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Napoli campione d'Italia: è stata (anche) la mano di Dio

ricomincio da 3

Alfredo Corallo

Se il presidente De Laurentiis è il 'produttore' di questo campionato da Oscar e mister Spalletti ne è il regista, sulla sceneggiatura ha influito, magicamente, lo 'spirito' di alcune delle figure leggendarie che in passato hanno reso grande Napoli, da Troisi a Maradona: storia di un scudetto scritto a più mani...

NAPOLI: LO SPECIALE SCUDETTO

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  • Fabietto: "Papà, secondo te arriva Maradona?"
  • Saverio: "Figurati se quello da Barcellona viene 'int'a 'sto cesso"

Una mano invisibile aleggia come il vento caldo di quell'estate del 1984 sulla regia di questo scudetto. Anche allora in pochi(ssimi) credevano al miracolo: in fondo, perché il calciatore più forte del mondo avrebbe dovuto scegliere di venire proprio a Napoli? Potremmo azzardare un'ipotesi, alla Troisi, che diceva di fare i film soltanto per suggerire ai tifosi azzurri dei titoli 'pronti' per l'uso: Maradona scelse Napoli... cosicché un giorno, all'improvviso, la città avrebbe potuto intitolare il suo stadio al più grande giocatore della storia del calcio. Un atto d'amore reciproco. Lo stesso amore che Paolo Sorrentino ha instillato nella sua opera più intima e dolorosa, ispirato da Le vie del Signore sono finite e dal debito - inestimabile - verso la figura provvidenziale di Diego: "Non c'è Fellini, stavolta, non c'è altro in questo film, solo il cinema di Troisi dall'inizio alla fine. E Maradona, che a me ha salvato la vita". Rimase orfano, a 16 anni, di entrambi i genitori, avvelenati nel sonno dalle esalazioni di una stufa nella casetta di famiglia a Roccaraso. E se quel maledetto pomeriggio del 1987 - a poche settimane dal primo scudetto - il padre non gli avesse dato il permesso di andare a Empoli per vedere Maradona e l'avesse portato con loro in montagna, oggi parleremmo di un'altra storia. E quella mezza promessa che il regista di È stata la mano di dio si lasciò scappare qualche anno fa non potrebbe essere onorata: "Un film con De Laurentiis sul Napoli? E perché no? Magari se vincesse lo scudetto...".

Ricomincio da tre

Fabietto - l'alter ego di Sorrentino nella pellicola candidata all'Oscar nel 2022 - respinge la provocazione del regista Antonio Capuano ("Ma è mai possibile che 'sta città nun te fa veni' in mente niente 'a raccuntà? Insomma, 'a tieni coccosa 'a ricere o si' nu strunz' come a tutti quant gli altri?) e decide di seguire l'esortazione dell'amico contrabbandiere ("Sei libero, nun t'o scurda' mai") trascinandosi il suo dolore a Roma, con il sogno del cinema. Sulle orme del Gaetano-Troisi di Ricomincio da tre, sbarcato a Firenze in autostop per trovare la sua strada. "Napoletano? Ah, emigrante...". "Ma perché, un napulitano nun po' viaggià, po' solo emigrà?". Una battuta rivoluzionaria, una lama alla gola della retorica, il manifesto di un intero movimento culturale e generazionale: perché Napoli, la sua energia creativa e dissacrante, non era rimasta seppellita dalle macerie del terremoto dell'Irpinia, dalla monnezza, dalle Mani sulla città della camorra e della corruzione denunciate da Francesco Rosi, ma era più viva che mai. La Smorfia del trio Troisi-Enzo De Caro-Lello Arena; l'affermarsi di nuove contaminazioni musicali (James Senese e Pino Daniele, Tullio De Piscopo e Tony Esposito, i fratelli Bennato); le continue sperimentazioni del Teatro popolare di Roberto De Simone e, certamente, anche l'arrivo di Maradona e i "pugni" al cinema di Bud Spencer ma soprattutto sul ring di Patrizio Oliva - come quelli di Irma Testa e della scuola di Marcianise, oggi - contribuirono fortemente ad affrancare Napoli dai luoghi comuni che per decenni l'avevano oppressa, umiliata, scocciata. E non c'è dubbio che ci sia la mano del 'mago' Troisi anche su questo scudetto: ricordate quando cercava di spostare il vaso con il pensiero? "Vieni, vieni... ". Bene: immaginate che al posto di quel vaso ci sia una coppa con i nastrini tricolore e voilà, il gioco è fatto.

