L'ultimo gol del "Cobra" Pancev con l'Inter (nel giorno del "trenino" del Bari)

“Quando il pallone arriva dalle mie parti non perdono. In Jugoslavia sono stato capocannoniere del campionato per quattro volte. L’Inter ha un attacco molto potente: io, Sosa e Schillaci possiamo segnare gol a grappoli". L’io che narra con tanta sicumera è quello di Darko Pancev, detto non a caso 'Cobra', quando nell’estate del 1992 approda a Milano, sponda nerazzurra, pronto a lasciare il segno dei suoi denti sul campionato italiano. Un anno prima aveva trascinato la Stella Rossa alla vittoria della Coppa dei Campioni e poi dell’Intercontinentale, arrivando secondo nella classifica del Pallone d’Oro 1991 e vincendo la Scarpa d’Oro . Ci sono dubbi? Uno così ti cambia l’attacco. La storia è nota e negli anni a seguire lui l’ha raccontata e ricostruita fino allo sfinimento nel vano tentativo di levarsi di dosso l’etichetta di bidone: l’Inter di Pellegrini l’aveva soffiato alla concorrenza delle big di mezza Europa che si erano messe in fila per lui , dopo che era stato vicinissimo al Milan, che l’anno prima gli aveva fatto firmare un precontratto e che dopo il blitz nerazzurro fu costretto a ripiegare sul suo compagno di club Savicevic. . Quando poi non è il suo ego a parlare, sono gli altri a dare la loro benedizione. Dal Ct della Nazionale Arrigo Sacchi all’allenatore che lo accoglie all’Inter leccandosi i baffi che non ha, Osvaldo Bagnoli: “Mi ricorda Boninsegna, dategli un pallone in area ed è gol”. Dichiarazioni che andrebbero lette con la musichetta in sottofondo e quell’aria scanzonata, con un retrogusto di vaga presa per i fondelli che usava la Gialappa nella rubrica “Le ultime parole famose”, raccolta di sparate, titoloni di giornale e spezzoni di interviste poco profetiche. Insomma, tutto lascia presagire che l’Inter si stia preparando alla vendemmia. I grappoli di gol, purtroppo per Pancev, Bagnoli e per tutti i tifosi nerazzurri, si ridurranno alla miseria di un acino, appena una rete in dodici giornate di campionato, e il povero Pancev sarà ridotto a una macchietta, il bidone per antonomasia, arrivato Cobra e ripartito Ramarro per colpa dei perfidi Gialappi – sempre loro – che in quegli anni erano una sentenza. Ma il calcio spesso sa regalare una seconda opportunità e così, dopo un breve parcheggio al Lipsia per cercare di ricordare come si fa gol , rientra all’Inter pronto a rivestire i panni, pardon la pelle, del Cobra. Allenatore nuovo, Ottavio Bianchi, società quasi: Massimo Moratti sta trattando l’acquisto del club con Pellegrini e nel giro di pochi mesi si arriverà alla stretta di mano. È il 1994: iniziamo a fare i conti con la vittoria che vale tre punti, il genio di Quentin Tarantino si rivela in Pulp Fiction, Mauro Repetto lascia gli 883, Elio e le storie tese cantano la sigla di “Mai dire gol” riuscendo a scherzare sulla “cinica lotteria dei rigori” che in estate è costata all’Italia la finale del Mondiale. Decisamente altri tempi. Quella sigla, intonata a mò di coro degli alpini, la interpreta mezza serie A: giocatori tutti vestiti col caratteristico cappello con la penna, con Pagliuca che canta “Il nemico è alla porta e spara, tapùm / io mi tuffo a casaccio, tapùm / Ma speriam che la vada fora / non mi faccino più gol”, con congiuntivo rivisitato ad arte con grande autoironia. Veniamo da una dolorosa estate in cui “il Daniele l'ha fà cilecca e il Buddista l'ha svirgulà”, con riferimento ai rigori di Massaro e Baggio, ma il Mondiale è ormai alle spalle, siamo pronti a un nuovo campionato e Darko Pancev è carico per vincere e lottare insieme a noi. Il 22 agosto 1994 la stagione dell’Inter inizia con un facile primo turno preliminare di Coppa Italia che vede come avversaria la Lodigiani. Darko la mette subito, nel 3-0 finale. Passano pochi giorni, al secondo turno c’è il Padova. Altro 3-0, altro morso del Cobra. Occhio che Darko sta ingranando. Ma, con tutto il rispetto per la Lodigiani e per il Padova, direte voi, la A è un’altra cosa. Ed eccola che inizia, allora, il 4 settembre. Bianchi vuole sfruttarne il gran momento e contro il Torino dà una maglia da titolare a Pancev, preferendolo a Bergkamp . Segnano Sosa e Bergkamp , Pancev resta in campo fino all’ultimo e al termine della partita la butta lì: “Visto che bel tridente? Non lo dico