ricordo una partitella che abbiamo fatto contro la prima squadra quando lui ormai era già stabilmente con i grandi e su un corner l’ho dovuto marcare. Penso di averlo colpito positivamente perché mi disse ‘Oh Luca sei diventato più tosto’. Ricordo che mi fece molto piacere ricevere questo complimento da uno come lui”. Con voi i compagni come era? “Oltre alle qualità come giocatore, era ed è davvero un ragazzo d’oro. Anche quando era il migliore, era sempre umile e gentile con tutti. In Inghilterra dicono un ragazzo ‘down to earth’, significa ‘con i piedi per terra’. Sempre sorridente, scherzoso, veramente simpatico e piacevole. Tutti gli volevano bene, dai magazzinieri ai compagni di squadra. Con me è sempre stato gentile e disponibile, ci siamo anche sentiti quando è arrivato al Napoli, gli ho fatto i complimenti e gli ho augurato buona fortuna. Devo dire che non mi aspettavo avrebbe lasciato lo United, pensavo potesse fare tutta la carriera lì ma direi che ha fatto molto bene ad andare al Napoli”. Ha vinto lo scudetto da assoluto protagonista e, per sua stessa ammissione, ha anche scoperto il buon cibo, ti ricordi che cosa mangiava ai tempi dello United? “Allo United avevamo a disposizione una mensa internazionale dove si trovava un po' di tutto. Ricordo che lui e gli altri ragazzi britannici a colazione mangiavano fagioli, uova e toast. E poi lì sono abituati a mettere tutto nello stesso piatto: primo, secondo, contorno. Non stanno molto attenti a queste cose . Adesso ho letto anche io l’intervista del suo chef, ho visto che mangia un sacco di verdure, barbabietole, pomodori… direi che è un’altra ottima cosa. Non che fosse sbagliato come mangiava prima, però è un punto a favore è conoscere un'altra realtà e sicuramente anche a livello culinario si è trovato molto bene a Napoli”.

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Emiliano Tomasini