La 'manona' di Luigi Necco

E in questa galleria di 'mani illustri' non poteva certo mancare il cantore ufficiale dei primi due scudetti: Luigi Necco. Uno di quei personaggi che sembrava uscito da un romanzo di Luciano De Crescenzo, l'avremmo visto bene a filosofeggiare con il suo Bellavista, lui che distingueva l'umanità in "uomini d'amore" (i napoletani) e "uomini di libertà", che erano i milanesi come il dottor Cazzaniga, uno che malgrado... fosse il direttore del personale dell'Alfasud preferiva andare al lavoro in perfetto orario ("cose 'e pazzi"). Diceva Bellavista: "La doccia è milanese perché ci si lava meglio, consuma meno acqua e fa perdere meno tempo. Il bagno invece è napoletano: un incontro con i pensieri". Pensieri poetici, il pane quotidiano di uno degli amici del professore: "San Genna', non ti crucciare, tu lo sai che ti voglio bene. Ma 'na finta 'e Maradona squaglia 'o sanghe dint' 'e vvene!". Il linguaggio espressivo e le metafore che Necco utilizzava per chiudere il suo più classico dei servizi a 90° Minuto s'inserivano perfettamente nel contesto culturale e sociale di quegli anni, perché la sua era poesia applicata al calcio, sublimata dall'arte tutta partenopea di condensare gestualità, sberleffo e scaramanzia, non per niente era nato tra i vicoli del rione Sanità, come Totò. Necco, quel vocione inconfondibile, si circondava di tifosi, salutava (appunto) con la mano, nessuno degli inviati si congedava dallo studio e dal conduttore Paolo Valenti - che ammiccava, sardonico - in quella maniera così teatrale. A volte esagerava, ma sempre bonariamente, mimando anche il numero dei gol, e degli scudetti: oggi il suo "tre" sarebbe stato atteso come il miracolo di San Gennaro. 

La mano 'a pernacchio' di Eduardo e Totò

Perché è inutile girarci intorno: dopo 33 anni di "pane e veleno" - in realtà "solo veleno", per dirla come il Totò-Felice Sciosciammocca di Miseria e Nobiltà - la Napoli calcistica potrà finalmente placare la sua fame di rivincita, ripensando alla pernacchia del Principe De Curtis all'ufficiale del Führer ne I due marescialli e al pernacchio di Eduardo De Filippo, che fu scelto - a furor di popolo (social) - anche per 'salutare' il ritorno dell'ingrato Higuain al San Paolo. Perché la sola arma che aveva la povera gente per vendicarsi - nel caso del film di Vittorio De Sica, L'oro di Napoli, per prendersi gioco di un aristocratico, il prepotente del quartiere - quell'unico antidoto era lo scherno, deriderlo, farlo sentire una nullità, un "71" della Smorfia (ci siamo intesi). E allora s'interpellava il Professore - una specie di "Wolf, risolvo problemi" alla partenopea - per capire quale fosse il modo migliore per fargliela pagare: "Gli bruciamo il palazzo! O lo mandiamo all'ospedale?". "Non basta". "Ma che volete professò, la sua morte?!". "Peggio. 'Nu pernacchio".

La 'manita' di Spalletti

Diciamo che la sceneggiatura di questo scudetto è stata scritta - idealmente - a più mani, che oggi sollevano la coppa al cielo 'nzieme: le figure che appartengono già alla mitologia calcistica e artistica di Napoli (senza dimenticare Partenope, raffigurata non a caso nella Fontana della Sirena di Mergellina con il braccio sinistro puntato verso l'alto); e le nuove divinità, che entrano di diritto nel Pantheon cittadino: De Laurentiis (in 18 anni di presidenza, quante volte ha dovuto rimettere 'mano' al portafoglio per rinforzare la squadra?); il direttore sportivo Cristiano Giuntoli (non è stata forse una 'mano' santa per questa squadra?); e, naturalmente, si è vista eccome la mano di Luciano Spalletti, il regista di questo capolavoro. La mano, e la manita all'avatar di Max Allegri dopo il 5-1 alla Juve, tra le immagini più iconiche della sua marcia trionfale. Un viaggio nel pallone iniziato curiosamente quando Troisi ricominciava da tre proprio nella Firenze di Spalletti (che ai tempi era un centrocampista del Castiglion Fiorentino) e arrivato magicamente a compimento a Napoli, da perfetto emigrante...

Scusate il ritardo

L'1-1 con la Salernitana, che ha soltanto rimandato la festa ma non ha risparmiato ai napoletani gli sfottò dei cugini (con l'inevitabile "È stata la mano... di Dia") sembra lontano anni luce dall'epoca in cui il Napoli rischiava di perdere in casa col Cesena, come nella celebre scena sul letto di Scusate il ritardo, quando Vincenzo si astrae dal discorso serio di Anna-Giuliana De Sio sul senso-non senso del loro rapporto amoroso, distratto dalla radio, da "Tutto il calcio per minuto per minuto", che comunica la ferale notizia del vantaggio dei romagnoli al vecchio San Paolo. "Mannaccia 'a miseria 'u Napoli sta pirdend co 'o Cesena, a Napoli!", esasperando la suscettibilità della ragazza, fino al pianto. "Che c'è Anna?". "Che c'è? C'è che il Napoli sta perdendo col Cesena...". "Vabbuò, nun te preoccupa', tanto è 'u primm temp', po' ess' pure che 'a pareggian'...". 

Annunciazioneannunciazione: pareggio di Osimhen! Il Napoli è campione d'Italia, Napule è 'na cosa grande.

©Getty