solo perché voglio giocare… è una formula che può funzionare”. Ottavio Bianchi non lo sta a sentire e per un paio di partite lo manda in tribuna riportando nell’undici titolare Jonk . Darko torna, da titolare, il 25 settembre contro la Fiorentina. Passano 2’ e Francesco Toldo è già stato morso, finisce 3-1 per l’Inter. Sembra girare tutto al meglio, per l’Inter e per Pancev, e la conferma arriva nel derby di Coppa Italia del 12 ottobre, vinto in rimonta con gol di Bergomi a finalizzare un contropiede fulmineo. Quel contropiede, testa alta e chioma al vento, l’aveva avviato proprio lui, Darko Pancev. Ormai è pronto a cancellare il ricordo del Ramarro. Quattro giorni dopo, il 16 ottobre, arriva a San Siro il Bari e Darko Pancev la maglia da titolare numero 9 se l’è proprio meritata. Ancora non sa che sarà il suo triste canto del cobra. La disfatta è di quelle impronosticabili, anche se Ottavio Bianchi ripeterà che aveva visto troppa euforia per il derby vinto e si era raccomandato in mille lingue di prendere il Bari con le molle. Stavolta a segnare dopo 2’ è Miguel Angel Guerrero, un Pancev colombiano a vedere i numeri di quella sua stagione , e poco prima dell’intervallo sarà Tovalieri – ironia della sorte, anche lui 'Cobra' – a gelare San Siro con una prodezza di testa in tuffo che vale il 2-0 degli ospiti. Ancora più incredibile quello che accade negli attimi immediatamente successivi al gol, con i giocatori del Bari che per festeggiare la rete si mettono a quattro zampe, uno dietro l’altro. “In fila come tanti cagnolini”, scrive il Corriere della sera il giorno dopo, non riconoscendo quello che in realtà voleva essere un trenino. Il Cobra nostrano Tovalieri a fare la locomotiva e dietro, come tanti vagoncini, Guerrero, Pedone, Bigica, più Manighetti e Montanari che li raggiungono un po’ in ritardo e restano a quattro zampe alla stazione. “L’ha portato Guerrero dalla Colombia, ci abbiamo messo 3-4 mesi per impararlo perché non riuscivamo a sincronizzare i movimenti”, rivelerà anni dopo Tovalieri. “Capire come dovevi muovere le gambe e le braccia in sincrono non era per nulla facile”, e ci immaginiamo le sedute di allenamento di Giuseppe Materazzi che si concludono con i giocatori che, dopo gli schemi su palla inattiva, provano anche quello per l’eventuale esultanza. Quello di San Siro, a dir la verità, non è il primissimo trenino inscenato dai baresi: circa un mese prima un 2-0 in casa del Padova era stato celebrato così, ma vuoi mettere il piacere di posare i binari alla Scala del calcio e la diversa risonanza che ti può dare? Per tutti i tifosi del Bari il trenino nasce quel giorno, e da quel giorno ne faranno la propria esultanza simbolo. Sì, anche i tifosi, come ricorda Tovalieri: “Quando segnavamo si vedeva la curva dividersi perché i tifosi andavano un po’ a destra e un po’ a sinistra, formando anche loro diversi trenini e lasciando vuota la parte centrale”. E Pancev? Lui segna il gol con cui l’Inter accorcia, e a questo punto ha la media di 2 gol in 3 partite di campionato, ma il trenino del Bari gli ha rubato la scena e lui ha ormai perso il suo, di treno. Bianchi dopo la figuraccia sbotta: “A questo punto, se avessi un altro incarico e non quello di allenatore, caccerei tutti, io per primo. È quello che ho detto al presidente Pellegrini a fine partita”, dichiarazione che sei anni dopo Marcello Lippi ripeterà quasi pari pari , con Moratti che nell’occasione accoglierà il suggerimento, esonerandolo. Un Pancev inguardabile si giocherà malissimo la sua ultima chance contro il Foggia, poi Bianchi inizierà a non convocarlo più a partire dalla gara contro la Reggiana. Una beffa, considerando che era la squadra a cui nella sua precedente e dimenticabile esperienza interista di due anni prima aveva segnato 5 gol in una settimana nel doppio incrocio del secondo turno di Coppa Italia: tripletta all’andata e doppietta al ritorno. Erano giorni in cui Darko pareva davvero la risposta interista a Van Basten, e qualcuno azzardava anche un “Tenetevi il Cigno, noi abbiamo il Cobra”. Lontani ricordi. Bari, che l'aveva visto protagonista della vittoria della Coppa dei Campioni nella finale giocata al San Nicola, sarà il suo capolinea. La carriera del Cobra, di fatto, termina per colpa di un trenino.

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